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la coscienza durante il sogno


Posted By on Apr 3, 2015

Devo scegliere tra mille pagine diverse e forse tutte bellissime. La percezione estetica è al fondo. In superficie un fastidio spumeggiante. La conoscenza è un mare con azioni psicotrope multiple. Una lingua rossa di vino batte in onda. L’ostrica nel piatto ricorda gli scogli al sole e ora che ho lavorato succhiamo insieme quel che si può ottenere tra i bicchieri e le cabine dei bagni tirrenici. Resti irriducibile inconscio mare calmo di Pasqua per giocare il Monopoli. I rischi e le probabilità. Resto in carcere eppure ero riuscito a comprare un albergo. Fuori dal gioco per una turbativa d’asta (o chissà che altro mi viene imputato a dodici anni… forse non saper baciare) ho le mani nella sabbia per toccare la punta delle tue dita. Noi maschi al cospetto di una stella, per com’è composta (energia pura) ci confondemmo immediatamente. Statue. Miti esserini buoni e pazienti con ciascuna di ‘voi altre’ che ci faceste scoprire la pazienza umiliante ma “Che altro vuoi fare” pensammo ignoranti restando in disparte mentre avevate già cominciato a scegliere cose al banco dei surgelati o bigiotterie da rom sul bancone del bazar.

Mi parrebbe che il latente che dite sia: “Non voglio saperne della comprensione”. Sarebbe, immagino, quel cipiglio sicuro di rovistare tra gamberetti e collane di perle sintetiche un vostro modo di genere. Rivoluzionare sbattendo tovaglie di plastica che hanno disegni. Rivoltare facce di uomini confusi dagli eccessi ormonali o rassegnati dagli anni in picchiata. Mi trovo in belle circostanze, estreme circostanze come disegnato, su un filo. Potevo disegnare anche altro. Una briciola potevo scalfire. Io sono una briciola. Piena coscienza. Non corrisponde a niente che sia verosimile. È un sogno non avendo del sogno la prevedibile ombra di mistero. Io ti amo. Piena coscienza. Una verità senza prove. Dipende da te che sia vero. Nel rapporto si evoca l’altro a testimone dei sogni. I sogni sono le nostre parole. Possono svanire o meno. Molto dipende da voi altre.

Più che altro bisognerebbe mostarsi felici. Però siamo solo riconoscenti, al massimo. Siamo una briciola sotto la pelle di un pachiderma. Siamo tante briciole. L’amore va dove vuole e ci porta con sé. L’amore è un rinoceronte che corre sulla sabbia secca da ombra ad ombra. Ho letto una cosa incredibile: la funzione della coscienza è solo nel sogno e durante la veglia. Allora l’inconscio non è nel sogno. Non meno di quanto non sia presente stamani tra le tue mani. Allora stamani è un sogno. Non cambierebbe niente. La (funzione della) coscienza delle cose fa, di esse, cose fatte della materia del pensiero. Noi pure dunque, per questa natura della coscienza, siamo prosaicamente fatti della materia di cui sono fatti i lampi coscienti dei sogni. È semplicemente Shakespeare. Shakespeare che è sempre stato a conoscenza della natura della coscienza: medico che possa capire che il sogno è la materia di cui sono fatti i giorni.

Il rinoceronte si agita grattandosi al tronco dell’albero. La povera pianta geme si piega romba ed è un fuggi fuggi di formiche rosse dalle carcasse degli insetti morti dentro la corteccia. Corri corri pensiero di qua e di là verso nuovi orizzonti. Le formiche rosse fanno dell’albero il proprio paese poi i controrivoluzionari legano al tronco chiunque si ribelli dopo averlo cosparso di miele. Alle formiche quegli uomini dolci e rugosi paiono tronchi come case nuove. Formiche sotto la pelle sono gli uomini nei tuoi pensieri: hai in mente uomini vivi che scavano cunicoli dentro di me. Ogni giorno devo scegliere tra mille pagine diverse forse bellissime. Le cose che succedono sono più di quanto possa mai vedere e conoscere. Le cose in più che non vedrò e non saprò sono uomini vivi nella mente del mio ipotetico oggetto (fuggitivo) d’amore. La percezione estetica sussulta in fondo a me ma in superficie ho un fastidioso tormento. E il tormento è in realtà il pensiero di te che si capisce bene come sia una cosa come formiche e briciole. Il pensiero di briciole e formiche rosse diventa una certa frase: “Siamo pachidermi maschi al cospetto delle stella, con l’occhio torvo. La stella per com’è composta (energia pura) ci confonde. Diventiamo lenti sembriamo buoni e pazienti con ognuna di ‘voi altre’. La lentezza della confusione non è pazienza ed è solo umiliante.”

