funamboli e giocolieri


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“The Reproductive Revolution: Selection Pressure in a Post-Darwinian World
www.reproductive-revolution.com/index.html

“È una negazione la parte preponderante delle nostre affermazioni, se esse sono espresse senza bellezza”(… su queste pagine pochi giorni fa)

Allora la bellezza è un parametro per individuare il grado di umanità del pensiero dal momento che l’evoluzione è caotica e opportunistica e che improvvido e approssimativo e casuale si pone nello spazio/tempo ogni suo risultato. Che è un gradino e un passo di una condizione di non linearità. Mi siedo sulle ginocchia, sulle ginocchia mie. Con tenacia torno un ragazzo coi muscoli elastici e i tendini che restano increduli. L’atletismo ormonale della contrazione a sedici anni è resistenza, pazienza, attesa, e scatto contenuto. Insomma so, meglio di allora, che la mimica silente del sorriso ha la stessa qualità della potenza muscolare annidata nella promessa del sesso e del coraggio, prima dei tuffi dagli scogli. Seguo lucertole e api sui fichi dell’albero estivo. Finisco la lettura de “I SIGNORI DEL PIANETA” di Ian Tattersall. Il linguaggio, forse, potrebbe essere stato generato tra i bambini. Per via che essi pensano in modo differente dagli adulti. Il linguaggio, con la potenza contrattile che esplode da un silenzio che ne conteneva la potenzialità: è quella l’idea che viene giù, di un tuffo dagli scogli. Che gli esseri umani non sono provvidenza ma disordine. Che il linguaggio non serve per comunicare ma per pensare. Alle soglie mentre escono dal primo anno i ragazzini, ricordando un sogno…. potrebbero aver effettuato un tuffo evolutivo. Copio il testo di pagina 249:

Personalmente sono molto affascinato dall’idea che la prima forma di linguaggio sia stata inventata dai bambini, molto più ricettivi rispetto alle novità di quanto lo siano gli adulti. I bambini usano sempre metodi propri per fare le cose e comunicano in modi che qualche volta lasciano i genitori disorientati. Seppur per ragioni ESTRANEE ALL’UTILIZZO DEL LINGUAGGIO, i piccoli ‘sapiens’ erano già provvisti di tutto l’equipaggiamento anatomico periferico necessario per produrre l’intera gamma di suoni richiesti dalle lingue moderne. Essi inoltre dovevano possedere il substrato biologico necessario per compiere le astrazioni intellettuali richieste e anche la spinta a comunicare in maniera complessa. E quasi certamente appartenevano ad una società che già possedeva un sistema elaborato di comunicazione tra individui: un sistema che implicava l’uso di vocalizzazioni, oltre che di gesti e di un linguaggio del corpo. Dopotutto, come nel caso di qualunque innovazione comportamentale, il TRAMPOLINO FISICO NECESSARIO doveva già esistere. (…..) è facile immaginare, almeno a grandi linee, in che modo, una volta creato un vocabolario, il feedback tra i vari centri cerebrali coinvolti abbia permesso ai bambini di creare il loro linguaggio e, SIMULTANEAMENTE, I NUOVI PROCESSI MENTALI. Per questi bambini, ciò che gli psicologi hanno indicato come ‘linguaggio privato’ deve aver agito da canale, favorendo la trasformazione delle intuizioni in nozioni articolate che potevano quindi essere manipolate simbolicamente.”

Il sorriso si svolge rapidamente nella distensione delle fibre del procedimento di pensiero. Intuizioni, nozioni articolate, manipolazione simbolica. I bambini creano i nomi delle cose e il ritorno in sensazione di felicità è la via neurale di feedback che conforta e conferma. Ma anche richiama ulteriori dati compositivi dalle regioni sinaptiche prospicienti il vortice virtuoso che si è innescato. Nel segreto delle grida dei giochi i piccoli ‘sapiens’ -restando protetti al di qua dello stupore dei grandi- producono forse -più che ‘senso’ del mondo- la propria consapevolezza di sé medesimi, almeno per cominciare. La nominazione delle cose, l’attribuzione ad ognuna di un suono attraverso comportamenti fonetici appropriati, recluta e abilita nuove vie neuronali di consenso e guadagno. La sostanza dei mediatori implicati nella trasmissione lungo le vie nervose è l’esperienza del piacere endogeno che chiamiamo, oggi, il sé libidico. Esso non si serve dell’altro essere umano per il proprio godimento.

