medicina


forma di passione


Posted By on Mag 18, 2011

forma di passione

Spettatore restando quasi immobile inchiodato alla poltrona di fronte allo schermo i suoni vivi del canto di ragazza con l’uomo che corregge amorevole una ingenuità d’amore che non sta nella promessa definitiva che vuole ancora di più senza che sia la bramosia d’un accumulo solo la graziosa lucidità d’un chiarimento ci sono archi azzurri alle spalle dei due che rifulgono di giallo e pesca caldo nel cuore delle figure davvero rifulgono perché così si era impressionata oltre la lente lucida degli obiettivi a cannocchiale la superficie verticale dove riponemmo la fiducia nella registrazione del ricordo intanto stupirmi delle poche cose indispensabili una posizione reciproca una dedizione affettuosa una educazione al canto che è quando la nostra voce dovrà far fronte all’impertinenza di salire di qualche tono e una vicinanza per lati dei corpi un non affrontare di petto ma obliquamente e alla fine io permettermi di alterare il fermo immagine in cui ero quasi senza respiro per non perdermi neanche una parola sorridendo e scuotendo il capo quando realizzo qui che la saggezza è obliqua senza compromessi che i due fanno un angolo penso ‘quasi novanta gradi’ per scambiarsi ricette indispensabili negli anni futuri a tutti coloro che dovranno cucinare triglie guizzate sulla barca mais tuberi dissodati a mani nude giusto per arrivare al fuoco con gli altri la sera ed esprimere pubblicamente la pretesa :

– ” Io te vurrìa vasa’ ” sospira la canzone, ma prima e più di questo io ti vorrei bastare, io te vurrìa abbasta’, come la gola al canto, come il coltello al pane, come la fede al santo io ti vorrei bastare. E nessun altro abbraccio, potessi tu cercare, in nessun altro odore addormentare, io ti vorrei bastare, io te vurrìa abbasta’. ” Io te vurrìa vasa’ ” insiste la canzone, ma un pò meno di questo, io ti vorrei mancare, io te vurrìa manca’, più del fiato in salita, più di neve a Natale, di benda su ferita, più di farina e sale. E nessun altro abbraccio, potessi tu cercare, in nessun altro odore addormentare, io ti vorrei mancare, io te vurrìa mancà. – ( Erri De Luca )

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le sere con l’aria addossso


Posted By on Apr 17, 2011

le sere con l’aria addossso

…resta a lungo le sere con l’aria addosso sulle braccia nude, e le parole che vengono su dalle punte delle dita fino alle spalle e al centro del torace, che sotto contiene i bronchi e solo parte del cuore, la curva del ventricolo destro, non di più. L’arco esterno del ventricolo destro si spinge oltre i bronchi verso la linea mediana ed ha molto a che fare con il respiro, in più è sostenuto dal diaframma e galleggia, fluttua su e giù, mettendosi sottosopra insieme a noi ad ogni sospiro. Le sere in cui si resta lungamente vicini hanno a che fare con l’anatomia e le funzioni della biologia, e con le spinte degli organi interni, quelle delle contrazioni cardiache e le due differenti spinte del respiro una sussultoria del diaframma e una trasversale, che insieme dilatano il volume del tessuto alveolare. L’aria addosso, il buio, il profumo, le palme delle tue mani, le risa e i pianti dei ragazzini e i papaveri nascosti nel grano fanno, da fuori e da ogni parte, una spinta differente .

L’aria esterna spinge la superficie cutanea, le estremità delle dita, le labbra al gelato di crema, i delicati incroci con mani delicate, i corpi resistenti dei cercatori sui monti dove nascono i fiumi, i loro sogni tragici sulla fine del mondo, i loro sogni felici sulla vittoria della battaglia e le immagini incomprensibili delle fantastiche immersioni nella pancia dei galeoni. L’aria esterna tiene sotto la sua pressione variabile le figure, l’orizzonte, il deserto, i cammelli, i guerrieri, questo spazio sconfinato, e la superficie senza ombre della steppa e  infine l’aria come una mano si accalca – che ha il disegno esteso dell’io altrimenti insondabile dell’uomo e della donna – intorno alla pelle del viso, delle dita successivamente fino alla pelle al sapore di gelato sui polsi e sulle braccia, dove distrattamente abbiamo lasciato gocciolare la crema densa e fredda che spumeggia al vertice del cono croccante. Il mondo intero – cadendo precipitoso da ogni parte del cielo – alla fine spinge su due gocce di sangue esplose silenziosamente nel microcosmo della linea tra la pelle forte del volto e la delicatezza del labbro inferiore.