La teoria alla base della psicoanalisi non sapeva della coscienza durante il sogno. Chiamava non cosciente quanto la ragione non capiva. L’inconscio era l’ignoranza a proposito della coscienza come funzione. Una noncuranza medica veniva convertita in un significato fondante il pensiero della specie umana. La funzione -che viene da variazioni degli assetti fisici della materia degli organi- porta il miele sulla pelle. L’origine embriologica ectodermica del sistema nervoso lega la pelle -che splende illuminata dal sole- al telaio magico del pensiero che si origina nel buio della scatola cranica. Abbiamo percorso la spiaggia mitica delle carezze di Nausica. Abbiamo coniato nomi nelle ere della irresponsabilità: era un sogno la coscienza delle cose. I nomi definirono bene in aria le immagini del pensiero preverbale che restava per sua natura al di qua delle parole. Era la stella che splende nella notte: la valanga delle variazioni di molteplici stati fisici della materia della biologia. Gas insignificanti che fanno la sensazione interna. Una idea che non corrisponde ad una realtà esterna e non nasce dalla percezione. Nasce dalla nascita. Quando qualcuno ne ebbe scritto la storia dovete sapere che tutto era già da prima. E resta.

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reality, un film


Posted By on Ott 5, 2012

Leggo, da qualche parte: “Perché un essere umano dovrebbe voler essere questo?” E continuando per mio conto mi chiedo cosa, di fatto, induce il cambiamento. E cosa diventi, cioè come verrà considerato, dopo, il precedente modo di essere. Allora mi viene in mente che un modo di essere sia comunque un procedere dentro il tempo e quel tempo, quello cioè nella cui massa si procede nel modo che ci definisce, è un tempo delimitato, disegnato come una cosa che acquisisce una figura, grazie ai rimandi continui delle parole dei committenti di amori reciproci. Persone che hanno, verso il loro tempo in comune, un particolare, non secondario, interesse.

Si può facilmente accettare che noi sappiamo “voler essere”? Voler essere può risultare non ben rappresentabile con mezzi di linguaggio figurativo. Disegnare, nel pensiero, si effettua a ingrandimenti esagerati. Si vedono, lungo i tratti di inchiostri di chine differenti, le fisionomie non lineari di ogni molecola. A livelli estetici il finalismo svanisce, cioè la bellezza ha natura discontinua e, fosse l’eroina di un romanzo, non sarebbe ricattabile. Le pretese e il volere sono attraversati da cunicoli serpeggianti: vere vie di fuga. Nel campo della bellezza l’assoluto è in deroga, a dirla tutta. Chiunque potrebbe improvvisamente, insomma, in ogni momento, voler essere qualcos’altro. Deroghe e cunicoli rendono soffice la ‘pasta’ del ‘mondo’. Questa due ultime parole hanno limiti vaghi. La loro topologia rende impossibile immaginarne una completa esplorazione. I termini della locuzione ‘pasta del mondo’, una volta accostati, non si lasciano definire ulteriormente. Nel linguaggio ci sono accidenti retorici: equivalenze di salti fermati in sospensione lungo l’arco delle loro ascese e precipitazioni, ma còlti prima delle ricadute definitive. A livello d’arte quei luoghi nuovi hanno la caratteristica estetica della sete. Torridi ed esasperanti non descrivono il mondo esterno. Sono primitivi neologismi. Sono linguaggio che nasce a prescindere dalla percezione del mondo esterno.

Il linguaggio che nasce a prescindere dalla percezione del mondo esterno, ha origine biologica dalle aree deputate all’immaginazione. Le aree della sensazione vengono certamente, ma solo successivamente evocate: tutto si eccita comunque, immaginando. Perché non c’è silenzio nell’azione fisiologica del pensiero umano. Stimoliamo dunque l’azione sensoriale in seguito all’immaginazione di un altro mondo: e l’immagine unendosi alle modalità sensoriali delle aree appropriate, crea la figura come si fa nella percezione di un evento esterno. Certo questo confonde il nuovo con il ricordo. Ma tale limite, difficile da tracciare ( ci vuole un pennino sottilissimo ) tra creazione e ricordo è pertinente alla bellezza di specie. Mistero parziale.