Eco senza Narciso, il linguaggio inventato dai bambini non è comunicativo ma espressivo. La nuova alleanza cui si allude nel testo di paleoantropologia, situata fuori di metafora in una società plurima e non più di soggetti neonati ma di personcine aurorali e capaci, sta nella condivisione dello stesso sistema di segni. Però è forse ancora, all’inizio, appartenenza implicita, non socialmente pubblicata, non riconosciuta forse, se non nella cerchia dei giochi. Quel pensiero privato sviluppa la nuova attitudine mentale verso scogli alti. Il mare che scintilla non attira al vuoto giù sotto e in basso, ma al cielo respirabile. Solo dopo, una volta maturata la fine attività di modulazione della mimica facciale coerente con la coscienza di sé, i ragazzini si fermano, guardano giù e, tenendosi per mano senza più pensare, dimenticando la coscienza ma senza perderla, volano lontano preparando il tuffo nel galleggiamento del corpo nel vuoto. È un sogno che si sveglia nel sonno dentro il quale si cade ogni notte.

Ora parlo dello svegliarsi. Di stamani. È la mattina di domenica un momento sensibile alla misura della qualità della vita. Ragazzini e adulti sfilano dalle camerette alla modesta superficie del soggiorno comune che è anche cucina e guarda il giardino. Di tempo in tempo, quando tra le otto e le una è concesso dalle distrazioni amorose, il pensiero ripercorre al contrario gli eventi evocati dallo studioso dello sviluppo dell’umanità dalla dis-umanità precedente: manipolazione simbolica, simbolizzazione, nozione articolata, intuizione…. Nessuno si occupa di questo che scrivo. L’espressione verbale della nozione articolata si pone perfettamente in una silenziosa ‘inutilità’ ed essa, l’inutilità è l’evento simbolico che protegge l’attività della mia ricerca intellettuale mattutina: il silenzio è una coltre di cotone profumato costellato di ricami, dei piccoli impegni di preparazioni di cucina, di disegni sui fogli bianchi delle due bambine, della apparecchiatura -coi tesori della pasticceria di fronte- di colazioni di gusti variabili.

E poi ci sono in aria i messaggi televisivi e c’è la richiesta se per favore qualcuno può (vuole) prendere il limone all’albero della vicina (quasi centenaria essa è perduta nelle regressioni della biologia che scompone l’integrità del pensiero e fa a pezzi il mondo e non sa più protestare contro noi innocenti ladri al suo giardino). Scrivo e intorno si ride si chiacchiera si aprono getti della doccia e si fa il disordine necessario a scaldare il mattino. Ai margini disegno questo deserto silenzio. Sopra sorge la notte, che non è il sole nero avventuroso del non cosciente salvifico, ma di certo il parziale declino delle norme verbali ragionevoli come esclusiva forma di espressione.

Ogni tanto grida di ribellione infantile tingono la scrittura del necessario senso di lotta contro la stupidità, volteggio nel vuoto prima della caduta del tuffo, e il vuoto è il paradosso incorporeo di questa disperata fiducia che con i miei simili potrò essere, alla fine, comprensibile in questo modo di scrivere, vivere e insistentemente cercare, da quando la coscienza mi permette di ricordare.

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l’animazione del cinema muto


Posted By on Apr 25, 2012

Miyazaki, Porco rosso: “Un maiale che non vola è solo un maiale.”

Poi il pensiero ha l’elasticità del legno. Ali mono-scocca nelle rimesse dei navigli. Si lavora insonni, la prima notte. Poi si assume la famigerata compagnia di giro. Chi non va a morire in guerra fa l’operaia. Operaie come api. Senza regina. Il pensiero della ricerca va alla medicina biologica che guarisce la malattia. Invece non si sa che dire della psicoterapia, perché la cultura e la filosofia non hanno il concetto di sanità mentale originaria, dicono soltanto sempre della nascita di un animaletto pazzo.

