amori


È troppo, è stato detto. Così il freddo vuota la spiaggia. La veranda del ristorante sul mare è impraticabile. Il vino bianco è sconsigliato dal cameriere, con questa temperatura. L’uomo ne ordina comunque uno di gran pregio. Il soggetto di storie bisogna che abbia coraggio.

Che uno sia umano, vuol dire, in questa visione di autunno inoltrato, che lui, o lei, bisogna che si espongano in modo non metaforico al vino e al vento.

Ordinare inaspettatamente, insistere, eccedere appena, o il molto lavorare, l’industriarsi, mai in un travaglio ma sempre nell’insistenza di riproporre un’intuizione come fosse certezza, volere con il sorriso sono attitudini del soggetto del coraggio.

Lui/lei, cioè, sulla spiaggia del romanzo, chiunque ogni volta ‘andando’ allo svolgimento delle proprie frasi s’affretta e s’adopra a definire e scandire l’operazione di precedere il compimento delle proprie stesse procedure linguistiche con parole o inflessioni della voce o rappresentazioni in manufatti operosi, è: -sia il giovane visionario riparato dalla sua miseria all’angolo di strada -sia il fante di trincea che sperimenta, a causa di una giovinezza impulsiva, la fatalità fino a dove essa diventa sanguinaria.

C’è un ansito, nello slancio dell’assalto delle mani sulle opere, della stessa potenza dell’immobilità di un cantante cieco all’ombra di un portico.

A volte, il giovane o la ragazzina che siano scampati alla guerra dell’obbligo della propria adolescenza, sono mendicanti con occhi finalmente guariti.

Essi si gettano in un lampo all’assalto dei fianchi l’uno dell’altro che si intravede oltre un lembo di stoffa e il bagliore lunare di un sorriso. Nella Città del Tempo, Via della Capitolazione Nuova.

È, quel coraggio inconsapevole, un caso del soggetto grammaticale: eroe (o eroina) della sintassi essi soggetti esplicano l’eterna esplorazione di sé del sé. E portano avanti il progetto di un mondo invisibile che serbano in mente.

Scrivere è scrivere la Storia del Futuro. Fornire una definizione di essere umano progressiva e mai definitiva. Chi scrive deve avere il coraggio di costituirsi come conseguenza di gesti di iniziazione ripetuti. Sapere di essere esito ed esperienza di atti intuitivi ricorsivi. 

Il soggetto ha il movimento della crisi determinata da un desiderio e -all’opposto- l’imprevedibile gesto di guarigione dal desiderio nella cessazione della scrittura. Questi atti sono due tenui fessure traslucide sulla buccia scura dei semi narrativi.

Non è plausibile la scuola di scrittura creativa che è un inganno se il soggetto non si fonda sulla buona volontà cosciente ma sulla capacità di svolgere il tema dettato al soggetto da un precedente motivo.

Semmai dovremmo studiare alla scuola di guerra e di canto per tirare a campare le frasi come figlie di eventi involontari.

L’iniziativa verbale di un gesto dichiarativo (“yo te quiero“) e la flessuosa muta distensione del rifiuto di chi va via (“yo no te quiero màs“) sono l’accettazione e il rifiuto: i punti su cui si addensa tutto il coraggio delle proposizioni che disegnano le svolte decisive delle narrazioni e gli archi di portici ombrosi.

Tangente a quelle curve il cipiglio dell’attore impavido al vento della veranda interamente aperta sul mare autunnale risponde alla domanda di un dispotico sommelier : “Chi assaggia il vino d’inverno alle porte?”

Il regista dietro la macchina ronzante è preso da un dubbio. Se il soggetto sono la donna e l’uomo che agiscono pieni di impulso nello spargere sguardi lampeggianti davanti a loro e se ne vede bene l’impeto esplorativo, però non si vede il seme che genera l’intraprendenza.

La natura fisica della vita biologica che tiene e esprime la potenza del pensiero necessita di un nuovo attore: “Deve essere Omero all’angolo della strada”, ordina alla segretaria di produzione. E comanda una pausa.

Nella pausa ricordo. Venni verso di te spinto dal calore estivo e specialmente a causa di un raggio di sole che mi batteva i fianchi. Fu un gesto di guerra che non generò morte seppure fummo vittime di qualcosa che però era buona perchè entrambi ci teneva assieme.

Una parte di quel qualcosa era la storia: come eravamo arrivati là. Una parte era la temperatura: l’erotismo umido della pelle accaldata.

E certo per questo ciò che poi è stato di noi e fra di noi fu anche evaporazione, al soffio dei tempi, che ha ridotto il divario tra dentro e fuori ed ha ricreato un equilibrio intorno al movimento storico dei nostro corpo politico, e addensato e conservato il calore in fondo alle fibre più intime dei nostri antiquati corpi biologici.

Oggi, a proposito del coraggio, prerogativa degli agenti di ogni storia, mi chiedo se la ricerca potrà mai chiarire in quale proporzione il calore estivo che sferzava i corpi fu causa (e ‘soggetto‘ …!) della nostra promessa d’amore.

Se fui io o quell’estate particolarmente afosa a vincere le opposizioni che sempre frapponiamo al nostro e all’altrui desiderio.

