anatomia


ripetitori


Posted By on Mar 2, 2011

ripetitori

Una superba solitudine. Un isolamento spavaldo per godere di quanto resterebbe comunque indisponibile. Dopo il punto avevo piazzato le antenne per fare il perno dei due archi. Il campione olimpico di salto triplo mi aveva disegnato l’anatomia esatta del polpaccio per l’ultimo slancio. Mercurio l’autostrada di sabbia per l’atterraggio.

Per il balzo intermedio mi affido sempre alla spinta ultima dei fianchi prima dell’orgasmo. La sospensione in aria dei percorsi aerei: fai conto la ricerca dell’incorporeo, la cerimonia del tè. Pura letteratura. Nel punto di arrivo dovevi esserci tu. Invece. Ho scivolato con le ginocchia tese avanti.

La parola dolce aveva la potenza scricchiolante delle ossa lunghe degli arti inferiori. Per adorarmi -sotto l’asse verticale dei ripetitori- serve una che sappia di medicina e una che abbia risolto la decifrazione dei geroglifici che le coronarie dipingono attorno al mio cuore. Dunque ho risolto facilmente la settima proposizione.

“Ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.” Ha il difetto degli amori infelici, dura tre parole di troppo. Tu eri il punto alla fine della frase e non la spiegazione del senso. Tu sei tu. Un soggetto amato. Sei ciò di cui non si può parlare. Sei. Ora questo sostiene la certezza della superbia e della spavalderia.

Alla cassa continua della biologia cerebrale – che e’ inarrestabile accordo con l’universo le stelle e la materia e l’energia del vuoto – deposito i miei sospetti ottimistici sulla definizione di VITALITA’. L’amore nasce da quei sospetti. Dimora nelle frasi brevi. E’ potenza dei pronomi. La sua fondazione e’ sul punto.

Non ha fine perché e’ geometria, pensiero astratto, realtà fisica come la realtà sicura della parola FISIOLOGIA. La fisiologia non e’ che un’idea di intelligenza delle cose fuori di noi. Sono atterrato sull’autostrada di sabbia ocra, portata qua direttamente dal deserto. Le ginocchia, ben puntate in avanti, sono isolamento e superbia.

Tu hai fatto scivolare le dita in profondità e hai portato le rotule fuori e le hai assaggiate come due pasticcini alle mandorle. Hai anche estratto il mio cuore e hai disegnato con la matita per le labbra. Io ti lasciavo fare. Alla fine ho cominciato la mia vita nuova. Mi hai provocato la sinestesia.

Ho chiamato tuo figlio con il mio nome e conosco il sapore delle nuvole. Credo di sapere cosa significa la parola ‘quark’ solo masticandola pochi minuti: significa che a volte basta. Che si ricomincia sempre. Che sulla spiaggia si potrebbe anche vivere: se soltanto. Che bisogna farla finita di chiedere. Spiccare il volo.

Che il pensiero e’ astrazione per legarci accanto gli amori per sempre. Che fa le parole in maniera strana, perché tu eri il punto alla fine delle frasi, di ogni frase che avevo pronunciato dalla mia presa di coscienza. Che non eri il senso della mia vita. Che me lo ero inventato che tu lo fossi.

Semmai nell’astrazione del pensiero tu eri LETTERALMENTE la mia vita. Eri le mie mani. Eri il salto triplo. Come dire che nell’astrazione del pensare il pensiero ha un eccesso di significati e infiniti possibili stati di esistenza. Quando arrivasti, io – che fa tutt’uno col mio pensiero – misi un punto e atterrai, dal salto, nel deserto ocra di sabbia.

Bisogna dire che l’uomo non e’ una macchia scomposta nella perfezione della creazione. Non siamo colpe che continuano a camminare. Siamo – così relativi a causa della soggettività del pensiero  – irriducibili all’assoluto disumano della divinità. Per amore, da millenni, noi continuiamo a fingere di aver capito.