Alle parole del film di Miyazaki (‘un porco che non vola è solo un porco‘) ” Un pensiero di tutto rispetto!” mi sono detto e ” le specie animali non c’entrano niente.”  È affascinante l’era romantica degli idrovolanti che ha mezzi d’assalto alle fate e alle sirene, mezzi anfibi capaci di tutto per espugnare bastioni mozzafiato. Il film è ricco di una miriade di voli e tutta quella sospensione rende il tempo differente. I piloti sono ceffi mai del tutto usciti dall’acqua che la gravità li tirerebbe giù ma il cielo li salva in quanto li attrae. E il cielo -che ha la densità delle comete composte dagli eroi precipitati nei duelli di guerra, che ora volano altissimi insieme- quel cielo avrà la meglio

Di fronte a quella capacita di trasformare la strage in una colonna trasversale (una architrave) di migranti prescelti, mi auguro la ventura di riuscire in una possibile rivoluzione terminologica. Ora ho di fronte la malattia mentale che non può guarire nella sanità perché nella norma non c’è la nascita. Devo tornare all’idea iniziale, al fondamento anfibio anch’esso, come un pilota di idrovolanti, che il pensiero ha origine materiale, è -se non proprio esso stesso materia- un comportamento continuamente variabile della fisica della biologia.

Che genera la principale conseguenza che lo spirito non rientra nella fisiologia del pensiero. Lo spirito è esterno. Non ha esistenza di realtà umana. Nella mente ora, evocati dal film, i pensieri sono code di comete composte di particelle antidiluviane, arredi differenti su estensioni di coltivazioni cerebrali grandi circa un palmo. Su quelle distese Porco Rosso è diventato un maiale, dall’uomo bellissimo che era, e non sembra dare peso a quella storia, e sale nel silenzio aereo, così lontano che il motore non si sente più e il film diventa muto e il volo, senza acustica, il sogno di un motore nuovo fiammante.

Dunque, se anche non si può ancora affermare che si guarisce la malattia del pensiero -perché tutti dicono che l’uomo nasce pazzo e perverso- però si può fare un gesto lassù, appesi ad una scenografia anfibia come fossimo balene volanti, si può librarsi in linea retta fingendo il moto rettilineo e uniforme, fingendo il laboratorio ideale per l’esercizio di una meccanica che si attua tra Galileo e Newton. Si sa che fu poi corretta. Non importa, d’altra parte, alcuna conclusione definitiva. Bisogna solo dire che se la cura medica guarisce le malattie della biologia la cura psichiatrica dovrà almeno tuttavia rendere le persone migliori.

“Diventare migliori, al minimo.” Varato lo scafo abbiamo gridato – da così in alto che si è visto solo il nostro agitarsi muto – il proclama di un clown lottatore. È arrivato incomprensibile il filo di parole dalla ionosfera, gli organi sensoriali hanno registrato a lungo quel suono stellare che scendeva infinitamente e sembrava non finire, fino a che esso si è trasformato in uno stimolo corticale ed  è diventato un pensiero nuovo. Io dico riconoscenza e certezza. Il saluto di un protagonista anfibio. Di un essere umano che la fantasia ha trasformato in un porco che non è solo un porco perché vola. perché pilota cavallerescamente un idrovolante. Un pirata dell’aria che rifiuta specificamente il fascismo.

Chissà come è che faccio il nesso con la vicenda di Charlie Chaplin che si rifiutò di portare Charlot nel cinema sonoro che era iniziato nel 1929. “Luci della Città” è del 1931 e “Tempi Moderni” del 1936 e anche in essi Charlot non parla. Poi Chaplin lascia che Charlot muoia. (Che si perda tra le nuvole, penso.) Perché un porco che non vola è solo un porco. E Charlot non ha una voce, non l’ha mai avuta e quel mutismo sono le sua ali. E furono le nostre. (Charlot è un porco che vola, mi dico.)