Il sangue è perché c’è scappato un morso, per tacere e non rivelare il tuo nome che stavo per pronunciare – mentre leccavo con l’eccitazione di una fiera la montagna dolce – quando sei spuntata, tra la gente accalcata intorno alle vaschette gelate del distributore della menta e della panna, al momento meno opportuno. Sono corso alla cabina di legno e acciaio e rimasto accucciato nella scia bianca della barca che beccheggia al terremoto del respiro traverso e oscillante. Ho preso carta e penna poi tento un discorso vago sulla vitalità di base che non ha immagine,  sulla variazione dello stato fisico della biologia che le corrisponde ed è prima del pensiero. Sul pensiero che deriva dalla realtà materiale, dopo che essa ha acquisito la vitalità che è definitiva e irreversibile caratteristica umana di non rimanere inerte agli stimoli indifferenziati dell’aria esterna, della luce, del calore e del freddo cui opponiamo poi per sempre, fino alla fine, la costanza della scrittura senza un oggetto e l’invenzione di un amore di ragazza cui esprimere focosi dubbi, inutili gelosie, e invidie possenti. Metto insieme sostantivi ed aggettivi, femminile e maschile, creazione e decostruzione, per trascrivere la pressione dell’aria e del buio sulla pelle e gli occhi, la gradevolezza il profumo i veleni i ginepri amari, gli allori e le albicocche, il ginger assoluto, l’acuto di pino tra palato e faringe.

Tutto questo per reagire al sangue esploso sul labbro inferiore, all’incidente quasi mortale di un giorno senza te, alla disgrazia di un movimento freddo senza spine appena tiepide almeno, all’ingiustizia modesta e felicissima del mio desiderio pop, alla mia voglia postmoderna di noi come creme gelate dense e fredde. Il labbro aveva sanguinato perché eri comparsa all’improvviso, e l’aria esterna piena della tua figura densa e profumata aveva sussultato e spinto con grande pressione, cosicché io ero diventato poco significativamente romanzo di formazione e visione del mondo e tutta la cultura letteraria all’acqua di rose delle nostre aule scolastiche si era riversata addosso alla camicia di lino immacolato che siamo noi nella mia mente, e mi ero ritrovato con fregi delle isole tropicali sul torace. Dalle labbra appena sanguinanti tornavo all’inizio, a rotolare sul terreno di una anatomia e una topografia romantiche, all’umanesimo scientifico del cuore nel petto, alle olimpiadi acquatiche in cui tutti nuotano – finalmente agili nella mia illusoria rappresentazione – nel volume di un pensiero alla crema e cioccolata al caffè e ai frutti di bosco, nel mar rosso del pensiero di sangue e di profumo, nel mare vociante delle strade africane di questo attuale confuso risorgimento, in quel mare di poca imprevista allegria di rivoluzione cenciosa, che le piatte ragionevoli analisi degli accademici occidentali – quelli dell’impossibilità assoluta del desiderio – non avevano saputo prevedere.

Tutto si è svolto in poche battute delle nostre vite: la mia di cui sono testimone e certo anche la tua, seppure tu – nel corso dello svolgersi di questi pensieri – non sei mai stata qui se non nella traccia di un ricordo di una sera dell’estate scorsa. Questa ricreazione di noi  è una dimensione di attività umana, la tanto indagata vitalità che lega funzioni diverse per creare una profondità adatta a sentire la densità del tempo, per non lasciare la linea delle cose senza immagini ridotte a figure geometriche piatte come l’ombra degli obelischi, quando anche i palazzi delle accademie proiettano superfici scure di fronte alla nostra annoiata perplessità, nei giorni in cui siamo costretti a misurare il tempo seguendo nella polvere la rotazione delle ombre senza la potenza del volume. L’attrazione gravitazionale di tre gocce di sangue sul labbro fuga i fantasmi e conferma il passato:

” …la ricreazione di te nel ricordo ha il voluminoso significato del buio alla crema… “

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il ragazzo cieco


Posted By on Feb 12, 2011

il ragazzo cieco

Poche righe. Un certo numero di respirazioni complete. Il paragrafo ha una fisiologia che lega l’organo e la predica. Il suono artificiale e la voce. Ci vorrà tempo a ricominciare. L’ idea di dio è l’astronave degli ultracorpi che occulta il proprio orrore.

