vaso con tulipano

Posted By claudiobadii on Ott 12, 2013 | 2 comments


gente di mare2

Mare Calmo
©claudiobadii

C’è un bicchiere grande sulla libreria. Ha in sé le labbra di una ragazzina assetata.

Per favore hai da bere?

Chissà” – mi domando adesso – “se può essere una traccia inconscia della genesi della patologia di Anna O. quando aveva visto il suo cane leccare avidamente la scodella dell’acqua e poi lei aveva prodotto il sintomo isterico per cui non riusciva più a bere e si scatenava la crisi di dissociazione all’idea stessa di un bicchiere tra le labbra.

Invece la ragazzina aveva bevuto svuotando il bicchiere. Offrendo la gola. Senza alcuna isteria. Ma poi girando per lo studio in queste ore di solitudine e libertà la mente si imbatte e si confronta con certe opere di Franco Angeli. Simboli la falce e il martello stanno dentro la pittura di pregiati capolavori di grafica che acquistarono consensi di notevole valenza estetica negli anni sessanta e settanta e ottanta del secolo scorso. Per me hanno rilevanza estetico politica perché per me la politica ha una enorme rilevanza nel rivelare l’estetica intima di un popolo. Il metodo di indagine è di ripetere riprendere riproporre l’essenza delle figure il loro disegno i tratti originali. È tutto colore ciò cui vedo nel quadro “E da una ferita scaturì la bellezza“. Disegni di forme adatte a essere riempite di toni monocromi.

Data la semplicità di quelle forme adatte a stendere su di esse ricercati timbri monocromi il pensiero si appiana e non cerca altre complessità e penso che forse la passione per l’estetica dell’isteria fornì una motivazione profonda al controtransfert dei freniatri spingendoli in massa ad occuparsi delle ragazze. Andavano per l’europa ad astrarre la figura femminile dal contesto attraverso l’enfasi della teatralità posturale della malattia. L’isteria venne ‘curata’ (ma non è vero che fosse mai stata guarita) con il far rievocare i ricordi secondo l’idea che ri-legare l’affetto alla rappresentazione che era stata intollerabile avrebbe interrotto il circolo vizioso di una coazione a scindere dissociare rimuovere distrarre l’una cosa dall’altra.

Nella stanza dove mi trovo a scrivere era comparsa ed aveva ‘abitato’ -uguale alla donna di cui leggevo nei testi di psichiatria dinamica- la ragazzina simbolo vivo che un giorno aveva avuto bisogno di bere per la sua sete e che dunque avrei potuto citare uguale alla casistica di chi guarisce nella capacità di chiedere di nuovo il ‘seno’, il bicchiere di acqua fresca come fosse un oggetto del desiderio rievocato senza terrore della delusione. Che vuoi la sete non era impossibile da sostenere e la sua vita non fu in pericolo di disidratazione mai. Io dunque avevo ‘ceduto’ offrendo il bicchiere mentre al posto dell’offerta di una cosa fisica (un oggetto parziale) avrei dovuto interpretare. Io scelsi di trascurare il ‘dover fare’ che ben conoscevo. Perché fui certo che non era male. Risolsi il fuggevole impiccio psicologico -se dare o no dell’acqua- legando il movimento rapido di un assenso (un ‘si’ detto con il capo senza palare) all’azione delle mani sotto la cannella che sciacquarono il bicchiere e attesero che diventasse quasi gelata sulle dita prima di tendersi verso le mani della ragazzina.

Perdevo l’attaccamento al passato della tradizione. Nel passato grande, quello della storia delle rivoluzioni scientifiche, depositavo i cocci di una deontologia tanto rigida quanto purtroppo fragile a causa di nessun approfondimento e sviluppo. Dimenticavo un’obbedienza ulteriore nel senso di trasformare in ‘qualcos’altro‘ un modo di relazione ben appreso. Un mio modo di essere si scontrava con quel modo neutrale sempre ritenuto, grazie alla sua neutralità, di più elevata moralità. Penso ora che le trasformazioni delle guarigioni sono essenziali per privarsi dell’osservanza.

Il contesto di una relazione conservata immutabile” -mi chiedo oggi- “non sarà per tenersi una riserva di cinismo negli angoli scuri della stanza e conservare le ombre utili agli agguati di una futura vendetta?

Forse quel giorno di molto tempo fa devo aver pensato che bisognava pur smettere di vendicarsi. Quel ‘devo aver pensato‘ allude ad un luogo utopico perché seppure fu tempo e luogo, eppure quel certo giorno la coscienza di questo pensiero non ci fu. L’utopia poi riguarda sempre più di un solo giorno e un solo momento. Quando riuscii a scegliere tra molte ipotesi teoretiche quale fosse la scoperta scientifica reale nell’ambito della psichiatria di nuovo devo aver pensato che non valeva distruggere e vendicarsi. Anche quel luogo e quel momento che ci sono stati non ho coscienza di averli avvertiti precisamente. Eppure adesso sono certo della loro emergenza nella mia vita e della loro definitiva formazione in un punto e in un momento sconosciuti. Sempre ci fu un ‘agire’ appena dopo una quasi impercettibile esitazione.