Il silenzio della fine e della separazione nel perdersi tra le nuvole attratti dalla densità delle comete incute la soggezione e lo stupore e non l’angoscia. Miyazaki disegna comete di polvere e poi mostra la natura coraggiosa -non nostalgica- di quella polvere. Mostra le componenti eroiche dei singoli punti disegnati come gli inutili morti di ogni guerra. La ricchezza sprecata. Io pensavo alla natura fisica del pensiero. Alle particelle, agli sciami di punti di dolore denso e di bruciante gioia. La densità del lavoro della vita psichica ci attrae.

Bisogna lavorare ancora molto, soprattutto di questi tempi poiché siamo intellettualmente minacciati. Guardare il cinema aereo e geniale, le figure del disegno che mette a fuoco tutta quella luce senza voce del cinema muto. L’aria alta e lontana, la dispersione del suono, le miriadi di voli. Per non parlare a vanvera ho guardato “Le luci della città”. E’ una storia di amore, di povertà, di malattia, di ricchezza, di generosità, di guarigione. La generosità offre all’amore il danaro necessario per la cura medica di una cecità. La medicina trionfa.

Questo non fa della persona guarita una persona migliore. Ci vuole altro. Questa parte della storia, che è alla fine, vale davvero la pena.

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il distacco, la perdita, e la gloria dei tornanti

la bimba pensa al giorno del teatro. la luce colorata dei riflettori. l’ombra grande della regina del ghiaccio. il centro del mondo in un punto nello sguardo. ha in cuore i segmenti tra i propri occhi e gli attori. i piedi che non toccano terra sulle poltrone grandi che sembra di volare. il pensiero si forma in corpi senza peso. non è lo stesso di quando aveva camminato insieme ai compagni di scuola per arrivare.

è stato quando è entrata nell’oscurità della platea il distacco. gli occhi che dovevano adattarsi e il pavimento di cotone. una perdita mentre precipitava in quel mare di oscurità. con il dolore acuto è arrivata la nuova visione: l’arte del teatro. lei tutta sola di fronte a tutto quanto i mostri hanno in pancia e sulle belle mani.

tanto valeva mettersi comoda ai loro piedi. piccina piccina. ma almeno in una parte (su una poltrona) centrale. quando si entra in questi luoghi di magia e stupore possono comparire le cose tenute da parte. e l’immersione nell’area della commedia per lei era cominciata secondo tutte le più stringenti sensazioni e tutti i più diversi motivi di dolore legati alla curiosità. alla separazione. alla distanza. e alla perdita.

ti scrivo nel buio che non ci sei. dal buio che manchi. che mi scombini tutto per la tua forza di attrazione. come fossi il giorno -buttato fuori dalle porte scure- che amavo tanto. e la notte -che invece sei- tutto qui nel teatro senza ancora le luci. credevo che il dolore acuto allo stomaco era il passato.” 

all’improvviso una innovazione generale del mondo per colpa della sensibilità che ne coglie un altro -mondo. non impossibile.

ma può essere che aspetto, penso. è un dolore fatto di domande anche. sicché può essere le cose dopo oggi. il disegno. le interrogazioni alla cattedra. la voce della maestra. forse anche cose buone che devo imparare di nuovo a fare. a tirarle su “.

assorbito nella gran qualità dei colori opachi delle pareti via via emergenti. il dolore acuto è scivolato a terra con le frasi di pensiero narrativo. la gravità della intera faccenda risolta. l’aria illuminata radente i capelli di nuovo leggera. il dolore per la morte del padre dimenticato.  specialmente vanificato, dopo, con i farsetti delle ballerine di rosa antico e ghiaccio. con quel loro sgambettare quasi ridicolo. ridendo la ragazzina ha centrato al cuore la gloria delle future variabili di trucco per i suoi occhi. -verdissimi-.

la vedo. arrampicarsi in alto nelle corse in macchina, su tutte le vie litoranee del mondo. guardando il disegno. il rosso e il giallo che le ballano sulla testa: il racconto del tecnico delle luci divenuto una condensazione di colori sul foglio. candidata ideale per tavole di colazione con tulipani. solo per questo il titolo dell’immagine sarebbe -per come lo vedo io- “L’Arte Del Risveglio”