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pensiero gravitazionale


Posted By on Mar 22, 2014

Compito affascinante. La natura della realtà umana. Charcot e Türing avevano domande sulla realtà umana. Volevano forse vedere poco più in là del proprio naso dietro la fronte dell’altro? Beh sembra si. Türing passa fogli con scritte da computare tra macchine e persone. Le persone scrivono domande e di là si compilano risposte: come saprà l’uomo sperimentatore esser certo se risponde l’uomo o la macchina? Charcot per altro verso si sarà messo, cent’anni prima, a schioccare le dita e indurre la crisi pubblica nelle “isteriche” che rapidamente e per un tempo discreto assumevano atteggiamenti posturali (e non solo) di una “patologia misteriosa” che non era più parsa -nelle ricerche di anatomia patologica- riferibile ad alterazioni grossolane del parenchima cerebrale. Intanto che si pensa questo, poco a poco, la crisi si risolve in una indifferenza definita ‘bella’ per dire impensabile improbabile imprevista ma, soprattutto, ostinata e impenetrabile. T. e C. li lascio come cilindri di un motore a scoppio, portali dell’ingresso tempestoso ad un buco nero, per raccogliere energia di rimbalzo e compiere una scampagnata poetica sul ponte dell’irrequietezza…. oggi che è primavera. Hai sognato un regolo di misura, una freccia nell’occhio. Aaàah urla il pensiero nel cominciare la relazione. E devo capire il dolore e sorridere, per trasformarlo, come sempre, in eleganza. Io stesso avevo scritto di un acuto dolore al polpaccio, ma ‘lei’ ha detto -interpretando amorevolmente il contro transfert- che allora ero Frida Kalo alla ricerca del medico affrescatore, l’amante bambino che mi togliesse il senso del dovere che da sempre mi tiene ad essere bravo di fronte a chiunque. Per questo dunque avevo tolto la poltrona di fronte, fanno oggi tre settimane (o quattro forse). Non sapevo perché. Spingendo via la poltrona pensavo che avrei potuto farlo anche prima. Ma mi viene detto adesso che addirittura, fossi stato più ‘sano’, avrei dovuto farlo mooolto prima. Perchè chiunque si sedesse là, senza alcun suo ‘volere’ avrebbe evocato la mia tristezza come la traversa di ferro aveva infilzato una ragazza di diciassette anni appena innamorata un giorno in Messico. Non si sa perché viene questo legame profondo di conoscenza tra me e gli analizzandi. Viene comunque oggi che è primavera, per operarmi, liberarmi, lasciarmi sanguinare e vivere le conseguenze nella cura e riabilitazione. Sarà che ricordano che il 21 marzo 1986 consegnai loro il manoscritto del primo capitolo de ‘Lo psichiatra innamorato’ e fui ferito e adesso è la primavera del ricordo, è il risveglio dalla malattia provocata dalla ferita. Questo ‘amore’ per la ricerca è un risveglio continuo insomma è vita che non passa ogni giorno che passa. La vita di cui devo parlare da medico lasciando nella tasca calda il tuo anello nascosto agli invidiosi. Lasciando il romanticismo delle aspettative ma tenendoti come un talismano scientifico, come un antibiotico sicuro che mi salverà la vita, uno di questi giorni. Lontano nel tempo, come gridava il mio cantautore più amato. Lontano domani, domani lontano da oggi che mi salverà la vita una pasticca un preparato galenico estratto  sentimentale delle tue mani. La passione per il metodo dello studio la solitudine la marginalità le traversate la sabbia le strade sabbiose le ombre estive sedere sui gradini delle scale (e molto altro) è l’acquisito che non passa…. e perché dovrebbe poi? Che puoi non interpretare ma poi le cose vengono da sole. Vengono gli amori non cercati come sempre sono venuti. Io avevo quella fermezza del ferro dei binari che traversa la vita ma ora resta un acciaio lucido non più orizzontalmente disteso. Ho avuto la fortuna di comprendere che il non cosciente ha una logica non lineare, e una volta dicevamo che dunque somigliava a comportamenti quantistici. Però mi sembra più proficuo se alla concezione di un invisibile sub-liminare e irrazionale, di natura un po’ filosofica, avvicino il modello di una fisiologia gravitazionale, per avvicinarmi a stati fisici della mente nel suo spumeggiare continuo dal mare cerebrale. Forse è solo la ricerca di formule e linguaggi sempre differenti che mi paiono scivolare più agevolmente nell’universo delle reti neurali. Di fatto la ricerca pretende d’essere più vicina al vero di altre prassi. Più della costruzione di ponti e dell’arte della scultura. Derivare dal rapporto che il dolore acuto al polpaccio era -più che una tristezza -l’accadere improvviso di una attivazione sensoriale per la luce gialla che esplodeva (così avevo scritto) nella sala. L’esplosione portava l’idea di una deformazione della trama spazio/temporale. E le deformazioni di quel tipo sono fonti di energia smisurata tanto che fare il nesso con la vicenda di Frida Kalo non è una esagerazione! Ed è come dire, contemporaneamente, che il dolore può portare, con l’energia di trent’anni insieme in un punto, la genialità di una attivazione massiva del pensiero in un tempo quasi privo di durata, e insomma una irrimediabilmente nuova comprensione delle cose. Come è irrimediabile questa primavera. Ho cosparso la strada di fiori e parole per fare regali a più di un amore. Senza vergognarmi di avere tante persone in mente e sulle dita. Speriamo che restino, che non siano gelose le une delle altre tutte queste persone. Perché sono sentimenti forti che mi riguardano e senza queste relazioni d’affetti intensissimi non saprei esistere e non so come sia che gli amori non vengono mai soli.

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