vitalità


C’è la possibilità di intuire che se esistesse la simultaneità, nelle azioni di conoscenza di fenomeni che accadono in differenti sistemi, potrebbe altresì essere che l’inizio del tempo contenga simultaneamente la propria fine. Lo spazio fisico ci assicura che questo non possa accadere. Il tempo necessario a pensare il nome di una divinità la tira giù dalla sua pretesa inaccessibilità, essendo il tempo derivante dall’inclinazione della materia alla propria rigogliosa consumazione.

Dedichiamo per questo motivo ogni nostro movimento all’affetto di rapporto. La vita del pensiero è funzione del tempo e sa conferire esistenza di cosa ad ogni idea di pretesa perfezione. E questo solo per radicare il pensiero di stamani alla vita di sempre. Per costruire l’esperienza. Sai come accade: la vitalità è funzione di superficie e di confine per fare la separazione e il riconoscimento, per fare il riconoscimento poi il rifiuto o l’accettazione.

Ma ora conta esprimere la storia di uno spino nascosto lungo la siepe del giardino. Quando penetrò nel fianco mentre traversavo. Si può pensare ad un accidente bruciante del corpo che si piega e si storce e suggerire una ricerca se sia questo un segno di scarsa vitalità, di ipersensibilità in punto e anestesia, per il resto. Oppure disegnare con lungimiranza il futuro (una volta che si sarà accettata la scoperta della vitalità come funzione della vita mentale umana, e si sarà cercata la sede di questa inattesa funzione per adesso scoperta tramite esperimenti di pensiero) disegnare, dico, un panorama d’arte e architettura del territorio: che la puntura della spina si diffonda a tutto un corpo adesso dormiente, che faccia nascere il dolore diffuso sostenuto e disperso nel pensiero figurato di un sogno di donna che si sveglia e si alza.

Ogni giorno il ritorno alla veglia e alla coscienza il dolore da un fianco si è irradiato dalla punta dei piedi alle foglioline verdi tenere al vertice dei rametti dei tuoi e miei capelli. Vento alto e fruscio delle piante sull’erba.

Mi riservo di illudermi di un grido acuto di allegro disappunto, una cascata di semi appuntiti che volano via con la voce in astronavi microscopiche perché il ricordo del sogno ha alla sua base la nanotecnologia dei differenti sentimenti e della corrispondente loro forma vocale secondo la specifica allegria di specie, la strafottenza umana di essere contro natura. La ferocia della salute fusa alla bellezza. Il sorriso non alterato. La guarigione dalla malattia. O, più semplicemente: svegliarsi accanto.

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il raggio nuovo


Posted By on Gen 22, 2017

C’è un telo chiaro opaco su ogni (presumibile) figura. Così sullo schermo oggi che i flussi della connessione sono tardivi non si ricompongono i dati per la trasmissione di cose virtuali. Così dico che non vedo niente ma è solo che quel che vedo, icona traslucida omogenea, non è ciò che aspettavo.

Ma anche il chiaro sfondo è figura. Ci si aspetterebbero segni diseguali, questo è. È questa la piega che hanno preso le aspettative. I nostri pensieri in fuga si aspetterebbero terre coltivate e città. Siamo figli dei racconti del passato. Fili di favole tessono il tappeto della nostra vita psicologica. Che è oramai una premessa dell’esistente. Una clausola escludente.

Così non possiamo sapere, da una riflessione ragionevole basata esclusivamente su erudizione, come si mossero gli sciami preistorici. Se ci furono una figura chiara, un opale rettangolare, o uno schermo di pura attesa a sospingerli in fuori.

Quel che si legge nei musei delle grotte è già tardi. Nelle stazioni di posta della corsa evolutiva i predecessori erano già lungo le vie delle transumanze predatorie ed avevano in mente, quanto meno, bisonti verso i quali scoccavano frecce lungo parabole misurate perché sapevano di già le leggi fisiche del moto flesso dalla gravitazione.

