sere


sera nuova

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La gravità si esercita simultaneamente e non pare trasportata nel tempo da un punto ad un altro. Questo avrebbe invalidato il principio che il limite alla relazione tra gli eventi è di essere connessi secondo informazioni che non viaggiano oltre la velocità della luce. Per questo era ‘necessaria’ la relatività generale. Per esprimere l’idea che la materia dotata di massa -(ma anche fenomeni elettromagnetici come la luce con la sua energia cinetica)- fosse(ro) in caduta dentro avvallamenti e seguisse(ro) traiettorie non lineari secondo deformazioni dello spazio nel luogo in cui esso avverte il campo gravitazionale di ammassi gli uni agli altri sproporzionati. Così non ci fu bisogno di immaginare necessario l’intervento di una simultaneità -nell’espressione delle forze in gioco- in aperta contraddizione col principio di località. D’altra parte, dalla conclusione del secolo diciannovesimo, il concetto di CAMPO, caratteristico dell’elettromagnetismo, poneva l’esigenza di un differente approccio nel ‘pensare’ lo spazio e i fenomeni che in esso si svolgono e che cioè ne coinvolgono la struttura. Era diventato verosimile che i fenomeni non si svolgevano più NELLO spazio ma ne fossero assetti variabili. Esso si arricchì della dimensione temporale. La farina del tempo nello spazio formava una melassa finissima e fummo avvolti uomini e pianeti irreversibilmente in una realtà fisica impalpabile nella quale le cose ferme possono diventare raggi di luce. Perché sempre si cade: nei tuffi, nella corsa, ascendendo alle cime e nel sonno persino, quando meno appare.

Fino a qui la nostra allegria: nel comprendere le scoperte che sono particolari (estreme) ‘ragioni’ che guidarono l’altro nell’esplorazione del mondo. Poco importa che si tratti di scienza complessa: quello che conta è la nostra almeno parziale comprensione, un avvicendamento, le prossimità raggiunte, il non sentirsi estranei all’universo psichico della transizione dei pensieri da stati di ignoranza e cecità alle tenui figure dell’intuizione.

Poi ci sono la voglia e la determinazione di procedere per una via personale. Continuare la sorte del pensiero appena comparso, sviluppare segmenti sporgenti dal suo profilo, indagarne la natura, definire la fisiologia generale di esso, descrivere i fenomeni particolari che presiedono alla genesi dei pensieri nuovi, favorirne le trasformazioni possibili.

Prendiamo le parole della vita di relazione perché il pensiero la sostiene costantemente inavvertito. Comprendere in uno sguardo, concentrarsi su un oggetto, stare a fianco a quelli che ci trovarono, e ‘perdonare’ l’angolo di deviazione da sé di ciascuno, e imparare dall’inevitabile a prevenire la presunzione. Il pensiero risulta da una fisiologia. E così si vede che c’è una assonanza della conoscenza con il buono delle pesche polpose sui rami in certi periodi dell’anno.

Dallo studio del pensiero delle maturazioni nei frutteti si va passeggiando alla pazienza verso noi stessi e gli altri. I quali ‘altri’ non sono -anche loro- che ciò che siamo noi stessi per noi. Hanno il medesimo mondo di numerosi modi che ci appartengono e ci definiscono: ricerca di non estraneità, determinazione a non essere esclusi dal fenomeno migratorio delle transizioni delle correnti atmosferiche cerebrali nei giorni in cui si cambia. Allontanandoci o avvicinandoci gli uni (d)agli altri. La fisiologia stabilisce a priori -per sua naturale forma- che, secondo condizioni variabilissime di vicinanze e distanze tra i singoli non è detto quanto ogni volta si saprà essere ulteriormente intelligenti, intelligenti ‘di più’ di questo che siamo e quando meno. Fin quasi a ottunderci. E comunque non abbiamo mai individuato un limite preciso di sufficienza, e la stupidità dove comincia una volta per tutte. Si sa che c’è un limite se non altro negli esperimenti mentali. Ci sono condizioni che lo scienziato si pone. Perché la misurabilità delle cose sensibili non si estende ai differenti stati del pensiero e c’è come una discontinuità tra la corda delle chitarre e il suono delle loro vibrazioni. Dal suono una volta che lo ascolto nasce una specie di presa d’atto fiduciosa. Gli stati della mente esprimono una involontaria presa d’atto dei legami indissolubili con l’aria e la luce. Il pensiero è un proposito coraggioso, ha la validità di un amore ‘strano’ che possiede la vita intensa dell’inconscio e aumenta la coscienza di un affetto di legame quasi inavvertibile: una costante nostalgia del presente.

Questa ‘presa d’atto’ che potremmo ottenere saprebbe forse tramutarsi efficacemente in rifiuto quando variazioni inavvertite ne segnalassero la necessità e prima della fatica della volontà cosciente sensibile. Una tale conoscenza -che è un po’ più della coscienza- aumenta i margini di plausibilità delle cose certe nella mente, spinge all’umiltà dell’intelligenza che ha nel pensiero le storie colorate e talvolta cruente dell’indiano apache che accosta il proprio orecchio al terreno della prateria, per cogliere, attraverso segnali acustici e tattili, una presenza ancora lontana e il relativo peso di conseguenze: siano precauzioni o apparecchiatura di accoglienza.

Si colgono ancora anche noi suoi discendenti la distanza e la differenza (cioè le misure variabili tra noi e il resto) con la medesima attenta incoscienza?

Da quanto sapremo tradurre in parole una storia che non è fatta di cose deriva la restituzione di dignità poetica ai nostri discorsi.

Forse qualcuno starà già pensando che poetica non ha più attinenza con ‘umana’.

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