Siamo adeguati a quello che è solo probabile. Al campo di girasoli che è l’insieme. Abituati al confronto tra infinità. Alle sorprese: temere le variazioni è malattia. Non temere che tu non torni è appassionarsi al caso. Il caso ci libera dai ricatti brutti, dall’orrore di sapere esattamente quanto durerà l’amorevole compagnia che ci facciano.

La vita, come il mondo, è una pasta commestibile. Anche la parola ‘vita’ ha la complessità delle creazioni, cioè le caratteristiche fisiche della bellezza: il pensiero primitivo come immagine, l’io non cosciente della nascita e del sonno, il pensiero durante la veglia quando è coscienza ancora muta di sé, la figura corrispondente all’idea, il pensiero corrispondente alla volontà, il pensiero che crea figure come simboli e rappresentazioni di quanto esiste nel mondo esterno del tutto differenti da quelle esistenze, il pensiero che crea simboli e segni di quanto esiste dentro di sé ed è a quell’esistenza del tutto aderente, e, infine: l’iniziativa del linguaggio e poi della scrittura. Tutte queste sono realtà mentali. Hanno natura di esistenza priva della massa. Sono precisamente l’enfasi caratteristica dell’identità specifica delle cose. Sono cioè l’enfasi che noi possiamo conferire alle cose e alle persone per definire un linguaggio in relazione -corrispondente cioé- alle loro prerogative. Attraverso un investimento affettivo descriviamo il mondo e definiamo i confini, i regni, le specie, i gruppi, le forme, le somiglianze e le appartenenze. Attribuiamo aggettivi, come esistenze ineffabili e forme di conoscenza, al mondo umano e non umano. Lo studio della fisica moderna si occupa del fenomeno incontrovertibile dell’esistenza in natura di grandi quote di realtà prive di massa. E’ seducente l’idea di poter usare questi modi di pensiero per la conoscenza verso e all’interno della vita psichica. In tal modo la scienza autorizza la poesia. C’è un luogo spirale che si genera. Quella poesia è base della scienza.

Si sta tra numerabile e infinito. E a partire de te, che sei una straordinaria unicità, le parole cominciarono a correre e non hanno più finito di farlo. Bisogna star pronti -mi dici- a fermarsi quando sia. Non è la fine ma un salto incerto ed elegante. Una porta rossa fiammante dietro la quale scomparire. Rubo la scenografia finale di “Reality”: un vano illuminato, giardino interno di una casa, essendo quel giardino non altro che una stanza senza confine verticale: illuminata splende, per un osservatore cinematografico che si alzi piano, rimpicciolendosi in mezzo all’oscurità della notte. Io guardando il pavimento come un orizzonte da dimenticare di fronte mi incamminavo immobile al cielo che stava alle spalle della macchina da ripresa appesa ad una stella, credo, come ad una promessa invisibile verso la quale si saliva spettatori tutti insieme. Su uno di una schiera quadrangolare di divani un uomo ride ancora nel ricordo, ride sommesso ininterrottamente. Forse guarisce di una illusione. Forse non guarirà mai più. Non sappiamo. Noi guardavamo, vicini, nella sala, felici di essere potati via leggeri. Per un fenomeno associativo delle aree cerebrali l’azione visuale dell’inquadratura che fuggiva in alto ci faceva senitre diversa la pressione gravitazionale.

Alla riflessione immediata io pensavo che ciò che vedevamo era ‘vero’. Per il fatto che non era mai successo in quel modo preciso. Era vero, cioè umano, perché differiva progressivamente come si alzava lenta ed inesorabile la macchina da ripresa e si estendeva nel tempo e nella notte la risata illusionista dell’attore. Niente era stato copiato. Era una idea generata speciale ed inesorabile, un’idea geniale a proposito delle proporzioni tra uomo e mondo. Il singolo essere umano e la scimmia demente. Certamente era già accaduto. Io pensavo la ricerca sulla generazione e la estinzione della malattia nella mente. Il rapporto tra fantasia e delirio. Tra l’allucinazione che è una deriva illimitata. E un ritorno a casa: che ha il sapore dell’assunzione tra le nuvole.