Quel là e allora di presenza fisica in tempi e luoghi differenti da adesso e anche tra loro, ha la pienezza di un “Vaso con tulipano” che è le parole  ‘devo aver pensato‘. E’ luogo e tempo nella mente il sogno quando porto i fiori dal negozio e li sistemo nel vaso verde smeraldo e azzurro che sta al centro del tavolo d’angolo. C’è un entanglement tra veglia e sonno (un’inseparabilità funzionale seppure c’è una differenza formale): l’adesso fiorisce allora proprio , dentro quei giorni decisivi. Il verbo ‘fiorisce’ -che è al presente- lega due tempi lontani che diventano coesistenti nella mente. Posso dire che oggi ha addirittura bisogno di quei giorni per avere un senso. ‘Devo aver pensato’ è un segno concreto di Utopia, un ‘non-luogo’ che esiste ed è il palazzo del tempo dove non sono stato mai e verso il quale adesso sono istantaneamente tornato dandogli esistenza e realtà. Era un luogo del quale ho avuto nostalgia. Esso era presente nella mente e variava insieme a me. Inseparabili io e quel luogo abbiamo comportamenti di interdipendenza e oggi è istantanea allegria di ieri. E la nostalgia il corpo del non cosciente.

Il sogno, la coscienza, la veglia, il sonno: compongono una completezza umana incardinati nel legame di origine dall’attività della fisiologia cerebrale incessante. Ho infranto la regola.

Ma è come faccio sempre alla fine!” – mi dico.

Quel posto sono io. Il mio modo di essere.

Il buonumore si articola per fili di luce intergalattica. Noi siamo dunque anche e soprattutto ciò che utopisticamente non siamo. Ciò che non siamo non è non-essere. Ciò che non siamo è insistente e persistente esistenza di pensiero nostalgico sempre sul punto d’essere sconfitto e superato. La libertà di pensiero è dunque una casa che possediamo nei luoghi non ancora sognati. E che poi proprio nei sogni pensiamo decostruendola cioè dandone via via descrizioni impulsive e incomprensibili solo ad una prima occhiata invidiosa. La casa ha i muri di materia storica cioè frammenti di epoche rivolgimenti stasi reazioni repressioni e incendi. Siamo città verdi e azzurre. Marine di Sironi. Tori picassiani a inchiostro di china e colombe.

Marx tra Londra e la svizzera verde pieno di repellenti pustole dermiche niente affatto gradevole pieno di rabbia bambinesca bisognoso e lamentoso con la rivoluzione da fracassare come un giocattolo sempre a portata di mano.

Il non-essere non esiste con la propria ontologia di inesistenza. Il non-essere non è inesistenza d’essere. Ahimè il pensiero bizzarro dei filosofi! Essi forse non sognano i frammenti delle loro medesime storie poiché  dicono che l’uomo che dorme senza la coscienza è non-essere del proprio pensiero.

Mi sa che la professione di medico sulla costa tirrenica ha avuto un influenza diversa su tutto”  – sorrido – “mi sa che sul mare non alimentavamo la vendetta perché pareva tutto un regalo il verde e l’azzurro per quanto naturalmente fusi e indistinguibili oltre una certa distanza dalla riva stavano al centro dello splendore del panorama e l’affetto per le ragazze estive nude che quando divenne  preminente e tenne tutto in un contesto di bellezza evoluta dalla natura agli esseri umani consentì di comprendere l’idea di una esigenza. Un mondo da rivendicare e un modo di pretendere.

Tra le braccia dei primi amori verde e azzurro divennero pensieri di estetiche azzardate e modi di anarchia. E’ perché la potenza del mare arriva a lambire le propaggini della biologia encefalica. Se il non-essere esistesse sarebbe qualcosa. Non si forma l’ansia insistente dei creditori nell’indagare riflessivo di chi il mare lambisce. Altro è tutto il mondo e il cielo quando è il mare la notte, e non aria fritta o ricordo indigesto delle voci nasali e madri di cartapesta gelata. Il mare scrosciando si inginocchiava di fronte alla bellezza dell’uomo. Di verde smeraldo ha gli occhi il mare e ci guarda con ammirazione. Si cresce amati. Si hanno pensieri di tiepida arroganza. Non tutti si perdono. E chi è rimasto adesso è forte e sicuro.

“Il non-essere non esiste”.

È una ipotesi posta di faccia ad una ipotesi opposta ma non di altra natura. L’ontologia del non-essere è di essere. Dunque troviamogli un nome più adatto.

La medicina si offre di comprendere. La fisiologia del pensiero riassume la figura debole dell’ente filosofico. Nel teatro delle marionette si tagliano i fili e si ripongono gli scheletri di legno nelle scatole. Si sfilano via i guanti di burattino dalle mani che tornano libere. Amleto alterna stati di umore opposti e recita pensieri corrispondenti. Egli pensa il non-essere e forse, secondo felici paradossi letterari, è, dal non-essere, addirittura pensato.

Quando la malattia della mente càpita hai sempre la sensazione di uno spirito che muova le persone.