Non è vero. E’ vero, semmai, il contrario. E’ vero cioè che -sebbene oppressi dal peso dell’insistenza dei ‘sacerdoti’ – tuttavia, non abbiamo mai definitivamente realizzato, nella mente, l’esistenza di qualcosa di altrettanto bello dell’imperfezione dell’identità. Noi siamo miliardi di amorose finzioni.

Sappiamo fingere, abbiamo plasmato le maschere che ci fanno tutti diversi. Dietro quelle artistiche apparenze sta l’uguaglianza della sapienza collettiva. L’universale umano è l’opposto dell’assoluto divino. L’idea astratta – l’immagine dell’altro lontano da noi – si oppone all’irrealtà dell’assenza di pensiero del religioso, che raccomanda il pentimento.

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babyC.


Posted By on Feb 15, 2011

babyC

La tenerezza della testardaggine. Le contusioni, il maglione azzurro, il risveglio precoce che piove ancora e c’è tempo per riaddormentarsi… Girare il cuscino dal lato più fresco, stendere il braccio fuori dal letto, fregarsene come ad aver ragione, sfiorare l’arco dolente del torace.

Il dolore che ricompone il conflitto e porta diritto al campo delle bisce, alle fionde, alle rane, alla vita dolce delle api e dei fichi. E dunque il tesoro di avere un corpo improvvisamente generoso di tutto, che diventa fotografia e pensiero, compattezza della febbre leggera.

Ripercorro lo svolgersi della capriola sull’asfalto, che nel sogno era la prateria, i cavalieri feriti, ma vivi e gloriosi al fiume. Il ciclo carolingio. Hanno incoronato il ragazzo non vedente, di bellezza mai vista, che non teme il buio oltre i margini del taglio e guarda sempre diritto in viso agli altri.

Sognare -cioè essere certi- del diritto all’abbraccio d’amore di damigelle accaldate, arrivate sbucando dalla camera della regina, mani alle guance. L’eccitazione del sesso si accende proprio sul gonfiore dolorante: una infrazione colpevole alle regole della castità della convalescenza.

Nel museo della notte sapere della grotta fresca delle ninfe per rievocare l’innocenza e le mani buone ma non caritatevoli. Farsi il caffè zoppicando: allegramente. Non importa se ‘poteva andar meglio’. Tanto tornano le immagini che fanno la costruzione del paese d’acqua e cioccolata.

Si mette in gioco il linguaggio per fare la lotta al rischio di diventare peggiori, a partire dalla tenue traccia notturna del proprio nome. E domani, zoppicando, vado a cercare un sorriso da fotografare, un talismano di semplicità, che e’ sempre così difficile da accontentare.

Il giorno e’ tra non molto, tendo trappole facili, trappole da aurora. Lascio cadere analgesici a terra per ritrovare la strada di domani. Poi Gulda suona Mozart: e non si dorme più per adesso. Il tono maggiore accoglie come un mantello di fortuna la mia pigra immaginazione.

I momenti della forma sonata sono una delle più sfrontate creazioni della storia del genere umano: così racconta la costola contusa: io l’amo! Al suono la parte più recente della corteccia e’ scorza d’albero: realizza non tanto il rigido controllo ma la modulazione: liquirizia e miele.

La corteccia, la notte, fa scienza nell’insonnia, evitando l’irrequietezza. Domani ritraccia la competenza del sogno. Nel sonno culla, ad onde, il bianco. Mi lascia scrivere e soprattutto se non c’è niente da dire e specialmente se non ha senso: perché la scrittura e’ una scandalosa offesa.

Cioè e’ comunque una scandalosa offesa, una irridente risata contro tramonti e dolci colline, e’ la fatica nera di amare scorrettamente. Scrittura e’ una città e puoi camminarci dentro e qualcuno apre la porta e l’amore si consuma nell’ora del te’ ed e’ una liturgia profumata.