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le cose come vanno


Posted By on Mag 20, 2012

Dal nulla alla musica. Meglio dire dal silenzio. Ma la parola ‘nulla’ ha maggiore potenza evocativa. Il tragitto crea nella stanza un corpo temporale voluminoso. Una certezza di esistenza fisica. Il punto in cui il suono irrompe è una porta mondana. Si entra da qualche parte che vibra e scavalcando la luce porta al buio attraversato da filamenti armonici lungo linee musicali diverse. È la generazione del sonno come una collezione di foto di mare pendenti dal soffitto immediatamente colte appena alzato lo sguardo. Il ricordo del bar dove realmente sono esposte fa defluire all’indietro il tempo della musica nell’oscurità che si spande dal portale socchiuso che porta affitte le tesi di uno scisma post moderno. È la natura impulsiva del sonno quella bomba di improvvisa densità che si apre la strada secondo un ampliamento esponenziale. Chiarisce e illustra la fisica del sonno (suono…anche?) secondo una espansione di voci da una cattedra: parole alla volta e alla conquista di un anfiteatro infinito antico di fronte. Il modo di addormentarsi è privo di coreografie ma si può affermare che -seppure galleggi apparentemente immobile  sospeso nell’aria buia allo spegnersi della lampadina accanto al viso nostro- pure è, quella condizione impalpabile, un’onda intraprendente alla ventura, alla ricerca di noi. Essa si porta con sé, nella gelatina buia e profumata, il giorno passato e l’illusoria fiducia nelle conclusioni ragionevoli, generando un respiro calmo e onde cerebrali differenti: una sincronizzazione del tracciato elettroencefalografico che è biologia in modo di mongolfiere colorate, o dirigibili, o fiori gassosi in cielo, o camelie dai petali di albumina rossa e dorata.

Il buio per un tempo impensabile consente il nulla. Il nulla è termine rubato alla drammaturgia per dire l’impotenza della percezione cosciente degli eventi materiali. Il nulla farà domani letteratura del sonno. Farà, del sonno, scempio letterario, voglio dire. Il pensiero racconterà alla persona accanto a noi il vocabolario di termini che suoneranno parole seducenti, risultanti e residui di una catastrofe. Narreremo, scrivendo e gridando, del pensiero nella voragine, il corpo sprofondato nel burrone al fondo della biologia del pensiero notturno. Le labbra risvegliando la paura saranno fantasmi splendenti del terrore e insieme del coraggio impavido necessario a non cedere nel momento della scomparsa improvvisa del tono muscolare. L’inermità in cui ci siamo venuti a trovare ogni volta nel lasciare la vita cosciente insieme alla forza attiva delle intenzioni e delle previsioni è un implosione possibile, ma soprattutto un’onda di luce che urta contro il vetro caldo che si spegne nella stanza e rientra in noi. Il pensiero resta affidato alle tesi dello scisma inchiodate alle ali grandi e nere del portone socchiuso sull’oscurità dentro la cattedrale.  

Mentre il volume elettronico del pensiero monta furioso prendendosi il giorno col sonno, di noi non resta che lo sguardo altrui ipotetico richiamato da fuori. Lo sguardo del padre e della madre nel teatro dell’infanzia. Il tanto nominato non cosciente del troppo trascurato primo anno di vita. Quel primo anno non è storia, è fisiologia. Nella ricerca sulle variabili modalità e capacita di addormentarsi c’è molta medicina, quasi tutta la psichiatrica, il loro prossimo indissolubile destino. I loro successi avvenire. Non saranno più celebrazioni letterarie le interpretazioni. La conoscenza della fisiologia del pensiero si disincaglierà dalle metafore psudoreligiose della genesi. Il pensiero sarà la concezione sorridente del fiorire di successi contro il tempo inutile. L’impegno una fisionomia. 

I medici psichiatri o fanno scienza pur nello scrivere le loro dichiarazioni d’amore e di intenti, o, al peggio, certo assai frequentemente, pessima letteratura. Anche (soprattutto) in forma di affermazioni scientifiche. Perché è assolutamente difficile la ricerca del pensiero che va dal nulla alla musica, che sarebbe meglio definire come dal silenzio al suono e però si lascia la parola ‘nulla’ che è ‘sbagliata’ ma ha maggiore potenza evocativa.