è dunque evidente, al mio appassionato amore, che in quel disegno c’è il pensiero primitivo sulle condizioni iniziali del pensiero stesso. e l’umanità che ricerca. la folla senza fine sui campi di riso.

nel disegno che ho di fronte si svolge il progetto di una vita con la dislocazione da una sola parte di quasi tutta la realtà percepita. nella mente le cose sono eseguite secondo un progetto mancino: il palco e gli attori fanno la pressione sensoriale delle masse. una ricchezza sinistra e ridente che è sempre rimasta sconosciuta alla sinistra.

il mondo era a tutt’ieri un palco di attori in maschera. leggeri. e secondari. in assenza di catechismo, la luce, dall’alto, sono tre riflettori. che impongono la grazia della polvere di porpora cadente dagli schermi infuocati degli spot alti al soffitto.

a destra non accade niente. non c’è che da osservare una figura piccolina su una poltrona. più o meno nel centro della prima fila. sopra ha aria e frange di rosso. la bambina, da quella parte, non ha pensato masse che equilibrassero la distribuzione dei pesi sul piano del foglio. c’è tutto quello spazio liberato. una macchina scenica come un castello semovente. luogo di residenza di forme infantili.

ma quello che bisogna dire è: che il reale centro della composizione del disegno è: che con evidenza i piedi della bambina non toccano terra. e scommetti che non l’ha disegnato ‘apposta’. che il corpo le ha imposto di rispettare quell’intervallo e che quella mancanza di contatto è esito del dolore acuto al ventre:

ti scrivo nel buio che non ci sei. dal buio che manchi. che mi fai mancare tutto per la tua forza di attrazione. come se tu fossi uguale a questa luce esclusa. come tu fossi questo giorno: buttato fuori dalle guardie nere. come tu non ci fossi più oltre il muro delle porte scure. te che amo ancora tanto che non ci sei. che sei la notte che non è più dei poeti. la notte che sei una assenza intera. qui nel teatro senza ancora le luci. ”

così, sussurrando questo dolore, la mano che disegnava le cose si è arrestata. prima che la linea curva che faceva il piede potesse toccare la linea orizzontale che aveva fatto il pavimento. e così il dolore acuto si è fermato. non è stata tracciata la conclusione. il dolore ha fatto la curva elegante. il pensiero ha avuto la sensibilità per l’arte. la ragazzina ha tracciato gli elementi della propria predilezione per i tornanti. per l’ascensione delle litoranee tutte azzurro e panna.

si vede, nel disegno, tutto il tempo avvenire. che ha potuto ripararsi dalla distruzione del dolore scivolando in quella scaglia sottile di assenza di contatto del piede con il pavimento. quando la gamba sospesa ha potuto oscillare. con un movimento di gioia, di allegria infantile. in quella fessura d’aria, sul piano del disegno, ha trovato la forza per salvarsi la vita. per quello che io la amo così tanto.

lei non si è accorta di niente. ha solo fatto questo disegno che poi mi ha fatto vedere. per raccontarmi di ieri. adesso dorme. è come se fosse un mio sogno lei. quel regalo che respira di là sotto le coperte.

io stesso divento immortale come un principe di carta quando riesco trovare le parole per i rapporti che non ci sono ancora.

l’immagine è tratta dal libro Brian Selznick La straordinaria invenzione di Hugo Cabret Mondadori, 2011