Perché la letteratura non sia un comandamento. Perché il linguaggio non sia una preghiera. Sono finalità di superbia. Siamo appena usciti dalle tasche cieche di un gesuita segaligno. Chissà che ci crediamo. La superbia non è peccato, è suicidio.

Non più di tre righe. Metodi da infiltrati, da esercito di liberazione. Per non essere localizzati: la sintesi. Le mani sulla tastiera come nella terza di Rachmaninoff. Ogni mano dieci dita. Due armonie in guerra da suonare. La coscienza sarebbe la morte.

Lo studio ci ha resi capaci, alla fine. Ciò che è specificamente umano non affatica. Leggere, scrivere, parlare: con tutti. Trovare da dire. Non ripetere. Scegliere il deserto: il mondo della polvere ocra senza guadagno dell’eco alla voce.

Il deserto, nel suo niente, porta via e porta via. Nel gioco cadevi indietro e dovevi fidarti. Alle spalle la forza dell’amico. Delle sue braccia. La forza -si misura così- è uguale alla certezza del cieco. Il pensiero è un ragazzo non vedente di una bellezza mai vista.

Il pensiero umano è un ragazzo cieco che non teme il buio della materia.

Ha la pelle sana. Per via della polvere. La polvere secca del deserto -che il giorno è ocra e la notte annerisce all’improvviso- sospesa nel buio. La fisica della polvere ha poteri di guarigione -perché da sempre subisce quelle drastiche variazioni di colore.

Il deserto è dove andiamo ad aspettare. Noi sappiamo aspettare. Solo gli esseri umani aspettano davvero. Le donne dei nomadi dicono che aspettare è quando l’immagine di chi è andato lontano si lega al tempo e crea la parola ‘coraggio’.

Era notte nel sogno ed e’ notte al risveglio. Il sogno del tuo seno nella mano fa la differenza da ieri. Fa il tempo. La polvere nera del pensiero è polvere da sparo. Ogni notte la polvere nera del pensiero può esplodere nel sogno e illuminare la coscienza.

Il pensiero, il deserto e l’attesa.

L’attesa è metafisica delle piazze. Folla di manichini. Nero delle loro ombre. Restare in equilibrio su  ‘quasi niente’. Il niente che resta dopo ogni sottrazione che non sia rubare. Quando aspettiamo. Se sappiamo aspettare. Ci possiamo reciprocamente levare la malattia.

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naturalmente


Posted By on Feb 7, 2011

naturalmente

( pre scriptum :  al mondo è pieno di cose che sono la cosa più difficile al mondo, per questo è indispensabile avere accanto persone intelligenti, che accettino il silenzio di tutti gli amori indispensabili per resistere – naturalmente, avere accanto persone intelligenti di quel tipo, è una delle cose più difficili al mondo….)

Devo mettere insieme le cose lasciate in giro. Ho un sacco di tempo, ora che il tempo è scaduto. Non sono morto nella trappola – un guizzo, come sempre! Nella fossa del terreno è rimasto il foglietto della penitenza. Lo ricordo a mente. Posso continuare la caccia al tesoro.

Comincia da ieri -che mi era mosso appena. Frasi brevi per dire le cose. Noi. Lei. E l’attenzione che coglie tutto. Io che imparo qualcosa in più. Che ci vuole modestia. Che si sarebbe dovuti restare a parlare per ore. Forse un giorno sara’ realtà. Per ora ci aiutiamo a non diventare stupidi. E’ molto.

L’insonnia mette accanto notte e mattino, genera un disordine sulla trapunta. Sopra la tela cubista, con il naso al collo, il profumo di donna. Era difficile anche solo avvicinarla, un tempo. Dunque: che si sappia di un fulgore, di uno stridere di capelli nerissimi. Di una vittoria alle corse delle ranocchie, di una felicita’ immotivata.