Letteratura è l’interno parigino pubblicato da BabycC. come esempio avvolgente di scrittura: passi di sconosciuti risuonano piovendo le scale. Oh scrivere un libro delle foto di BabyC. Ma si sciuperebbe la chiarezza del fondo dal quale lei ‘agisce’. Scrivere e’ non farlo, talvolta!!

Quello che si può accennare è che lei scardina restando alla macchina, alla testa del treno, al carbone. Lieve quanto si vuole e’ forza ciò che getta in aria tra N.Y e Parigi. Si sperimenterà qualcosa di simile in corsa sull’argine, bicicletta ai polsi, digiuni, pronti a evitare rami bassi, e deve esserci vento.

Si ottiene un impronta del suo profilo componendo le rotte: le scie di voli transoceanici, che tagliano ad angolo acuto la costa tirrenica. La notte ha incrociato un giro di scale, la musica e una costola dolorante. Dall’inciampo: uva pane aspirina allegria e la passione. Invadente.

Se serviva dormire avremmo dormito: non letto pensato amato le cose che nascevano – nel buio della realtà biologica – alla luce della lampada sul comodino alla sinistra.

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barbie


Posted By on Feb 11, 2011

barbie

Ti scriverò sotto finto nome. Per sottolineare certe tue delizie. Come giri lo sguardo. Bisogna prepararti una scenografia. Con tutte le migliori maestranze. Tintoretto alla fotografia. Antonioni alle luci. Leonardo assistente all’azzurro. Michelangelo ai costumi. Tina e Frida ai dialoghi diurni. Io direttore di produzione. I tuoi amori…? Registi !!

Ci vorrà un segretario alle distrazioni. Una femminista alla fasciatura delle caviglie. Un servo di scena che lucidi il marmo dei palazzi. Una Fata del Vetro per gli specchi dei camerini. Un dattilografo per la continua progressiva stesura della carta dei tuoi diritti. Un tragediografo per le ordinazioni.

Ti si vedrà apparire all’angolo di un grattacielo di cristallo, nella prima finzione. Al cielo un filo di rosso. Per alludere a ulteriori peccati. Gireremo la scena delle offese, degli uragani di polline, delle inondazioni, mentre dormi nel camerino. Perché tu non debba stancarti di noi.

Dovremo ripensare tutto in tua presenza, prometterti di essere peggiori -risultando credibili. Girare il tuo disappunto distratto. Rifare. In piena luce il tuo stordimento per il ragazzo dei croissant. Il coro sottolineera’ la storia dei rossetti. Astronomi inappuntabili alla tavola delle colazioni.

Tu ! Naturalmente ! Tu avrai un poeta per amministrare ogni ritardo. E un orafo per impedire eventuali puntualità. Basterà ostacolarti con collane. Ai piaceri Caravaggio ! Conosce i -più di mille- toni del nero. Come te non volle scoprire mai la bontà a buon mercato. E’ carnale, e grida.

Ti risparmio i comici. Sono molli. Come avrai saputo -quel che è peggio- è che non sanno fotografare. Sono rabbiosi e pigri. Una ninfomane in camerino basterà a sorridere. Il mondo -intorno al set- sarà affidato al fotografo di Che Guevara: per tenere il vento , alla forza e direzione indispensabili. Alle nuvole un sarto di vele.

Dovrai trovarti da sola la spazzola per i capelli. Il calibro della fibra e’ tanto sottile che da noi non c’è niente di simile. Un cardinale in ginocchio alle tue offese. Un profeta per promettere a tutti lo spreco del nudo. Un fisico delle particelle al trucco, alle ciprie, ai fondotinta. Giotto alle matite per gli occhi.