Nel cadere nel sonno si intercetta il trascorrere limpido del fenomeno che genera l’immobilità perfetta che a sua volta fa del corpo vivo e voluminoso una realtà secolare che ha perduto la divinazione della coscienza previdente. Mentre aboliamo finalmente tutti i rumori esterni la poetica scientifica del sogno viene narrata come certezza fisica: è il punto in cui durante la veglia, in genere, il suono affascinante della musica irrompe attraverso una porta mondana tattile o acustica. Entra vibra e scavalcando la luce arriva al corpo scuro accaldato che sviluppa energia nella camera che abbiamo a pigione, attraversata da filamenti armonici lungo linee musicali diverse. Come fossimo, giorno e notte, pur secondo modalità differenti di fisiologie esistenziali, l’esausta madame Curie all’opera, con l’uranio sul comodino e i capelli nostri e suoi che si inanellano di azzurro.

Domani mattina per via dei sogni saremo intrattabili e pericolosamente radianti. Appassionati e innamorati di ‘niente’. Una fortuna. 

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le mani di Pina Baush


Posted By on Mag 27, 2011

le mani di Pina Baush (*)

Ci accostiamo a tentare una serie di termini sconosciuti alla biologia : destino, immagine, colpa, figura, malattia, tempo di natura e tempo umano, nulla, vitalità, vita, rapporto, storia, scoperta, genialità, bellezza, fallimento, resistenza, opposizione, dolore. Cosi concludevo il precedente enigma. In nota, quasi per continuare, mi pareva necessaria una piccola aggiunta: termini sconosciuti ed alienati nella irrealtà di una loro natura ‘spirituale’. Un commento precisa: termini che nella irrealtà di una loro natura ‘spirituale’ saranno alienati e personificati, resi incontrollabili e temuti. Continuo sedotto dalla facilità apparente di quanto si accerta come una imprevista coerenza della proposizione occasionale.

Da tempo l’idea della vitalità della scoperta della vitalità non si esaurisce più nella seduzione di avere accesso a nuove possibilità espressive, piuttosto si affranca dal rigore, veleggia alla volta delle nuvole che attraversarono il cielo di due giorni fa. Nuvole ‘ricordo di nuvole’. Esse una volta fotografate in un certo modo furono utilizzate per alludere alle rappresentazioni dei surrealisti affinché fosse possibile definire sfilacciata la trama di organizzazione dei saperi sotto forma di trattato con la quale la scienza si impone da tempo immemorabile. Destino, immagine, colpa, figura, malattia, tempo di natura e tempo umano, nulla, vitalità, vita, rapporto, storia, scoperta, genialità, bellezza, fallimento, resistenza, opposizione, dolore furono termini che poiché si sottraevano alla biologia nei trattati furono alienati venne loro attribuita una irrealtà di natura ‘spirituale’ e, alienati e personificati, furono fatti percepire incontrollabili e temibili e alla fine, poiché oramai temuti, sottratti alla scienza medica degli affetti, esclusi dalla conoscenza. Ma essi sono configurazioni del pensiero che nasce nell’uomo per la vitalità della sua specifica biologia di fronte allo stimolo dell’assenza e all’irrealtà del nulla.

La nuvola assorbiva la luce e galleggiava, perché l’avevo inquadrata come fosse la sola nel cielo, perché volevo fornire l’idea di un evento naturale improbabile e dunque meraviglioso cosicché tutto il resto fosse oggetto della stessa meraviglia: così la luce azzurra del cielo  che pioveva riflessa sull’obbiettivo, così la probabilità che -con piglio surrealista- quel cielo surreale potesse ricadere sull’idea di sottostanti piazze metafisiche. Per sfuggire la forma del trattato, in verità una solitudine da manuale, mi mettevo a disposizione fugaci occhiate blu scuro, sguardi come accordi obliqui carezzevoli, mi immaginavo in saloni di festa di geometria irregolare, oppure coperto di pioggia nella tribù di una foresta tropicale del terzo millennio. Da tempo è in questa forma che si fa vivissima l’idea della vitalità della scoperta della vitalità, e rende del tutto trascurabile il fine di una nuova capacità espressiva: sembra voglia imporsi la costrizione ad un affrancamento dal rigore. In questo mare si veleggia ai prati, al cipresso degli appuntamenti d’amore e di infedeltà, alle rose e soprattutto alle pietre disegnate per la liquefazione degli orologi di Dalì, per sollevare il dubbio a proposito della natura sostanzialmente casuale del pensiero e accrescere il sospetto se i sogni di Magritte potessero essere stati davvero ‘nuvole veleggianti’ .