Che si sappia del funerale della malignità. E’ morta poco tempo fa nel suo alito alla menta. Nel collo di lei all’anice e peperoncino. Amen. E adesso facciamo la rivoluzione che rivoluziona l’assenza storica di rivoluzioni. Odiamo l’odio. Impicchiamo il sarcasmo al silenzio. Ho un evidenziatore verde-mare nella tasca.

La sua voce raccontava una disposizione a se’. Io gioivo. Piccole cose. Il sole di ieri, al parco, alle due. Sta leggendo. Adesso è domani. Guarda le parole. Compiaciuta. Splendente di complimenti. A testa alta. Ripete a mente il foglietto della caccia al tesoro. La felicita -l’intelligenza- stanno in uggia ai più.

L’Antropologia del Luna Park si fa tra la folla festante. Di se non è prevista conferma, se non indirettamente. Non e’ modestia. E’ che nella gerarchia tribale prevalgono le grida dei ragazzini. Nel Manuale di Antropologico dell’ Otto Volante – chiunque tenti una comprensione logica- non è definito ‘buono’.

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stregoneria


Posted By on Feb 4, 2011

stregoneria

Quella calma per capire senza restare -troppo a lungo- troppo separati. Troppo non va affatto bene per gli esseri umani. La vitalità -educatamente- si divora infinite variazioni minime. Bisogna ricreare il mare d’acqua, attraverso passioni molecolari. Lo sguardo una piscina. Le dita sulla spalla l’invenzione della stampa. Il sesso è stato la lettura dei fondi di caffè, sul piano di marmo. Mi applicai a studiare stregoneria, con una allegria diversa dal solito.

L’immagine per capire. Ridisegnando i marmi. Il pensiero è fatto di cartapesta e prende varie forme. Attrae le mani a mettervi mano. Il desiderio, che ci porta vicini, per entrare decisamente in rapporto. A farci irresponsabilmente carico di tutto, proprio tutto: tanto le parole sono di nebbia. Vanno respirate. Dentro agiscono sulla biologia. Generando -attraverso un’azione fisica- altra realtà non materiale. Ti amo, si dice.

Stregoneria: quale è la pressione appropriata di una mano sulla spalla? Studiavo  l’arte dei fondi di caffè -il pomeriggio. Alchimia: come evitare il vuoto – quando si scatena la magia  degli affetti che cambiano – togliendoci la certezza dell’eternità. Il tempo: noi dopo  ‘noi’. E ripetevo a memoria: “ Noi siamo l’Ultima Edizione dell’Oceano Pacifico – l’ Enciclopedia della Vitalità – il Libro Primo della Scienza delle Stimolazioni Molecolari.”  Ero bravo.

Traducevo la peste, il coraggio, i rifugi, le tuniche, i cappucci che coprono il viso. I passi svelti nelle strade, e il terrore degli inseguimenti. Meglio non trascurare niente, mi dicevo. Ma niente è più difficile da capire del legame -la relazione- tra materia e pensiero. E della relazione inversa, tra il pensiero e la materia. Quando il cuore accelera ‘solo’ perché la immagini svoltare l’angolo. Lì mi venne in mente.

Il pensiero -che mai è solo pensiero- è materia al confine. E’ pelle ,di vedetta alle frontiere, che vigila che niente cada in spirito mai. La materia -al confine- misura il mondo in spanne – disegna le passioni – dirige, sulla pelle, le sue dita – e, alla fine, – traduce nella nostra lingua il mito dell’ origine. Legge le tracce di quello che si muove: che sia altro, capitano, madre, seminatore, cipresso. O mangiatore di patate.

La punta dell’Himalaya ha la sua ragazza: è una nuvola di compagnia che scoraggia gli audaci. L’atomo ultimo di roccia, prima del cielo, è un matrimonio. Ci siamo spinti lassù per quello: fugare il sospetto dell’irrealtà. Il coraggio era nostro. Possiamo regalarlo alla neve. Se vogliamo. C’è una rinuncia anche al colmo della vittoria. La pazzia degli artisti.

Studiavo stregoneria, e le pressioni appropriate di una mano sulla spalla. Niente è più difficile da capire del legame -la relazione- tra materia e pensiero. E ora mi rendo conto, che il pensiero non è mai  solo pensiero: è materia al confine, l’ultimo atomo di roccia prima del cielo, quando la montagna si sposa. Studia le tracce di quello che si muove – la differenza tra l’uomo e l’ animale.

