Posts Tagged "caffè"


caravaggio domestico


Posted By on Apr 21, 2012

(Il presente articolo è per ringraziare Cristina Brolli per le belle foto che ogni tanto mi regala. In realtà credo che, oltre che per l’affetto aereo di questi incontri sulle messaggerie dei cellulari, cerchi di evitare i furti che da tempo comunque commetto con l’impunità dell’amicizia. La foto che arricchisce questo articolo è per me davvero un caravaggio domestico. Mi ci sono svegliato. Bello avere amici in costante ricerca, ho pensato.)

Caravaggio domestico e cronache del risveglio. Un braccio a proteggere la bambina e l’altro proteso a regalare i sogni sulla carta lucida per stampe fotografiche. Un pensiero condiviso. È il sintomo di chi si ritaglia una pretesa appena nato. Un braccio sicuro a tenersi stretto il regalo di una figlia. Un braccio libero pieno di voglia ad attendere tutto quanto si può desiderare. Non succede sempre. Arrivato il “Caravaggio” di fiori e mele in una cornice scura e profumata, si direbbe. Arrivato il secondo “Caravaggio” con toni ancora più potenti. Insieme svogliatezza e pigrizia. Fai tu. Faccio io. Io che parlo tra me e me di civiltà delle nazioni e di altre civiltà non ancora costituitesi a agglomerati sociali. Dei gradi di ammissibilità. La realtà femminile sfila di fronte agli occhi perché mi sposto verso l’altra stanza che ha la moka Bialetti nel centro del gusto. Devi pur avere qualcosa di caldo da gustare, aprendo gli occhi, affinché il risveglio non sia solo sopravvivenza. La luce che filtra è color polvere di caffè. La radio racconta le vicende della regia di Strehler per il Galileo di Brecht. Tino Buazzelli(*) escogitò di lavarsi le mani nella catinella come per cominciare un ragionamento difficile. E poi la farina nei capelli per dire scenograficamente il terrore dell’inquisizione e della tortura, girando e scuotendo la testa e spargendo il biancore  attorno. Il palcoscenico imbiaccato la biacca e i toni seri e tragici. Un aureola di violenza e di ricatti. Adesso però sale su. Il caffè è bruno e la stanza è bruna e bruno è il fondo della tela della foto. Ma è stamani allegro emergo da là dentro dal contesto che hai preparato perché parlassimo insieme. Buongiorno. E mi convince l’idea di avere tra le mani, nello schermo del cellulare questo piccolo Caravaggio domestico. 

(*)Considerato tra i migilori interpreti brechtiani del Novecento, è ricordato per l’interpretazione di Galileo Galilei nella Vita di Galileo diretto da Giorgio Strehler nella stagione 1962/1963 al Piccolo Teatro di Milano.

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il cielo sul tavolo del caffè il 21 dicembre 2011

il cielo sul tavolo del caffè il 21 dicembre 2011

IMG1280 il cielo sul tavolo del caffè

è il titolo della foto. riguarda la distanza fisica e anche temporale. soprattutto la distanza a cui è stata scattata. la distanza è fondamentale per la ricerca sulle immagini e cioé sulla generazione delle immagini nel pensiero. penso che debba esserci un movimento rispetto alle cose per realizzarne l’idea.

comunque alla conferenza su ” l’amore la nascita la cura la vita e il dolore ” c’erano tutti e c’eravamo anche noi. c’eravamo in quanto figli della nostra nascita a convalidare che esiste un seno. che il canto non è al cielo. anche se  il suono per sua natura vola nell’aria. le parole avranno delle ricadute.  andranno sempre agli appuntamenti subito o -altre volte- per strade lunghe e tortuose.

un colpo di grancassa iniziale e il rullare dei tamburi furono fatti apposta per riportarci indietro: perché si era scoperto che il fragore impedisce di pensare in modo sistematico. limita una persona ad una presa d’atto somatica della realtà. così ci dissero “le eventuali delusioni precoci si evidenzieranno quasi immediatamente… forse” – aggiunsero –  “altereranno la rappresentazione del mondo ma tant’é !” Dunque pensammo che eravamo là per un amore sperimentale.

per facilitarci l’accesso alla passione in questione ci fu chiarito che “l’immagine che è essenziale alla  presenza affettuosa non supplisce la prassi” e che data questa non sostituibilità non è legittimo considerare l’immagine come il polo di un dualismo. in realtà “proprio  non c’è il dualismo mente-corpo” – mi pare di aver capito che dicessero. Questi d’altra parte non sono che appunti. Un reportage di quando ancora sperimentavamo in prima persona le avance teoriche di liberi geni. tra la stanza e il marciapiede di fronte alle sue finestre.