Le mani di Pina Baush sono una nuvola. Nella sua coreografia chiamata “Bandoneon” ci sono quelle ragazze e donne e uomini così ‘maledettamente comuni’ che paiono strappati per caso alla vita di tutti i giorni e messi lì nello spazio del balletto come miracoli metafisici per via di quella loro aggraziata presenza nel mondo quell’essere evidentemente realizzazioni di un modo artistico di pensare di una donna forte che pare aver preso quelle persone come le avesse scelte al mercato delle nuvole e nel farle ballare manifesta i pensieri che affannano gli esseri umani e sono pensieri di amore e pensieri a proposito delle potenziali nuove sorprendenti teorie della politica – e sono i pensieri delle soluzioni possibili e del dolore di quello che non è possibile di quello che non c’è ancora per porre fine agli affanni dei quali si compone la storia quotidiana delle persone.

Le mani di Pina Baush mi paiono riproporre l’essenza dei sogni, il loro movimento pieno di grazia inarrestabile. L’accordo operoso con cui si affiancano si intrecciano e si liberano mi ha fatto venire alla mente l’accuratezza di metodo della ricerca di quelli dei quali ho amato il silenzio travolgente. Le ombre e le luci di cui sono portatrici quelle mani chiariscono ai dittatori che c’è una irrazionale possibilità di accordi reciproci non solo tra mani esili ma addirittura una possibilità di tutti gli accordi possibili tra popoli in cammino e tra ceti differenti di una società maltrattata e divisa. Le mani di Pina Baush hanno il candore luminoso delle nuvole, la forza indispensabile a fotografare il cielo certi giorni in cui bisogna ribellarsi ad una solitudine fastidiosa. Ho rintracciato la bellezza delle mani di Pina Baush così chi vuole può vedere come casuale sia la grazia, capire quanto smisurata sia l’importanza del termine vitalità nella cultura della scienza del pensiero umano che presiede al miracolo del movimento incosciente.

Aggiungo per mia pura soddisfazione che è lei, la grazia in esame in causa e in questione, che determina la coltura dei gerani sulle terrazze dei volti degli spettatori del cinema delle opere e dei balletti. E realizza la cura delle fioriture ai balconi delle anime degli spettatori dei teatri e dei concerti. Essa si occupa della precisione della irrigazione del riso per quelli assiepati in file parallele concentriche nelle sale dei concorsi di ballo e alle panchine di ferro curvo sotto la pensilina delle stazioni delle capitali liberate dagli invasori. Quando gli invasori sono vinti alla fine dei conflitti, quando le stazioni si affollano di fumo sbuffante e il fumo si dipana nell’aria e svela figure di amanti e le figure appena emerse vengono subito folgorate dalla luce negli ioduri della lastra sensibile perché il fotografo li ha scelti tra mille altri per via proprio della vitalità implicita nella grazia furente di una posa ad alta temperatura sentimentale.

Qualcosa sotto la nuvola di due giorni fa, all’ombra luminosa di quella nuvola, si è mossa oggi scorrendo inavvertita come due mani magre che avessero dissotterrato un anello perduto da un turista al margine di una piramide.

Siamo stati a lungo spettatori assetati del consenso della musica, pur se poco sappiamo di armonia e composizione, e si è sognata tutti quella musica come un vestito rosso. Abbiamo esercitato per anni attimi di jazz proletario, e letture precoci per alimentare  le nostre premature speranze.  Adesso la farfalla sembra venir fuori, ma la grazia e la discontinuità -rivelatrici del pensiero non impazzito- sconsigliano movimenti troppo impegnativi del corpo nello spazio. Solo così potremo infatti continuare ad avvertire la sfocata bellezza dell’irrisolta questione di ciò di cui non si può parlare, della posizione incontrovertibile della punteggiatura nella frase, delle riprese di fiato nella recitazione e nel canto lirico, di altri fenomeni dell’espressione di noi verso un mondo inattendibile, e della necessaria discontinuità che sola fa fede della vitalità altrimenti insospettabile.

Si è chiarito che la durata dell’intenzione non è sostenuta da alcuna struttura ferrea, da nessuna legge fisica intransigente e bisogna pensare ai funamboli tra i grattacieli quando si illustrassero le libertà immaginative.

