le cose come vanno

Posted By claudiobadii on Mag 20, 2012 | 2 comments


Dal nulla alla musica. Meglio dire dal silenzio. Ma la parola ‘nulla’ ha maggiore potenza evocativa. Il tragitto crea nella stanza un corpo temporale voluminoso. Una certezza di esistenza fisica. Il punto in cui il suono irrompe è una porta mondana. Si entra da qualche parte che vibra e scavalcando la luce porta al buio attraversato da filamenti armonici lungo linee musicali diverse. È la generazione del sonno come una collezione di foto di mare pendenti dal soffitto immediatamente colte appena alzato lo sguardo. Il ricordo del bar dove realmente sono esposte fa defluire all’indietro il tempo della musica nell’oscurità che si spande dal portale socchiuso che porta affitte le tesi di uno scisma post moderno. È la natura impulsiva del sonno quella bomba di improvvisa densità che si apre la strada secondo un ampliamento esponenziale. Chiarisce e illustra la fisica del sonno (suono…anche?) secondo una espansione di voci da una cattedra: parole alla volta e alla conquista di un anfiteatro infinito antico di fronte. Il modo di addormentarsi è privo di coreografie ma si può affermare che -seppure galleggi apparentemente immobile  sospeso nell’aria buia allo spegnersi della lampadina accanto al viso nostro- pure è, quella condizione impalpabile, un’onda intraprendente alla ventura, alla ricerca di noi. Essa si porta con sé, nella gelatina buia e profumata, il giorno passato e l’illusoria fiducia nelle conclusioni ragionevoli, generando un respiro calmo e onde cerebrali differenti: una sincronizzazione del tracciato elettroencefalografico che è biologia in modo di mongolfiere colorate, o dirigibili, o fiori gassosi in cielo, o camelie dai petali di albumina rossa e dorata.

Il buio per un tempo impensabile consente il nulla. Il nulla è termine rubato alla drammaturgia per dire l’impotenza della percezione cosciente degli eventi materiali. Il nulla farà domani letteratura del sonno. Farà, del sonno, scempio letterario, voglio dire. Il pensiero racconterà alla persona accanto a noi il vocabolario di termini che suoneranno parole seducenti, risultanti e residui di una catastrofe. Narreremo, scrivendo e gridando, del pensiero nella voragine, il corpo sprofondato nel burrone al fondo della biologia del pensiero notturno. Le labbra risvegliando la paura saranno fantasmi splendenti del terrore e insieme del coraggio impavido necessario a non cedere nel momento della scomparsa improvvisa del tono muscolare. L’inermità in cui ci siamo venuti a trovare ogni volta nel lasciare la vita cosciente insieme alla forza attiva delle intenzioni e delle previsioni è un implosione possibile, ma soprattutto un’onda di luce che urta contro il vetro caldo che si spegne nella stanza e rientra in noi. Il pensiero resta affidato alle tesi dello scisma inchiodate alle ali grandi e nere del portone socchiuso sull’oscurità dentro la cattedrale.  

Mentre il volume elettronico del pensiero monta furioso prendendosi il giorno col sonno, di noi non resta che lo sguardo altrui ipotetico richiamato da fuori. Lo sguardo del padre e della madre nel teatro dell’infanzia. Il tanto nominato non cosciente del troppo trascurato primo anno di vita. Quel primo anno non è storia, è fisiologia. Nella ricerca sulle variabili modalità e capacita di addormentarsi c’è molta medicina, quasi tutta la psichiatrica, il loro prossimo indissolubile destino. I loro successi avvenire. Non saranno più celebrazioni letterarie le interpretazioni. La conoscenza della fisiologia del pensiero si disincaglierà dalle metafore psudoreligiose della genesi. Il pensiero sarà la concezione sorridente del fiorire di successi contro il tempo inutile. L’impegno una fisionomia. 

I medici psichiatri o fanno scienza pur nello scrivere le loro dichiarazioni d’amore e di intenti, o, al peggio, certo assai frequentemente, pessima letteratura. Anche (soprattutto) in forma di affermazioni scientifiche. Perché è assolutamente difficile la ricerca del pensiero che va dal nulla alla musica, che sarebbe meglio definire come dal silenzio al suono e però si lascia la parola ‘nulla’ che è ‘sbagliata’ ma ha maggiore potenza evocativa.

Nel cadere nel sonno si intercetta il trascorrere limpido del fenomeno che genera l’immobilità perfetta che a sua volta fa del corpo vivo e voluminoso una realtà secolare che ha perduto la divinazione della coscienza previdente. Mentre aboliamo finalmente tutti i rumori esterni la poetica scientifica del sogno viene narrata come certezza fisica: è il punto in cui durante la veglia, in genere, il suono affascinante della musica irrompe attraverso una porta mondana tattile o acustica. Entra vibra e scavalcando la luce arriva al corpo scuro accaldato che sviluppa energia nella camera che abbiamo a pigione, attraversata da filamenti armonici lungo linee musicali diverse. Come fossimo, giorno e notte, pur secondo modalità differenti di fisiologie esistenziali, l’esausta madame Curie all’opera, con l’uranio sul comodino e i capelli nostri e suoi che si inanellano di azzurro.

Domani mattina per via dei sogni saremo intrattabili e pericolosamente radianti. Appassionati e innamorati di ‘niente’. Una fortuna. 

2 Comments

  1. La poetica del silenzio , carezza dello ‘sguardo’.

    Innamorati sì.anime perse..uomini liberi entriamo nella vasta silenziosa regione desertica alla ricerca della città oasi,alla ricerca di noi.noi sapienti musicisti ogni notte ci lasciamo andare alla poetica del silenzio, a mettere in croce il tempo ,per la nascita ancora ,di un suono nuovo . lasciamo la narrazione di ieri. nella melodia del sonno creiamo immagini frammentate di suoni multicolori che irrompono improvvisi a irradiare il ‘corpo’..
    ..anche se.. talvolta..
    le cose vanno come vanno e no come dovrebbero.

  2. Mongolfiere… che bello. Ci metto anche la storia di Charles Bliss, ingegnere austriaco, scampato ai campi di concentramento, sbarcato in Cina. Resta affascinato dagli ideogrammi e inventa un nuovo linguaggio universale. Immagini al posto delle parole? Forse il recupero del suono, dove la musica non basta? Ho dormito moltissimo, e ora che trovo quella calligrafia bellissima del biglietto… dico: Una fortuna.

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