se l’in-finito -ciò che non finisce– è perfetto potrò descrivere la nostra avventura sentimentale finalmente. scriverò non di te ma a partire da te. allontanandomi. nel movimento di cui sarai il fuoco di origine avrò la sensazione di mettere il discorso al riparo dalle definizioni. meglio trovare il linguaggio mentre prendiamo una distanza perché per quello che ne capisco comunque la ‘conoscenza’ è intransitiva e l’intelligenza sta nel non tentare una lesione ad una tale irriducibile qualità identitaria.

in termini di confronto (e scontro) culturale potremmo opporre che il corpo concettuale razionale condiviso dalla cultura è – da questo punto di osservazione – un vincolo giudiziario che si pone alla infinità dell’intelligenza della specie umana per riportarla ad una comprensione democratica. e far notare che il vincolo si rompe periodicamente. periodicamente fioriscono i ciclamini nella pineta come banditi e periodicamente e ineluttabilmente i ragazzini ne portano mazzi profumati a casa: che è dove una mano li immerge nel bicchiere di vetro spesso e trasparente dell’acqua che traboccherà dunque di profumo. quel gesto di pazienza e di gentilezza è la nostra ora d’aria o addirittura -talvolta- la fine della pena.

è speculare a eventi di quel tipo il cielo di oggi sui tavolini per le colazioni di fronte al Caffè dei Rivoluzionari di Seconda Generazione. è un cielo riflesso che pare preparare gli occhi alla visione e alle attese. dentro il locale fumante del bar il vapore gonfia grandi bricchi di latte per la schiuma. qua fuori lo scirocco imprigionato nei suoni delle parole sulla carta si scatena sulla superficie di ferro lucidato dei tavoli su cui operiamo con metodo la lettura. la lettura ci risulta infinita perché è impossibile chiarire l’intelligenza del genere umano una volta per tutte compiutamente.

sorridiamo guardandoci di sottecchi senza parere come se fossimo d’accordo su una cosa non detta. che ci resta e ci accomuna ineliminabile e florida l’invidia per i gesti discreti e definitivi delle mani dei chirurghi che implacabilmente salvano  vite dicendo oscenità alle ferriste. che stanno perennemante in eccitata adorazione dell’eleganza delle incisioni e delle suture di quella sartoria dei miracoli. bisogna dire che ‘invece’ noi. che noi cioè ‘al contrario‘ – quasi ‘all’opposto’ noi restiamo al tavolo che riflette il cielo a contare amore e errori. che è soltanto per procurarci le occasioni di alludere alla generazione delle idee sulle cose. per avere così la sensazione di esistere comunque un poco.

Il pensiero conclusivo sarebbe che la parola bellezza è quasi del tutto inutile se viene pronunciata alle ferriste in eccitata adorazione. il loro dio è al colmo di una collina di organi aperti e ricuciti. esse fanno il bagno nel sangue delle trasfusioni. il modo che le tiene avvinte ai bordi del tavolo è nascosto nei movimenti delle mani. e le mani si mostrano ogni volta al sicuro sotto l’ombrello di luce delle sedute operatorie.

“questo è tutto” ti dicono. e con aria amareggiata -per quel tutto che è concluso nell’area della cura e guarigione- aggiungono scuotendo la testa che “comumque non capirai “. aggiungono notizie sulle loro giornate: “dopo è un vivere per non annullare. per tenere nel giusto conto le azioni eccessive delle mani addosso e dentro i corpi da risanare”. noi pensiamo che quelle azioni eloquenti e mute siano in grado di contrastare la legislazione che alcuni ritennero utile opporre alla perfezione dell’in-finità…”

perché dici così adesso …. ?

questa è leggerezza…. !