E prima? Prima mi appare chiaro nel chiaro del rettangolo radiante dello schermo. Prima è nelle icone deserte, nella galleria disertata da qualsiasi figura, nelle tele di madreperla su cui si è dipinta una serie di sfumate tele di madreperla differenti tra loro e opposte al manierismo del nulla.

Prima le cose non derivarono da una sottrazione di flussi. Prima è l’espressione energetica della vita fisica dei substrati. Superficie vivente di un epitelio trasduttore. Prima è noi quando capita che siamo vigili diurni incoscienti.

Prima ci spinge in fuori più che semplicemente in avanti: a non lasciare intentato il risveglio. Frazione di infinito, prima è ogni volta lo shock estetico alla fine del sonno quando noi risorge dal buio della biologia indifferente portando alla luce la notte nel racconto di un sogno.

La vitalità di un epitelio è il confine traversato che esclude, oltre sé, ogni presunta figura che dunque non si forma sul monitor e mostra lo schermo muto e brillante e delude l’aspettativa di un a/priori. Lo schermo va a stimolare una nostra insofferenza, un nostro fastidio, una nostra irritazione che insieme ci impediscono di risiedere e ci costringono a progredire.

Uscirò stanotte a tentare ancora un percorso senza direzione. A bruciare, nello sforzo muscolare dei passi, il passato. Verso una con il volto buio e la risata rossa che guida su di se il nuovo raggio.

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La resistenza è dolore: perché il ‘vivere nonostante‘ costa molto. Prima o poi dunque, ma sempre, si vuole la liberazione dal dolore corrispondente a quell’opporsi soffocante. Quando il lavoro della resistenza non è più necessario si sente la cessazione del dolore: un benessere che non deriva da azioni positive che abbiamo effettuato ma da riduzione e sottrazione. Non si è ‘più leggeri’ ma semplicemente abbiamo deposti dei pesi che non avevano mai fatto parte della nostra costituzione anatomica. Siamo quello che siamo: non un grammo di più. Forse quello cha avremmo potuto sapere di essere in essenza, che il lavoro di resistere per essere nonostante ci aceva tenuto nascosto. La cessazione avviene per cambiamenti interiori: quando l’esterno è allucinatoriamente percepito ostile e poi viene riconosciuto praticabile. Ma a volte è grazie al venir meno di situazioni oggettive di odio e di cecità con cui avevamo a che fare. È complicato rendersi conto che il ‘nonostante‘ sia lo stesso nei due casi per cui ci si difende dai fantasmi che noi stessi abbiamo inventato con la stessa determinazione con la quale ci opponiamo alla distruzione che viene da una realtà esterna. Dunque la resistenza da sola, perdurante questa genericità non può essere, o non dovremmo contentarci che sia, l’unica nostra risorsa. Neanche la vitalità che la sostiene, pensata come fatto legato ad incrementi energetici di azioni muscolari, è dirimente. Il concetto di conoscenza non riguarda infatti solamente la quantità delle nostre acquisizioni ma la modalità con la quale esse vengono assunte. Si può ipotizzare dunque che la vitalità -che è funzione di limite fisico e psichico insieme-si estenda fino alle ‘fibre’ dei singoli atti percettivi separando, via via che essi si attuano, la realtà dalla fantasticheria. Si può tentare di sviluppare una idea meno muscolare della vitalità. Che diventerebbe un fenomeno di barriera intelligente, una azione di epitelio negli scambi di contatto tra noi e il mondo esterno. La massima precisione di intuizione sulla frontiera fa una nuova presa d’atto del mondo e riduce gli sforzi per sostenere la lotta fisica con mostri che la distorsione illusionistica della natura delle cose e dell’interiorità delle persone portava come conseguenza inevitabile. Come sia possibile eventualmente verificare una tale ipotesi non so dirlo. Forse intanto imparare a esprimere con parole sempre più adatte e costruzioni grammaticali sempre meglio costituite una asepsi chirurgicamente efficace sulle piaghe di una cronica confusine che dovremo operare.

