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spiagge e relitti


Posted By on Lug 19, 2017

C’è una spiaggia bianca tra due lame verticali di pietra calcarea. La forza del tempo -espresso in onde e vento- ha grattato, durante cento anni, le pietre. La polvere splendente che diventava solo fondo marino diffondendosi inutilmente in acqua, dopo che una nave si incagliò per sempre parallelamente alla rupe di nord ovest cambiando la dinamica delle correnti locali, si è depositata in una mezza luna di spiaggia che abbraccia il relitto.

Faccio attenzione alla nave arrugginita. La fine delle cose mi affascina. Le correnti mi attraggono, attorno alle chiglie mute. Lo sciabordio del mare che lava le strutture affondate e inutili, mi attrae. La parte ferma delle cose. Mi attrae la natura delle forze che cambiano ogni cosa intorno a me ma insensibilmente, inavvertitamente, giorno per giorno come niente fosse.

Questa passione per la conoscenza era cominciata con ambizione di psichiatra ma solo adesso, attorno al relitto dell’ambizione, mi entusiasma come essere umano. Le onde d’amore solo oggi.

Come posso aver chiamato amore certi svaghi? È ora, nel candore del tempo che evapora, la grande occasione dell’uomo di dare nomi alle persone care. Pronunciarli al loro cospetto. Mani tese a fluttuare in aria verso di ‘te’. Quanto tempo è stato indispensabile!

Magari ci arriverò da sola, dice oggi una donna che cerca in sé oltre un muro bruno prepotente e caldo come un ventre. Certamente, penso io. Ma penso subito ad una frase differente, opposta, Posso aspettare, che pronunciò un’altra ragazza, tantissimi anni fa.

Non so, adesso, se quella ce l’ha poi fatta ad aspettare qualche me migliore di quello che ero.

Io, fedele al privilegio, mi sono lasciato attendere. Ho confidato che la promessa fatta allora sarebbe stata ripresa ed esaudita. Nel futuro che è oggi quella promessa viene portata a termine da una donna diversa. Lascia che ci arrivi da sola. E l’una, che cerca il proprio tempo come chiedendolo a me, guarda l’altra, che mi lasciava il tempo di capire.

L’umanità sostiene la civiltà. Intorno al relitto delle promesse si deposita il tempo di sabbia.

C’è una spiaggia, ora, improvvisamente sorta da un mare di distrazioni. Sei tu?!

Io scopro che avevo annullato la fatica. Che si è fatta viva oggi, tutto d’un tratto. Ed ho dovuto distendermi perché -come si era accumulato il tempo in grani di silice creando la spiaggia- così i muscoli si erano calcinati per l’eccesso di presunzione: il lavoro non è bastato più a andare avanti, quando è sorto il ricordo di te.

Sotto il sole l’energia luminosa, prodotto finale di una trasformazione tra forme differenti di dispersione della materia, mi ristora dal freddo e mi invita al sonno.

La rotazione della terra sposta intera la scenografia: e la prua del relitto, che punta immobile la parete di sud-est, venendo vòltàta sotto al sole, fa un cono d’ombra che consentirà il sonno per un primo sogno.

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“hasta la victoria

Se la memoria fallisce la successione degli eventi, il passato cambia. E se ci sarà stato un unico testimone la sua testimonianza cambierà in eterno la serie causale che porta ad un presente che é effetto inalterabile di storie con significati opposti.

Ci accordiamo dunque per dare consistenza alla vita psichica che costruisce, con gli accordi tra le persone, le macchine della propria credibilità. Però le epidemie, le nascite, le unioni e le dimenticanze, le morti e le malattie, e ogni altra fatalità compresi gli amori inattesi creano aree di discontinuità. Ci volgiamo attorno smarriti a lungo.

Poi un giorno abbiamo l’impressione di illuminare alle nostre spalle con un’intuizione di un nuovo significato il faro di luce che improvvisa ci illumina. Il passato cambia sotto i nostri occhi che lo guardano e che cioè, con lo sguardo ne creano l’esistenza in quella forma e gettano su quel passato i raggi luminosi della sua giustificazione. E allora la luce del passato giustificato e perdonato ci benedice e ci perdona. Il figlio prodigo.

Noi ci voltiamo e vediamo la sorgente di luce che dunque all’improvviso, nell’atto che la percepiamo, comincia ad esistere e illuminandoci ci legittima. Facciamo cioè una storia adatta ad ogni presente per quanto inatteso o addirittura presunto impossibile. Le scoperte creano pensieri di estraneità, ma l’anomalia dell’amore e delle calamità rivela una forma di noi ugualmente plausibile, perdonata da pre(cedenti) giudizi

Ho adesso un’idea di esseri umani differente, innocente, leggera: figure piane, forme derivate da grumi di acquarello che smuore su tela assorbente e lascia tracce non lineari, aree di materia sublime, segni del progresso di una espansione che inglobano il tempo nella irregolarità della disposizione del colore.