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sui muri


Posted By on Nov 17, 2011

sera

sui muri

sui muri disegni di china riscaldata sparata a laser raffigurano l’amore di una coppia la porta di casa spalancata le grida di piacere avanti e indietro la soglia sullo sfondo il napalm, una voce che urla suggerimenti da un altoparlante e in primo piano quieti struggenti i volti dei figli

un occhio inciso delicatamente sulla pelle bene augurante è arrivato lesto: è entrato a cercare scintillante -dalla strada che guarda la casa- girando un angolo acuto fino al gomito di specchio dove mi osservo appena sveglio

le fattucchiere si fanno il caffè di fronte all’obbiettivo bellissime ridenti io lucido il vetro: lucido e pulisco col vetril di lacrime: si paga con briciole di conoscenza la colpa delle cornacchie che rubano guanti e castagne

sono uscito portando con me la sicurezza del freddo riflettendo “si sa quasi tutto di certe persone, tutto di altre, di certe si sanno segreti loro ignoti e per questo si fa silenzio al burro e marmellata si fa silenzio al caffè la mattina tacendo assieme a loro”

dalla pianta dei piedi è l’ascesa vittoriosa e negli occhi la ricomposizione del pensiero e sulle dita la potenza per ciò che deve accadere e così dico alla prima che incontro “per te ho varcato l’aria” come un annuncio matrimoniale o una dichiarazione di guerra o uno sbuffo di vapore

nei regali ci si intende sulla natura dell’allegria e della riconoscenza, nella miseria si sciala fino al fondo lungo le linee vibranti dell’alta tensione deposte sul pavimento dell’oceano: il pensiero si ricompone nelle moschee allacciando i passi felici ad una foto di figure di donne

un mondo salato e delicato il lago degli occhi incisi ai tuoi gomiti che si diffonde poi -dalla finestra- sulla strada, sui cartoni dei senza casa, sul bianco e nero di carta e parole “hai messo tu l’astronauta sul ripiano del caffè?”

“l’ho messo per significare che la nostra storia di mutismo è stata un’autostrada” – “e io solo scrivendo facevo rumore perché mi avevi convinto che gli strepiti sono la bontà” – “e io ho temuto che l’amore fosse una macchia lunare ” – “non smettere più”

la foresta di ragnatele in teflon nasconde capanne, io cerco i pochi eroi scampati al sacrificio, quelli con l’incisivo d’oro imbarcati sui galeoni in fibra di carbonio perché la strada di libertà tra la mia casa e la stanza caldo arancio del lavoro è piena di storia….

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cominciare a dire


Posted By on Mag 21, 2011

cominciare a dire

La poesia non ha nulla a che fare con la versificazione. Consiste in ciò che si trova nel mondo, al di qua di quanto ci è permesso di osservare.(Magritte)

Per quando ci saranno luce e tempo lampadine e chiarori, per allora metto via le cose senza consumare fino in fondo la bellezza e la musica, per questo, e per quello che è differente da ora e che non conosco che passa frettoloso. Ci saranno luce e tempo per mettere a fuoco la macchina dell’espresso di alluminio lucente che mi viene incontro quando cammino a piedi scalzi nel quadro surrealista del risveglio con movimenti e arresti cigolanti tra il margine del letto, lo spigolo netto e pulito della cucina, la fiamma blu che eccita il luna park delle molecole d’acqua che fanno salire il caffè. Fisserò gli occhi splendenti nella penombra che si determina ogni mattina quando dalla finestra la luce attraversa sottili fessure della persiana e come latte intorbida l’amalgama di buio profumato di sogni nascenti e pane tostato. Non si è pronunciata una sola parola per un tempo lungo perché si è rivelato inutile e si butta giù silenzio e muta aspettativa mentre l’inclinazione dei raggi di sole fa un angolo via via crescente sul foglio da disegno del pavimento e trascorrono inesorabili deserti nella ripetizione prima che movimenti accurati inaugurino traiettorie che traversano il disegno variabile dell’ombra determinando la caduta sbuffante della mongolfiera come una locomotiva in picchiata ma al rallentatore quando le giunture delle ginocchia scricchiolano musicali e si va via dalla stanza ed è oramai giorno e per un bel po’ potremo continuare a tacere. Da quando cerco di realizzare i contenuti della vitalità ho ristretto gli esperimenti a successioni brevi, a durate impensabili a registrazioni di attimi instancabilmente riproposti, ad abbracci fugaci, a baci inattesi, a sfioramenti a misurazioni di singoli gradi di variabilità dell’umidità delle labbra sulla pelle. Sono sulle tracce dei pensieri a venire e non mi do pace perché darsi pace mi appare una rinuncia mentre nessuno ha tuttora definito gli aspetti della vitalità come si fa avendo accettato definitivamente che essa è una funzione della biologia cerebrale un parametro che definisce modalità funzionali dell’attività della mente ed ho acquisito la sicurezza che sarà una capacità di risolvere la vitalità dentro una formula linguistica a costituire un primo risultato per riproporre ulteriori ricerche a proposito della realtà psichica scrivere definitivamente l’equazione tra norma e sanità. Vitalità è una funzione che può essere pensata come ciò che consente  alle azioni mentali di produrre effetti sulla realtà materiale della biologia attraverso variazione degli assetti biochimici cerebrali ed è così che non è magia se arrossisco quando ti vedo mentre realizzo il tempo e la luce esatti che accompagnano gli stimoli visuali e termici della tua apparizione e poi della tua presenza. Ed è così che tempo e luce variando in mille combinazioni mi restituiscono l’idea di te che adesso non ci sei essendoti molto allontanata per certe occupazioni e la cucina e il letto e la sponda del piano di marmo antico del tavolo delle colazioni sembrano muoversi per comporre  attraverso la ricreazione della tua figura un argine all’assenza e al vuoto che si è determinato per la tua sottrazione. La vitalità è la funzione del pensiero che genera l’immagine di una possibilità ulteriore di essere e la continuità dell’identità di fronte allo stimolo dell’assenza: la scoperta medica della vitalità è l’invenzione di un farmaco nuovo che agisce attraverso l’attivazione di una chimica sottile che ha come stimolo elettivo l’irrealtà del nulla. Senza sarebbe la morte del pensiero e l’impossibilità di essere certi dell’esistenza del mondo durante le nostre traversate solitarie e silenziose di ogni confine. Senza sarebbe l’impossibilità di ‘noi’ tutte le volte che non ci sei che sono il pane quotidiano del nostro amore.