Del copione resteranno solo le pretese. La pellicola, mai esposta, si sara’ fatta da sola. Il film renderà luminosa l’ idea originale di te tra le spade. Un successo di pubblico. Ti scriverò, negli anni, fiumi di inchiostro, come si dice. Accetterò che eri più di una serie di parole. Che nel girare il capo mi avevi cambiato

Non e’ una grande epopea. Lo scricchiolio della mia sicurezza non va in scena. Se non certe mattine -felici- di chiarodiluce e caffè. Vale a dire buongiorno !

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stregoneria


Posted By on Feb 4, 2011

stregoneria

Quella calma per capire senza restare -troppo a lungo- troppo separati. Troppo non va affatto bene per gli esseri umani. La vitalità -educatamente- si divora infinite variazioni minime. Bisogna ricreare il mare d’acqua, attraverso passioni molecolari. Lo sguardo una piscina. Le dita sulla spalla l’invenzione della stampa. Il sesso è stato la lettura dei fondi di caffè, sul piano di marmo. Mi applicai a studiare stregoneria, con una allegria diversa dal solito.

L’immagine per capire. Ridisegnando i marmi. Il pensiero è fatto di cartapesta e prende varie forme. Attrae le mani a mettervi mano. Il desiderio, che ci porta vicini, per entrare decisamente in rapporto. A farci irresponsabilmente carico di tutto, proprio tutto: tanto le parole sono di nebbia. Vanno respirate. Dentro agiscono sulla biologia. Generando -attraverso un’azione fisica- altra realtà non materiale. Ti amo, si dice.

Stregoneria: quale è la pressione appropriata di una mano sulla spalla? Studiavo  l’arte dei fondi di caffè -il pomeriggio. Alchimia: come evitare il vuoto – quando si scatena la magia  degli affetti che cambiano – togliendoci la certezza dell’eternità. Il tempo: noi dopo  ‘noi’. E ripetevo a memoria: “ Noi siamo l’Ultima Edizione dell’Oceano Pacifico – l’ Enciclopedia della Vitalità – il Libro Primo della Scienza delle Stimolazioni Molecolari.”  Ero bravo.

Traducevo la peste, il coraggio, i rifugi, le tuniche, i cappucci che coprono il viso. I passi svelti nelle strade, e il terrore degli inseguimenti. Meglio non trascurare niente, mi dicevo. Ma niente è più difficile da capire del legame -la relazione- tra materia e pensiero. E della relazione inversa, tra il pensiero e la materia. Quando il cuore accelera ‘solo’ perché la immagini svoltare l’angolo. Lì mi venne in mente.

Il pensiero -che mai è solo pensiero- è materia al confine. E’ pelle ,di vedetta alle frontiere, che vigila che niente cada in spirito mai. La materia -al confine- misura il mondo in spanne – disegna le passioni – dirige, sulla pelle, le sue dita – e, alla fine, – traduce nella nostra lingua il mito dell’ origine. Legge le tracce di quello che si muove: che sia altro, capitano, madre, seminatore, cipresso. O mangiatore di patate.

La punta dell’Himalaya ha la sua ragazza: è una nuvola di compagnia che scoraggia gli audaci. L’atomo ultimo di roccia, prima del cielo, è un matrimonio. Ci siamo spinti lassù per quello: fugare il sospetto dell’irrealtà. Il coraggio era nostro. Possiamo regalarlo alla neve. Se vogliamo. C’è una rinuncia anche al colmo della vittoria. La pazzia degli artisti.

Studiavo stregoneria, e le pressioni appropriate di una mano sulla spalla. Niente è più difficile da capire del legame -la relazione- tra materia e pensiero. E ora mi rendo conto, che il pensiero non è mai  solo pensiero: è materia al confine, l’ultimo atomo di roccia prima del cielo, quando la montagna si sposa. Studia le tracce di quello che si muove – la differenza tra l’uomo e l’ animale.

L’immagine per capire. Ridisegnando i marmi cercavo un argine alla peste:  “ l’agente eziologico della peste è un batterio – risiede in diversi serbatoi animali – roditori, insetti, uccelli, mammiferi – questi possono rappresentare potenziali fonti di contagio per l’uomo.” E uno solo basta ad ammalarne parecchi. Studiavo la peste, per scoprire le vie infinite di una provvidenza maligna.