Le aree di pigmento che si dilatano lentamente in modi casuali accostate le une alle altre con margini sfrangiati ma inconfondibili timbri cromatici figurano un’idea di procedimenti indescrivibili. Il ricamo della tessitura di acquarello è vagamente, per esempio, la vicenda della pioggia inondata che si asciuga al sole sui campi.

L’esercizio di osservarne le disposizioni ci fa apprendere la formazione degli epiteli e delle masse degli organi, ci aiuta a rappresentare la diffusione di elementi molecolari sui substrati connettivi, e la stratificazione complessa di piani cellulari che costruiscono i parenchimi tridimensionali ci ricorda le terre dense di campi fertili che esplicano in ogni punto l’apice della propria funzione generativa.

La geologia è anatomia sugli acquarelli epiteliali. Montagna dell’anima l’encefalo ha il vertice di pensiero in ogni cellula della propria massa. È in ogni fibra del cuore, rovente, la forza. Coraggioso blu e paura nera sono sotto il diaframma. Il rischio della cadute e la potenza del salto stanno nel bacino. Il ricordo è figura del sogno nel sonno, e immagine senza figura nella veglia.

Si dice fantasia di sparizione quando il passato è ciò che non è più perché viene neutralizzato nella attività amorfa della biologia cerebrale. Interviene nella biologia di substrato la vitalità che è la funzione specifica della specie umana che consente di mantenere l’integrità dell’identità individuale durante le transizioni nelle quali il pensiero si ritira nei nidi biologici intracranici senza immagine né figura. E poi rinasce come idea di possibilità ancora sconosciute.

Addormentarsi e svegliarsi, agli estremi di buio e luce, richiedono ogni volta tutta la vitalità che abbiamo a disposizione, perché su quelle frontiere si svolgono le due attività fondamentali per la vita del pensiero: – fare le figure del sogno nel sonno che è dopo aver rinunciato alla coscienza per dormire, e – continuare a pensare durante il giorno quando è necessario rinunciare alla figura e restare svegli, per fare le immagini che ci salvano dal nichilismo della ripetizione coattiva.

Cosi andavano le cose nel gennaio del 2017, ad anno appena cominciato, noi già alle prese con un eterno passato che stentava a finire. Con la vitalità tra le mani: una massa di inchiostri e pennini dai quali, via via, disegnavo figurine stente. Per non morire. Per sorridere. Capivo (mi sembrava di capire) che bisogna accettare il ridicolo come forma di opposizione.

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l’uomo che porta un fiore


Posted By on Nov 21, 2016

Ciò che ho fatto sono io. Anche se mi pare che avrei fatto diversamente, talvolta.

Che vuol dire che almeno per l’esperienza che io ne ho il fare è per sua natura contraddittorio e il soggetto lotta continuamente per esprimere quel che è possibile in certe circostanze che dico difficili perché il mondo naturale e sociale non sono là per noi.

La difficoltà da superare è il senso di una amarezza o dolore o solitudine determinati dal sospetto dell’abbandono. Temiamo di non poter mai essere noi. Che se saranno fatte quelle cose cui tendiamo, l’essere noi nelle cose che si fanno, quelle cose, cioè noi, saranno difficilmente tenute in gioco e rispettate.

Cosicché per molto tempo ognuno è stato solamente uno che rendeva evidente attesa o impazienza o esitazione o cautela in ogni cosa e il fare era traversare o dirigersi o tendere di chi tenga diritto un lungo stelo fiorito mentre dirige se stesso sempre un po’ più in là.

È, ciò cui tende, simile al fiore in cima allo stelo che sorregge: del quale soltanto intuisce la forma perché esso è in equilibrio verticale sulla sua testa e per non esserne travolto nel camminare ne può cogliere solo i bozzi delle fondamenta, le concavità e convessità del bulbo e gli aggetti delle terrazze slanciate a raggiera dei petali.

Camminare è iniziale esitazione e successivo sviluppo ad ogni passo che si esprimono in disegni incomprensibili sul momento e poi, a distanza di tempo, mostrano che più che essere stato raggiunto un luogo o ottenuto un oggetto, essi, luogo e oggetto, sono stati raggiunti come fossero svelati proprio nella forma di un perdurante movimento di equilibrismo tra esitazione e sviluppo che resta in atto.

La storia di ciascuno e di tutti continua fino a successive parziali conclusioni che un attimo prima sono sempre invisibili e poi compaiono e subito si dileguano.

L’io cosciente ha la forma della nostra percezione dell’esperienza alternante di sonno e veglia.

La conoscenza del mondo si apprende con l’arte della fantasia che tiene la continuità attraverso: -la coscienza della veglia, -la coscienza del sogno, e -l’incoscienza assoluta del sonno senza sogni.

La vita marina della biologia encefalica umida e pulsante, che per necessità di riposo ci rende inerti e assenti e indifesi, è il fianco che esponiamo al freddo e all’oscurità della non conoscenza, o come limite della conoscenza.

L’evoluzione come si è imparato a pensare, tende alla sopravvivenza della specie per moltiplicazione attraverso l’azione impulsiva della riproduzione sessuale.