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la raccolta delle rose


Posted By on Apr 1, 2016

La piuma e la pietra senza peso nella geometria dei giardini aerei. I frammenti nelle chiome di cometa. Viaggio nella storia della scienza. La stanza dell’ambulatorio è un’astronave.

Le mani dei piloti si aprono nel sonno. La destra per prima. La sinistra si apre seconda. Come sboccia un paracadute. Come una sorella paziente e tempestiva.

Terrazza sul precipizio. Incoscienza di alpino. Gli asini ridenti lungo le mulattiere. Facce della pazienza che servirebbe. Che non si possiede mai intera.

Nel sonno si mostra. Sul palmo della mano che si apre. Raccoglie la piuma e la pietra che scendono insieme. Si sogna.

I piloti. Di riportarci a casa. I chirurghi. Di salvarci la vita. Di incidere con la mano pilota. Di fermare il sangue con carezze e tamponi con l’altra.

Le tue mani. Senza peso nel giardino. Una accarezza la rosa porpora. L’altra recide il gambo viola-azzurro. I colori colti dagli occhi in un rigo di sangue. Le rose al seno.

Le due mani stringono già il gambo della rosa successiva. O sono code di una cometa. È una mietitura o la storia sintetica della cosmologia?

Sei tu qui accanto? Sei quella che sempre regala la vitalità della pazienza?

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stagnazione politica


Posted By on Ott 14, 2015

Una valanga di illegalità infradicia i passanti senza scampo. Nell’aria acquitrinosa una mosca primordiale microscopica macchina della febbre che si moltiplicherà inarrestabile: vola goffa schiantando ogni goccia di pioggia che incontra. La palude è chiusa in alto nascosta. Escludono il cielo tralci fitti infarciti di uova di zanzara che aspettano di schiudersi per liberare miliardi di versioni del soggetto autistico: ognuno si sa si ammala a suo modo. La politica che congela in fondo alla palude manda del proprio ghiaccio in aria aghi, deliri, sincopi, accumuli di pensiero, contrattempi, decreti e fatalità ulteriori che non pensavamo possibili. È una nuova malaria imprevista la febbre prende quelli che erano liberi ai tempi prima che l’ironia diventasse irreversibilmente cinismo.

La scoperta della vitalità dice che essa è una funzione derivata dalla trasformazione della carica libidica del feto durante la vicenda perinatale. Bisogna intendere che la traccia di una persistente omeostasi di calore e quiete, vissute dal feto nell’indifferenza della biologia intrauterina, sappia escludere ogni conseguenza dell’improvvisa scomparsa, durante il parto, della precedente realtà ambientale. Essa, la neutralità omeostatica, diventa invece la funzione mentale del neonato che si oppone alla turbolenza esterna senza subire alcun trauma. L’acqua era fuori a stimolare progressivamente la pelle e mantenere la temperatura necessaria. Le sensazioni relative a tale stimolo esterno davano forma alle connessioni neurali fini a che quella forma diventa per la maturazione delle strutture anatomiche una ‘traccia’ che consente una funzione della mente che appunto è detta ‘vitalità’.

Essa non ha una rappresentazione però si è detto che appena si realizza, al parto, consente un soggetto (Io) e un suo primo pensiero: una certezza. Non c’è traccia di un trauma della nascita.

Senza tale trasformazione, in effetti, al contrario, la nascita non c’è. Freud poté affermare che la nascita non ha l’io, non avendo potuto pensare la vitalità. Restò solo un bambino leso dalla nostalgia.

Se oggi possiamo opporci alla politica e alle numerose forme dell’autismo che si incontrano nella politica e in certi ambienti sociali, se non ci si ammala della febbre della palude, se il volo di sciami di mosche bagnate non ci dispera: è forse per la vitalità. Essa è soltanto suono di un’idea: che si può restare quieti fino a quando arriva la forma di vita di cui mai abbiamo avuto esperienza ma di cui siamo certi.

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