L’immagine per capire. Ridisegnando i marmi cercavo un argine alla peste:  “ l’agente eziologico della peste è un batterio – risiede in diversi serbatoi animali – roditori, insetti, uccelli, mammiferi – questi possono rappresentare potenziali fonti di contagio per l’uomo.” E uno solo basta ad ammalarne parecchi. Studiavo la peste, per scoprire le vie infinite di una provvidenza maligna.

Le dita e gli occhi scivolavano sulle parole scritte, le sensazioni tattile e visiva  dell’inchiostro e della carta stimolavano la corteccia cerebrale. Il confine della materia veniva ripercorso in molti sensi  precipitosamente. Fino a che, dal matrimonio rituale tra la nuvola e la montagna, si formò, nella mente, l’immagine della scienza medica.

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pensiero senza coscienza


Posted By on Nov 19, 2010

pensiero senza coscienza

Il linguaggio delle risposte era composto con parole che non parevano avere un riferimento immediato alle figure del sogno. Per questo le figure del sogno rimanevano sospese al cielo per il filo sottile della ricerca di un rapporto differente. Un rapporto che potesse ricreare il tempo prima della nascita della coscienza,  quando gli esseri umani vivono nella civiltà della luce. Prima dell’avvento delle figure che inaugurano la civiltà dello sguardo. Gli ambiti del pensiero sono circoscritti, esclusi dalla dittaura delle linee di separazione. La comparsa degli oggetti è una foglia che scivola contro il cielo. La foglia che scivola contro il cielo è la narrazione dell’ombra che la mano che si avvicina proietta sul volto del bambino incontrando i fasci di sole che arrivano dalla finestra aperta. Forse è anche la traccia della carezza della mano della madre. Ma non c’è dato sapere se ci sia la figura come realizzazione del pensiero di allora. Pensiamo di no perchè non c’è coerenza immediata delle risposte del bambino alle evocazioni del linguaggio verbale. Poiché non c’è ancora coscienza delle cose evidenti. Si dice che sia irrazionale ciò che si realizza come pensiero infantile poichè esso permane a dispetto della realtà materiale esterna che non può agire su quel pensiero, seppure possa determinare lesioni alla corteccia cerebrale. Si sa che è irrazionale perchè è quasi soltanto  la realtà del pensiero degli altri esseri umani che esercita un’azione profonda, determinante sulla vita mentale del bambino.

Si andava avanti supponendo che la vicenda non cosciente della formazione del pensiero del neonato, in rapporto con l’altro essere umano,  fosse alla base della possibilità di un pensiero come sogno. Fu in quel tempo che il linguaggio delle risposte ai racconti parve in grado di sciogliersi dal legame ragionevole con le figure descritte dalla concatenazione delle parole degli altri. Era perchè si realizzava una possibilità di tornare ad un pensiero senza coscienza? La foglia che cadeva dal cielo nel racconto del sogno: era il ricordo di un evento perduto, e ritrovato, di una una catena di eventi realmente accaduti? Era  il pensiero  -che mai era stato cosciente- della certezza dell’esistenza di un primo rapporto di interesse dopo la nascita?  In questo secondo caso bisognava notare che la realizzazione di esistenza di una prima forma di realtà umana fuori di sé -distinta dalla realtà materiale non umana- era espressa dalla figura di una foglia: un oggetto di natura è l’opposto della vita umana ricca di calore e interesse. Allora nel ricordo del sogno non restava nessun legame tra immagine ( la realtà dell’interesse dell’altro) e figura (la foglia).

Allora, forse, era questa natura del sogno che faceva si che il linguaggio delle risposte si componesse con parole che non avevano nessun riferimento immediato alle figure. Ascoltavo la voce che diceva ‘una foglia che volteggia nell’aria sullo sfondo del cielo’ e dicevo che era la traccia di un primo rapporto umano: fantasticavo l’idea disarmante che fosse stato quando la madre, nel gesto di accarezzare la bambina, aveva attraversato con la mano i raggi luminosi che da una finestra illuminavano il lettino. Una foglia che scivolava leggera: perchè poi, forse, la carezza sul viso, era stata così convincente da confermare sulla pelle la leggiadra promessa dell’ombra, di un attimo prima.

Domande spinose che accompagnano una ricerca.

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