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valzer


Posted By on Gen 7, 2012

valzer

Le cose del pensiero umano come le ho imparate a conoscere io a partire dalla comprensione della scoperta sulla nascita umana (*) sono tali che non possono essere quasi mai tradotte in modi specifici della coscienza. Una di quelle cose, una delle certezze conseguenti allo sviluppo trentennale di essa scoperta  (*) è che non si può portare l’inconscio alla coscienza: è una frottola. Uguale se non più grave di quella fandonia che negli esseri umani c’è l’animale. Ma lasciamo pure perdere, per adesso. Diciamo invece come sia che ci si innamora sempre per il suono suscitato in noi dal nome dell’altro, come idea dell’altro, in sua presenza: e come si resta innamorati e legati in sua assenza. Che dunque non è assenza per la ricchezza dell’affetto che siamo stati capaci di realizzare insieme. Per questo nel clip che pubblico c’è quella che a me pare una bellissima musica. Una traccia di amori, evidentemente: una realtà non cosciente non perché sconosciuta, ma perché resta della natura della musica e non c’é intepretazione che potrà portarla alla coscienza. Semmai ci dovrà essere una coscienza in grado di dichiarare il proprio definitivo fallimento in proposito all’operazione della interpretazione ‘freudiana’.

Su un altro fronte: da tempo mi si dice che non devo chiamare questa cosa ‘ricerca’ che la ricerca ha luoghi stabiliti e deputati. Allora oggi pensavo che posso usare un’altra parola, che resta ancora libera per l’amore come una spiaggia solitaria dove si può ancora -per la sua natura di essere riparata e defilata della confusione- vivere la gioia della sessualità con la ragazza del sogno. Siccome devo sempre riferirmi ad una attività di decenni nell’ambito del pensiero e della vicenda di esso pensiero nella relazione interumana chiamerò lavoro quanto si svolge da quasi trenta anni in luoghi differenti con persone via via diverse. Con persone che, anche, sono diventate diverse per via di questa attività. Poi, domani, mi chiederò, con leggerezza eccessiva, lo so già, come si possa definire la vita di questo lavoro che lasciando intatta la natura del pensiero non cosciente, costringe la coscienza a parlare di un cambiamento, forse di una cura e addirittura di un aumento della conoscenza.

Nel riproporre una musica legata a immagini credo di essere stato costretto ad ammettere oggi e qui che ci si innamora e si scrivono le parole perché le parole scritte sono mute e hanno la natura del pensiero umano. Le parole scritte sono pensiero muto, cui leggendo silenziosamente regaliamo un movimento. Quel movimento non è che la variazione affettiva determinata in noi dalle cose scritte sul foglio. Esse diventano un ‘moto’ interno che compone una ‘immagine’.

La qualità dell’immagine è relativa al grado di affettività di chi legge. E’ legata specialmente alla recettività. La recettività è legata al concetto di vitalità….. Esso rimanda -come quasi tutto nel lavoro di trenta anni- alla necessità di comprendere la teoria della nascita nei suoi elementi fondativi (*).

Questo è stato ( é ) il lavoro di cui continuerò a parlare ostinatamente. Di cui, a dire la verità, non potrei davvero non parlare.

(*) Massimo Fagioli  “Istinto di morte e conoscenza”  – ‘ L’Asino d’Oro’ edizioni.

inoltre: si deve sapere che la bellezza ritratta nel libro di fotografia è Tina Modotti: il fotografo è Edward Weston che fu suo compagno nei primi anni della sua vita in Messico.

ancora: la musica è di  Dmitrij Dmitrievič Šostakovič (in particolare la si trova associata alla scena del valzer nel film Eyes Wide Shut  diretto da Stanley Kubrick.(1999)

infine: il terribile rumore che si sente insieme alla musica divina del ‘maestro’ sono aggiunte mie che penso restino ad indicare la rozzezza sempre presente da parte mia nell’affrontare la meraviglia e la delicatezza delle parole della scoperta sulla nascita. Mi muovo come un servo della gleba nei campi. Spero che nel tempo oltre alla dignità della prassi per la sopravvivenza e la cura potrò sviluppare anche la leggerezza degli stivali delle sette leghe. Ma già così è una fortuna.