(L’immagine di questo articolo:Magritte ‘La Condizione Umana’)

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la donna-caffè


Posted By on Mar 27, 2011

la donna-caffè

Eccomi alla musica. Al corpo quasi abbattuto senza una iniziativa di decisione. Alla fiera dei libri di storia, quelli mai usati. Alla fiera dei polpastrelli neri di inchiostro e degli occhi che non pronunciano le parole e solamente graffiano la superficie. Edipo e Creonte al cospetto della muta del coro che aspetta -a margine- la scoperta sulle labbra degli indovini ciechi. Tu hai gli occhi ma gli occhi non sono organi di pronuncia. Nelle tragedie ci sono mani sospese in levare occhi inadatti alla dizione labbra sempre pronte su ogni linea di partenza e di traguardo. Dello studio appassionato o trasognato dei ‘classici’ noi conserviamo -ancora oggi e sempre- pensieri eroici ideali di quotidianità cose che -ancora oggi- ci siamo ripromessi.

Così accade che duriamo sull’orlo delle tazze variopinte piene di carezze anche se è appurato dall’esperienza che mancano del tutto meccanismi di concessione automatica, burocrazie rapide ed efficaci per le pratiche di autorizzazione, e protocolli di legittimazione della felicità portata via dai musei e dalle collezioni. Musiche di solida costituzione, timbri di una speciale precisione acustica, e variazioni di una qualsivoglia ricercata complessità non ne vengono mai spontaneamente. Semmai viene la commozione. Viene in momenti inattesi e imprevisti come ora che la donna del bar mi offre lo zucchero facendo scivolare i contenitori sul bancone di acciaio mentre sorride senza vedermi: eppure mi basta mi fa felice distrattamente perchè mi fa balenare di fronte il pensiero di accortezze aggraziate e di guarigioni per smemoratezza.

Avanzare di stamani. Un caffè macchiato caldo con la nuvola di schiuma, i baffi di panna come capelli al naso, tutto bianco intorno alla fronte e al sorriso, se viene. La scrittura che fa la ricerca sulla musica che entra attraverso i timpani come vibrazione acustica, e attraverso la pelle come pressioni variabili e coperte fruscianti: lana cotone spine petali tela fruste di betulla e noia e passione di crine e capelli e fontane di terra e schiaffi lunghi d’acqua. Una mattina larga come un’autostrada tra l’oriente e questa terra. Il gesto ampio della mano destra della donna ormai lei stessa tutta caffè perché e’ dalle cinque che filtra alla pressione del lavoro del bar. Cambia le puntate sul bancone, distribuendo variabili livelli di una chimica di caffeina. E noi stiamo ai suoi gesti come alla musica.