Le dita e gli occhi scivolavano sulle parole scritte, le sensazioni tattile e visiva  dell’inchiostro e della carta stimolavano la corteccia cerebrale. Il confine della materia veniva ripercorso in molti sensi  precipitosamente. Fino a che, dal matrimonio rituale tra la nuvola e la montagna, si formò, nella mente, l’immagine della scienza medica.

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il cuore


Posted By on Feb 2, 2011

il cuore

Un sacco di gente. Curiosano per cogliere segreti. Le parole, il linguaggio che le lega una con un’altra. La pronuncia. E -prima- la scelta tra sinonimi. Gente mossa da uno stesso ‘motivo’. Si può affermare che sia una intuizione nella mente cui segue un gesto precoce di avvicinarsi. Niente di preciso tuttavia.

Il cuore saldo in mezzo al foglio da disegno è il mosto il vino la retorica l’uva calpestata gridando. Prima neanche quelle poche cose. Solo libertà e irresponsabilità: l’uva calpestata gridando, per l’appunto. Il cuore disegnato al centro del foglio è pensiero, autoconsapevolezza. Il sé. O -magari- il soggetto.

I rimandi possibili, subito dopo l’inizio, sono molteplici. Poiché il pensiero è una dislocazione permanente. Una strategia naturale di differimento – per portare la mente sempre fuori dalle proprie tracce. E noi siamo tracce di una e più ombre. Si può offrire via via tutto quello che c’è. Tante cose differenti noi stessi rosolati in tutte le salse.

Smetterla è importante. Fermarsi un momento. Sedere sulla banchina delle partenze a guardare i treni e gli aerei degli altri. Senza invidia. Nella mano la lettera dello scandalo. Sulla soglia della finestra  basilico peperoncini rossi timo altre piante officinali e la pianta velenosa del progressismo a tutti i costi.

Passa un sacco di gente. Conclusioni differenti di una stessa storia. Elementi di plausibilità. La storia è falsa: inaffidabile. Le persone sono vere fedeli promettenti. Alla nascita non hanno la maligna ideologia del finalismo. Poi però: e succede che più che una storia – la Storia sia una disavventura.

L’idea dei canti al sole e collettivi è vincente. La polifonia un rigo diritto, di spessore diseguale, alla fine del foglio. ‘Dominante’- ‘terza’ – ‘tonica’ – ‘ottava’ – ‘quinta’ – ‘settima’: le ‘armoniche’ battezzate come figlie nate senza posa dalla ripetizione noiosa degli atti sessuali. Nel canto – evidenti – potenza e sensualità.

Abbiamo preso il cuore degli anatomici. Ne abbiamo fatto una metafora. Poi ci siamo innamorati. Siamo stati capaci di realizzare una chiarezza sentimentale che ‘include’ l’assenza. Sappiamo bene -tuttavia- che potremmo restare brutti, seppure, ciò che abbiamo realizzato, sia una cosa desiderabile da un sacco di gente.

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non si sa mai


Posted By on Set 28, 2010

non si sa mai

(la storia comincia che non fui capace di parlarti mentre andavi via forse pensai “…non posso….non posso….non posso” ma non mi venne in soccorso lʼidea dello sciame elettrico di impulsi motori per rompere il silenzio con il suono nato dalle labbra che non poterono muoversi senza una corrente dʼamore per te)

a proposito di carezze e parole lʼidea di donna si compone e suggerisce alla mente maschile una possibilità di imbarazzo ulteriore

è lʼimbarazzo che porta la mano via dalla tasca fino al suo volto per una carezza

poi domani il gesto diventa sogno ricordato al risveglio e il gesto rimasto nella coscienza come ricordo diventa un pensiero diverso