Ora sembra che l’evoluzione mostri di perseguire anche e contraddittoriamente il progetto di una fisiologia del benessere, di una norma di sanità.

Ad un certo punto dell’evoluzione come la si è appresa, è nato un soggetto che ha mostrato disprezzo della vita e della sopravvivenza ed ha ritenuto di poter limitare le conseguenze riproduttive della attività sessuale e, curando le malattie del corpo e opponendosi alla fatalità storica, ha ascoltato i risvegli, ammirato il sogno nel sonno, considerandone l’universalità.

È stata l’intuizione di una fisiologia che ci si doveva garantire?

Allora forse l’evoluzione si mise al lavoro per proteggerci il sogno consentendoci, con artifici geniali, di traversare indenni l’inermità altrimenti fatale del sonno.

Abbiamo tentato di realizzare società amorevoli che facciano la guardia durante il giorno contro azioni di rabbia e di invidia che perdurano numerose. In più costruiamo ripari non del tutto aleatori che ci proteggano dalla violenza passiva della natura.

Manca del tutto, nella cultura, la ricerca se ci sia una tendenza evolutiva alla felicità come fisiologia e che rinunci a lasciare in mano agli dei certe forme di sviluppo provvidenziale per cui l’evoluzione non sarebbe altro che il destino di una specie eletta.

Possono esserci in atto una serie di espressioni evolutive di specie che, ben nota nelle sue disgraziate espressioni prevalenti, tenta di proteggere la fisiologia del sonno più che la propria riproduzione ad ogni costo?

C’era una persona all’entrata di casa stanotte. Stanotte la civiltà è tornata a proteggere il mistero che protegge chi dorme.

Da sempre, all’idea di un altro che ci accetta e legittima la nostra assoluta debolezza di fronte al mondo, chiudiamo gli occhi per fare il buio che ci consente di dormire senza angoscia della nostra fine.

Da sempre ipotizziamo, in uno strano esperimento mentale, che la biologia possa ritrovare nel sogno una strana forma di ‘coscienza’ che non è ‘non-essere’ e che è ‘conoscenza’ dalla quale dipende ogni giorno che torna.

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in trasparente silenzio


Posted By on Mag 30, 2016

Il pensiero che attraversa il buio del tempo è il sonno e porta una inconfutabile necessità di chiarore che sta alla base del sogno. Per illuminare fioco. Quanto basta. Come farebbe una stella per quello che serve a non lasciare sguarnito il proprio fondaco di cielo. Vive insieme alle altre stelle a sfumare lo spazio che si dilata. Il giorno (oh insomma, al risveglio!) le cose si riavvicinano e nel racconto ad occhi aperti si ritrova un barlume di colla e colore che incastona tutto il prima di fuliggine e miele fumoso e di tracce d’acqua e vestiti a sbuffo o cadenti o fragranti di forni pane braci. E baci nel sogno e accostamenti di soldati coi civili, di imperatori coi papi e di signori e potenti con le vittime delle decisioni. Anonimi protagonisti ammassati in eserciti bendati o in folle di seguaci di eroi apparsi, poi orfane di quei medesimi eroi poi, alla fine, esuli all’uscita di scena che fanno il loro ingresso in terre lontane da noi. E si stira nel sonno il pensiero puramente biologico che è senza coscienza di niente fino a che la materia si sfrangia e si mostra in filamenti. Gli orizzonti in linee. Altre figure più articolate. Ci sono movimenti e significati. È la coscienza del tempo, anche là. Ci si sveglia per l’addensarsi di celle di un ideale alveare attorno agli assi della struttura ritmica delle onde cerebrali che mutano in una densità più e meno (dis)ordinata perché si è visto e verificato che sogno e sonno hanno differenti forme d’onda corrispondenti, probabilmente, a specifiche differenti funzioni. Sono comunque ben precise linee di progetto che distribuiscono dall’alto in basso certe forze statiche implicite nella materia attiva. Questo respiro verticale del sonno e del sogno tiene il cielo al suo posto, che non ci debba cadere addosso, durante la rotazione terrestre che ci espone all’assenza di luce. Raccontare cosciente è altresì sognare ad occhi aperti: dal balcone del mattino scrutare il sogno per cavarne qualcosa. Pensare uguale ad osare. Lasciarsi andare amplificando il valore dei dati raccolti. Accordarci per afferrare gomene agli attracchi. Per trarre le reti o mollare il trapezio in vista delle mani bianche di calce dei nostri salvatori che oscillano dieci metri più in là solidi e distratti. Vere montagne di muscoli guizzanti intelligenti e sornioni: specialisti della tempestività.

Come trovarti accanto. Quel tuo esserci al risveglio in trasparente silenzio.

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prospettiva dell’aviatore


Posted By on Gen 15, 2016

prospettiva dell'aviatore

prospettiva dell’aviatore

Che noi siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni vuol dire che i sogni sono fatti della materia di cui siamo fatti noi: in sostanza non è che la fisica abbia alla propria periferia occasionali vibrazioni poetiche, semmai che la poesia smette di essere tale ogni volta che smarrisce le tracce della propria origine materiale.

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