Evidentemente ha appreso l’attrito della zuccheriere d’acciaio leggero sull’acciaio pesante del bancone in tutti questi anni. E’ bellissima e non ha più pochi anni. E’ bellissima comunque come una ripresa del motivo lasciato a mezz’aria dai musicisti -i fazzoletti luccicanti di bianco al sudore della fronte e alla saliva del trombettista. Ha misurato l’attrito del contenitore dello zucchero. Ha misurato le distanze con l’abitudine e restituisce il sapere con l’armonia del movimento e la ripetizione. Si fa ‘grazia’ del suo elegante spacciarsi da meno del capolavoro che è.

Ha dovuto spostare la zuccheriera accanto alla mia tazzina di caffè. Lei è una donna-caffè e non si deve dire che mi abbia visto. Gli occhi mi hanno percepito, ma la sua mente non mi ha pensato, ed era ovvio perchè lei è La Dama Dell’Ermellino: un capolavoro dell’arte che è rimasta secoli oltre la soglia dell’amore di uomini e donne che chiedevano senza pensarla mai, ed ha imparato a pensare per sé. La donna-caffè non ha pronunciato una parola eppure io la vedo sulle barricate della rivoluzione alla testa di una brigata di anni sorridenti pronti a morire per lei. Per stabilire che ce l’ha fatta.

La bocca ha sorriso ed io pensavo: vivere e’ un evenienza del pensiero, la proclamazione di una biografia costituzionale, la stesura definitiva di un milione di algoritmi che permettono di avere un’idea che la funzione d’essere al mondo è una realtà della materia, senza interventi miracolosi. Sono al mondo da sempre per quello che mi riguarda e non so il tempo del mio non essere. Se dovesse presentarsi il tempo -insieme al mio ‘non essere più in grado’ di essere pensieri di te e di altre porzioni felici o trascurabili di mondo- sarò diventato pazzo. Voglio recitare la tragedia musicale della donna-caffè che ogni giorno viene distillata alla pressione dei nostri risvegli.

Ti voglio accanto, voglio che tu diventi la liturgia intera di una pretesa. Voglio che mi tolga il mutismo degli occhi che non hanno il suono della pronuncia, voglio che ti avvicini per vedere i miei pensieri che sono arsenali di navi, flotte di guerra pronte per ogni conquista ancorate con fili d’acciaio alla banchina, nell’angolo dello studio dove metto i fiori che mi regalano amorosamente – facendomi orgoglioso e felice. Vieni a vedere lo spettacolo di me che sono un dramma a lieto fine, l’arroganza degli occhi senza il suono della voce e il coraggio delle esplorazioni del pensiero notturno, e che tuttavia a modo loro spostano zucchero e tazze di caffè e coppe di liquore come una coppia di divinità da bar.

Vieni ad osservate al radiotelescopio le notti dei fuochi artificiali e l’origine dell’intelligenza. Vieni a vedere  che pazzia che ho fatto, che ho apparecchiato il soggiorno nel tuo stile. Le lacrime perché da sempre mi infrango nel concetto roccioso di fortuna e poi alla fine sei tu tempo fortuna musica e saune nella neve durante la ribellione controriformista. Il corpo alla musica. Le evenienze dei pensieri. La scrittura delle parole senza ordine logico poi le correzioni per dare forma, restituire umanità, cercarti per fare pace con il senso della tragedia, e percorrere le gallerie  dell’appennino centrale per tornare ad una costa ogni volta. Il pensiero in origine è ribelle. Si nasce con un corredo di camicie rosso fuoco.

Si corre sulle macchine rombanti sulle moto indiavolate perché il sogno più importante era quello di Einstein d’essere a cavallo della luce lanciata al galoppo. (Anche se non ci ponemmo mai la domanda decisiva ‘verso dove’ e così non scoprimmo che c’era assenza di dio in quel sogno qualunque fosse stata la soluzione, mica solo la fisica delle bombe e delle sliding doors!) Ora il corpo e’ abbattuto nell’onda luminosa dello sguardo della donna-caffè: che sposta coppe di zucchero, fiumi di latte, fiale di sostanze psicotrope alla caffeina, e spaccia dubbi -incrollabile- col movimento deciso del braccio e gli occhi perduti al caldo delle trapunte nei letti di tutti, perché lei evidentemente ha il fegato dei cercatori.

Mi pareva di essere una pepita d’oro sottratta alla corrente del fiume dalla sua mano di salmone gonfia di uova -vedi- sei capace di chiudere gli occhi sul foglio elettronico ed avvicinarti davvero? E’ la musica.

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