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il regalo dei lampi


Posted By on Dic 2, 2011

niente che fosse importante mi è mai sembrato facile

niente che fosse importante mi è mai sembrato facile

il regalo dei lampi

.bruciano le ambasciate e volano fogli diplomatici con gli accordi cifrati che celano la fortuna .il cuore del popolo è tenuto vivo da un messaggio ripetuto .è un pick-up con la mitragliatrice che gira le strade evitando attentamente le macerie per annunciare dalla profondità inquietante di un altoparlante valvolare di un ” …incendio che brucia le abitudini…” .è guerra, questa, di volantini nevicati giù dagli aeroplani ricognitori in carta di riso e legno leggero ” …. prendimi, portami con te … ” è tracciato a stampa su quei milioni  di foglietti di sfoglia di pane dal cielo .la città è invasa .è una città contro la fame adesso .gli amanti fuori di senno – nel frattempo – sono usciti nudi in mezzo alle bombe durante il coprifuoco .quel bagliore di corpi è natale .in questo frastuono incandescente mi sbrigo a scrivere il trattato -che mi appare improvvisamente un riconoscimento indispensabile- sulla velocità della fortuna .è un manuale per la pavimentazione a mosaico delle piazze di gioco .dice della calma di mani distese sui fogli della composizione di storia delle scoperte scientifiche per la sessione delle ventuno alla scuola serale .della necessità di laurearsi ancora -rivela- e della scienza del sonno .a migliaia di miglia di fiocchi di neve di profondità e di lontananza leggo libri che hanno soltanto paragrafi sulla genesi del sorriso .commosso per una certa imprevista abbondanza – come un guerrigliero alle prime armi

.”gli uomini immaginarono un punto invisibile nel loro ventre prendendo il sole ad esempio .esempio di ciò che pur scaldando non si può guardare, realmente vedere .se si guarda infatti non si vede quel punto immaginario .ma proietta un ombra sulla strada quando il movimento di rotazione della terra costruisce la mattina distendendosi al sole che illumina .gli uomini si svegliano .succede ogni volta che arrivano gesti di passione o anche ‘soltanto’ attenzioni scandalose .il punto viene scagliato avanti e inseguito .camminare è artigianato della costruzione dei sogni, elezione di ideali in cuor nostro, apprendimento e sviluppo della manualità, ripresa del racconto di come si fa a procrastinare la fatalità maestosa dei corpi celesti in caduta libera .e gli uomini chiarirono gli uni agli altri – che da parte loro assentirono immediatamente – che il pensiero non sarebbe più stato pericoloso. ma aggiunsero come niente fosse ‘a patto che ( fino a che )’ riassumo: presenza di figure provocanti non avessero avvallato la quarta dimensione causando – allora inevitabilmente – disturbi dell’equilibrio.”

.un attimo di sospensione per prendere fiato e si legge nel testo in un tono amichevole -poco accademico- un pezzo di storia raccontata sussurrando: respirando nell’orecchio ad un’amica che ti cammina vicino verso la gelateria

.“ per questo ci curiamo la sindrome vertiginosa nell’otto volante gridando forte nelle cadute .perché la voce ha ampi riflessi sui movimenti fini che influenzano totalmente i modi di camminare .il nostro reciproco aiuto comprende il caffè, la lezione di fisica teorica, e certi momenti di felicità *

.(qui il frammento di testo sfuggito alle bombe è bruciato, c’è l’ombra di una mano che muove le dita sospese per giocare, per firmare senza impegno una pagina di segreti .riprende così concludendo in un angolo basso)

.” dunque si è dimostrato che la felicità lega il pensiero alla fortuna e l’andatura al sorriso ”

.ti alzi dal tavolo di lettura scuotendo la testa e distendendo le braccia al soffito lentamente .senza alcun pensiero giri la porta e ti distendi nel letto della stanza accanto .e quel lievissimo spostamento d’aria – è la teoria delle catastrofi – fa nevicare la luce di adesso sui capelli dei ragazzini che patiscono ancora la carestia e la morte per fame, e fa contemporaneamente piangere chi ha mantenuto un cuore buono e non è invidioso della fortuna che ci è toccata . e una mano scrive lontanissima in un terzo apice della figura geografica dell’Africa sognata che il regalo che ci è toccato è il regalo dei lampi.

.ora siamo  l’insistente dormire sotto le promesse delle bombe. sotto la minaccia del pensiero appassionato.

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