Bisognerà confidare su barriere di fucilieri armati di SI e di NO rivolti genericamente in fuori e in su verso le lune d’agosto, tutti impennacchiati di ardore, rossi alle guance per il rinculo continuo di spari che si perdono nel vuoto illuminato dalla magia al fosforo dei flash. I nostri inviati sul limitare del mondo portano cattive notizie, telegrafano con intermittenze intelligenti che il mondo travolge i sensi con strepiti di minimalismo ironico da parere saggezza e – all’opposto e dunque al peggio – con ideologie tirate su frettolosamente come i tendoni della protezione civile sulle rovine dei terremoti che risultarono – neanche tanto tempo fa – argini eretti contro le nostre speranze da raffazzonate inculture nazionalistiche.

Per adesso è il pensiero che dovrà essere riconsiderato nella sua natura. Noi sappiamo di un mondo che, essendo ottuso e inanimato, fonderebbe la materia del pensiero in un attimo se esso volesse applicarsi con rigore al dato muto dell’esistenza delle cose senza vita. Dunque la vitalità assicura al pensiero la discontinuità indispensabile a modulare sapientemente (ma per noi è ‘naturale’) la relazione con le ‘cose’.

Ora di nuovo possiamo ricordare: ci accostiamo a tentare una serie di termini sconosciuti alla biologia : destino, immagine, colpa, figura, malattia, tempo di natura, tempo umano, nulla, vitalità, vita, rapporto, storia, scoperta, genialità, bellezza, fallimento, resistenza, opposizione, dolore. Se mi chiedo una ragione di parole che sembrano evocare qualcosa in più di una semplice trasformazione delle capacità espressive, qualcosa che va oltre la proposizione esclusivamente personale, ritorno alla frase di poche righe sopra che dice chiaramente che da tempo la potenza della vitalità della scoperta della vitalità – non esaurendosi più nella soddisfazione seducente di avere avuto accesso a nuove inattese capacità espressive – piuttosto mi si è mostrata come una costrizione alla ribellione, un imperativo categorico ad affrancarmi dal rigore di valutazioni prudenti per veleggiare alle nuvole di ieri, al vuoto azzurro del cielo che è l’idea astratta della conoscenza della vitalità che non ha immagine ma non si confonde più nella mente con l’irrealtà che è pensiero senza la vitalità della quale da un po’ si cerca di dire qualcosa .

Oggi le nuvole di ieri si sono legate alle rappresentazioni della vita dei surrealisti quel tanto che, senza fare alcuna confusione di significati, è solo una divertita tecnica figurativa, una licenza grafica, o una fertile contaminazione, per dire che le nuvole care a certe rappresentazione dell’astrattismo surrealista suggeriscono che possiamo pensare possibile che la trama della forma di trattato, con la quale la scienza si impone da tempo immemorabile, si sia definitivamente sfilacciata

E’ là di fronte a noi: c’è una piazza piena di ragazzi indignati i loro corpi tatuati a dire no notte e giorno, ragazze e ragazzi che lottano e si esprimono anche dormendo, come avessero scoperto che il sonno che li espone alle peggiori repressioni poiché essi perdono il controllo cosciente sulla realtà dell’odio dei tiranni – pure forse è lotta e ribellione  perché c’è una possibilità di comprendere una vitalità diversa dall’istinto dell’animale perché quei ragazzi e ragazze non hanno l’istintivo bisogno di realizzare la sicurezza fisica per tornare al sogno e alla nascita e dormono sotto gli occhi dei dittatori realizzando la certezza del diritto ad essere attraverso la realtà incosciente del compagno e della compagna addormentati gli uni accanto agli altri.

C’è una piazza surreale sotto un cielo del potere politico ed economico dove dormono e sognano giorno e notte molti ragazzi e ragazze. Sono belli come le mani di Pina Baush, forse le mani di Pina Baush sono i ragazzi e la piazza tutto insieme.

Io non sono più solo perché guardando la Piazza della Porta del Sole piena di ragazze e ragazzi che lottano giorno e notte capisco che i miei pensieri di oggi si legano e forse sono gli stessi pensieri di ieri, pensieri della grazia necessaria alla lotta e alla ribellione, detti con parole sempre differenti che si alternano nella mente al variare dei timbri luminosi ed opachi di nuvole e cielo: che restano uguali da sempre. Sono parole come: nulla destino colpa malattia dolore figura. Poi: vitalità immagine tempo  storia. E infine: vita rapporto  genialità scoperta resistenza opposizione.

(*)qui

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