“…gli occhi chiusi … tornare a dormire…”

così la carezza che non era nella mano diventa il sogno di una foglia che cade lenta sullʼerba proprio per sottolineare nel volteggio verso terra la natura della sua origine dalla trasformazione inconscia di un gesto senza preciso disegno

come lei quando volle abbandonarmi e voltando un poco il capo guardò dove non potevo arrivare

anche il gesto di voltare il suo bel volto lʼho sognato ed era una voce che diceva ”…. la comprensione della velocità della luce…”

cioè il tempo entro il quale si compone la decisione inconscia dʼesistere ogni mattina non morire ad ogni addio sopportare con forza la propria mancanza di decisione darsi tempo darsi tempo darsi tempo non si sa mai

e sapere anzi essere certi sempre che sempre la coscienza che tiene la conoscenza inconfondibile delle cose si trasforma e si perde nel passaggio al sonno e domattina il sogno non porta con sé gli strumenti della propria comprensione

avevo sognato la coscienza che terrebbe la conoscenza inconfondibile era una mano che restava lontana dal tuo volto e scriveva lieve e nervosa sul tessuto dei pantaloni

“….non posso…”

avevo sognato uno sciame di farfalle ed era il sogno di aver sognato che la mano scriveva non posso cioè mi suggerivo silenziosamente che avevo sognato la traccia corporea degli stimoli elettrici che sciamavano portando allʼalbero delle dita il movimento di scrivere ʻnon possoʼ

tantissime farfalle ma non infinite e “…poterle contare…” – pensai – “…è iniziare a dissolvere nella loro numerabilità la preoccupazione dʼimpotenza assoluta…”

“ …non posso..” idea parola segno sognate insieme come sciami dʼali e brevi segmenti più scuri per assi di simmetria fecero per giorni il ricordo del sogno del conflitto

al risveglio il pensiero bruciava la frontiera anche se le farfalle attenuavano volta a volta il divieto rimodellando sotto il sole il profilo delle parole dʼuna proibizione con polvere dʼargento tipica delle ali delle farfalle

certe notti sognavo il silenzio che diventava mutismo

altre notti il confine sassoso impercorribile tra secchezza e aridità

poi sognavo me che sapevo la fisionomia della sete

me che guarivo lʼallucinazione che mi regalava la morte senza dolore perché confondevo la sabbia come fosse acqua

e poi sognai me che non avrei confuso mai più la sabbia con il miele sognai me che dunque non sarei morto

poi sognai che avevo sognato che non sarei morto il sogno era la frammentazione della frase ʻnon possoʼ

quando sognai la frammentazione della frase ʻnon possoʼ era il sogno di una carezza

e il sogno di aver sognato una carezza era un albero i cui rami salivano fino al cielo a uno degli apici dellʼellisse dellʼorbita della notte

e il sogno dellʼalbero che saliva allʼapice dellʼellisse della notte eri tu

ora ho imparato ad aspettare la sera per addormentarmi perché per sostenere i tuoi addii posso solo opporre lʼodore della frontiera

il gusto tagliente di ferirsi appena con la sottile lama del tuo svanire

questa idea della sottile lama del tuo svanire non è mai stato un sogno ed ha lʼardore della mia sfrontata confidenza con la vita

la confidenza con la vita me lʼhanno riportata i passi che disegnano la distanza da quei giorni ad oggi

so che non cʼè il peccato nel pensiero degli esseri umani e il sogno che corrisponde a questo pensiero è un sogno dove scorrono i titoli di coda di una film bellissimo e io piangendo so solo leggere il tuo nome.

tra tanti che non so ancora decifrare

e questa difficoltà di decifrare quei segni sullo schermo è un sogno che sono idee di parole che dicono  ” darsi tempo darsi tempo non si sa mai ” e una voce fuori campo che dice che ci vorrebbe una donna a leggere queste stesse parole ed io nel sogno sono anche dʼaccordo.

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