Per noi amati dagli occhi smeraldini delle onde questo non fa paura. È l’origine materiale alla base della vita mentale che guida il pensiero del filosofo e del malato (e anche di certi altri adesso non pertinenti all’indagine). Il non-essere che è nominato sulla scena del teatro inglese del ‘500 è essere della rappresentazione dell’attore. Poi la credenza dell’essere del non-essere diventa pazzia quando la separazione tra soggetto e pensiero è perduta.

Quando l’anima (il concetto filosofico di essa) ci attraversò seduti nei banchi di fronte al professore di filosofia che era un prete spretato noi avemmo un brivido subito trascurato ma indimenticabile.

È soltanto un onda di marea leggera” ci aveva detto sul mare il pescatore.

E noi tornammo a giocare scuotendoci dal tremore come un cucciolo bastardo dall’acqua della pioggia. La conoscenza dei fenomeni ci toglieva la passività e il fatalismo degli ignoranti. Molti sono rimasti ignoranti e hanno aggiunto arroganza e cattiveria.

Eccomi dunque adesso a rilegare i lembi della tovaglia con un grande fiocco attorno al vertice curvo di un bastone di ciliegio per partire in cerca di fortuna La ragazzina è in equilibrio sull’orlo del bicchiere nell’impronta invisibile delle sue labbra. Il collo appena inclinato traccia solo l’inizio della curva dell’arco isterico. Non ci sono mai state risa piene di appassionata finzione. Mai eccessi. Che sia un’invenzione letteraria tutta quella ‘agitazione’ attribuita sempre alla pazzia? L’ansia dei folli è un tormento delle mani e degli occhi che toglie forza al movimento e li fa inermi generalmente, anche se non meno pericolosi se se ne ha solo compassione senza medicina.

Allora la ricerca si orienta sui movimenti minimi. Le onde di marea sono quasi invisibili hanno spostamenti poco appariscenti. Lo spostamento della geometria delle piccole onde che si deve cogliere se si vuol navigare senza rischi ha la consistenza del sogno. Si coglie dunque molto durante il sonno della veglia. Si coglie proprio servendosi dell’attività del sonno nella veglia. La coscienza lo sa in modi strani. Lo sa dopo.

Lo si sa negli anni: quando si trova la capacità di interpretare le flessioni ad angolo acuto o dolce dei ricordi con voce differente e insomma corrispondente alla geometria di quegli angoli. Non le storie ma le estetiche sono le più adatte a seguire nel suo distendersi attraverso il racconto dei sogni l’anatomia della materia subatomica che è sempre alla base della formazione del pensiero.

Origine materiale della vita mentale. Studio della funzione. Cura attraverso l’azione del linguaggio che ha effetti complessi sulla fisica della vita mentale.

Il bicchiere è rimasto là da mesi. Spolvero i ripiani e lo rimetto al suo posto. Conteneva l’acqua che è sparita nella gola canterina di una ragazza adolescente. Adesso la ragazza sta bene. Il bicchiere mi guarda e mi dice

Ricordi?

E io penso ad occhi verde smeraldo che mi guardano con affetto e mi proteggono dall’invidia.

Sono uscito e come ogni tanto faccio sono andato verso il mare. Dove sono cresciuto. Il mare è mio padre e mia madre. Il mare è la terapia con un genio. È calmo stamani. Rimane quasi immobile pur mosso impercettibilmente dalle maree del pensiero che sostiene la capacità e la forza di adesso.

Il mare calmo non è più inconscio.” mi dico.

Allora forse tutto è cambiato. Allora forse la trasformazione è realtà. Perché il non essere non è mai esistito. Anche se la pazzia che il non esistente possa venire a prenderci e portarci via, quella si, esiste nella malattia della mente che crede all’esistenza dell’irrealtà, al non essere del non-essere. Ma il non-essere è solo negazione dell’essere.

Ho due proposizioni: il non-essere ontologico del filosofo ed esso è angoscia sintomo della esistenza clinica di malattia. Poi c’è l’esistenza del non-essere come negazione dell’essere e questa è la certezza del pensiero che consente e sostiene la cura.

2 Comments

  1. Ci sono Uomini assetati
    che bevono acqua di sale
    nel mezzo di un nostro mare.

    Rosso, come un eterno semaforo incantato sul rosso.

    A loro non è permesso entrare.
    http://youtu.be/E6C63iJDbKM

  2. Capita di essere ragazzine. E di leggere di altre ragazzine che, casualmente (?) portano il tuo nome. Leggere senza averne gli strumenti. Credere che ci sia un mondo di non essere acquattato dietro un bicchiere d’acqua ed avere perciò paura di chiederlo. Non avere abbastanza essere per non aver paura di chiederlo. Avere timorosi dubbi su cosa accadrà se lo chiederai. Ti guarisce anche questo: chiederlo…e vedere che, solo, ti danno un bicchiere d’acqua. Che, alla fine, un bicchier d’acqua è pur sempre anche semplicemente un bicchier d’acqua. Non tutti si perdono. E chi è rimasto adesso è forte e sicuro. Ah, ecco perché, devo aver pensato che più di tutto volevo tornare a vivere al mare.

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