adepti in amore


essere bravi


Posted By on Feb 9, 2017

  1. Imparare ad essere bravi non è miglioramento: è evoluzione, indietro non si torna. È facile rimanere bravi. È impossibile smettere di esserlo: non per uno sforzo etico ma perché il vallo evolutivo resta insormontabile.
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un giovane adepto


Posted By on Ago 20, 2015

La scelta dell’assoluto rientra nelle proposizioni da opporre alla faciloneria della ‘certezza’. Non riguarda credenze ma esercizi. L’esercitarsi del dolore cogente. Il pensare muscolare di contrazioni e rilassamenti. Esercitarsi di piccoli costanti lavori di tutti i giorni. Sciogliere tensioni da tensioni superiori. Infrangere la gerarchia del dolore che ha sempre una causa ‘superiore’ per dire ‘precedente’. Poiché precedente è assolutamente e ironicamente non evitato, già accaduto, esso è il potere causale assoluto. È assoluto proprio perché in quanto ‘causa’ è sciolto da ogni altro legame, da ogni altra condizione di poter essere anche altro. Proprio il legame causale libera definitivamente(*) ogni gesto dalla unica sua possibilità duplice ma non scambiabile: d’essere causato e di non poter essere che causa.

Di fronte all’assoluto dell’ordine causale dei singoli atti non so porre che l’assoluto dei mistici, di quelli in fuga, del massimo di divinità del singolo: l’esercizio della sua continua necessità di fare scelte aleatorie, dalle conseguenze imprevedibili. Noi siamo cause di non si sa che cosa.

Forse potrò dormire se immagino di poter sognare, di fronte alle macchine arse e rumorose di una cava di sabbia, il nuotare pigro dell’oca grassa, mobile e fluente sull’olio azzurro di un mio mare alla foce.

Dotato di capacità di dubitare ora sono certo, di per me e non oltre, di non poter orientare le cose come voglio. Questo nuovo ‘assoluto’ mi consegna alla relazione non per rassicurarmi ma per restare in vista degli ulteriori sviluppi. L’amore tiene duro: resta accanto all’incertezza.

A volte mi pare di essere il monaco giovane che, alla base della colonna, prepara il pane l’acqua e il sale da mandar su una volta al giorno all’altro: l’uomo/nuvola. L’uomo/pioggia. L’uomo/lampo: o tempesta o raggio o aria. L’uomo che vuol essere, vanamente, ininfluente. Sciolto lassù lontano da legami attrattivi e causali esso, visto da qui mostra una illusoria leggerezza gravitazionale: per il fatto di aver istituito questo mio essere un umile servitore del suo aereo sforzo verso l’imponderabile della distrazione dal mondo, mi si svela tanto più pesante : uno che deve imporre ulteriori regole (seppur opposte alle precedenti) per mantenere quella sua innegabile autonomia.

Giovane adepto, solitario a mia volta e forse senza averlo neanche scelto, alla radice della colonna dello stilita o alle porte del deserto degli eremiti, scopro dell’amore la assoluta contingenza. La somma di modi indispensabili a realizzare e mantenere quella specifica unicità.

L’occidente perirà per non saper produrre più assoluto? Chi lo sa. Di certo, sia per durare che dopo esser quasi tutti periti, ognuno dovrà di nuovo stabilire quanto pane, quanto sale, quanto poco di quasi tutto mettere insieme pur senza sapere prima se le provviste per l’amore su in alto siano (fossero state) quelle appropriate.

Sulla cima della colonna siede chi non riesco a distinguere: ricordo un volto e due occhi felici di ragazza. Mando su quello che mi pare di ricordare lei amasse. Forse però è quanto io penso che potrebbe ancora amare. Mando su anche altro forse: qualcosa per lei come è diventata in me. È silenziosa. Niente torna mai indietro.

Dunque tutto ciò che mando è giusto?

O, salendo in alto, la realtà materiale delle cose, che con iniziale amore io confeziono, diventa (trasformandosi in altro) la realtà fisica dei pensieri alla base delle mie intenzioni, e tanto basta a lei lassù per essere felice di questi nostri traffici tra terra e medio cielo?

È questa permanente trasformazione, come unica possibilità di far durare l’amore nel tempo e nella distanza, l’assoluto di uno sbocco che mi è parso di trovare?

È comunque questo, in me, l’oca perfetta che scivola soll’olio azzurro della foce e inghiotte il rumore del pensiero (altrimenti ossessivo) e del comportamento (altrimenti compulsivo). Pensiero e comportamento ossessivo/compulsivo frequenti di questi tempi sono, a mio avviso, segni manifesti dell’incapacità dei singoli di produrre il proprio specifico ‘assoluto d’amore‘.

Questa incapacità di assoluto -indispensabile all’aleatorietà delle scelte affettive di una certa durata- costringe, in assenza di scelte, alla reazione di indagare la realtà con attività di amori/sonda: transitori e precari, sicuri solo perché fantasticati impossibili, destinati al quasi niente di tempo sensibile corrispondente ad una grave miopia immaginativa.

Questi amori sono poco variabili anzi spesso rigidi e normativi. Sono atterriti, spaventati sul nascere dalla genetica delle loro premesse di dover rassicurare. Compaiono nelle cronache giornalistiche dei delitti quotidiani (ma di più nell’ideologia dell’amore di molti) a motivi, cause inevitabili (assolute in tal senso) e infine come legittimazioni per l’illegalità del controllo, della coercizione e della distruzione della vita degli altri che ‘si pretende’ di amare

(*)assoluto ha come etimologia l’essere ab-soluto, cioè sciolto da. Al suo grado assoluto sarebbe sciolto da TUTTO. Assoluto è il massimo grado di…. Ma si può aggiungere quel che si vuole. E allora c’è assoluto e assoluto. Ce ne sono diversi. Forse qui l’ossessivo si arresta. Proprio là dove altri iniziano a sentire il gusto di un movimento da compiere. 

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