angeli incustoditi


il riposo


Posted By on Feb 17, 2012

il riposo

si veda se l’immagine non sia ‘altro‘ che una incursione della materia nella materia. ‘solo’ questo.

questo modo di pensare sarà in tal caso, il deludente inizio. l’immagine è una idea generata da un’ azione della biologia su se stessa: non è il frutto della sensazione dello stimolo visivo di figure allo specchio. non è coscienza di un pensiero a proposito delle sue proprie qualità. d’altra parte, la teoria della nascita (*) suggerisce che la repulsione, che il mondo della creazione divina ha verso l’essere umano, costringe la biologia, nel parto e subito dopo, a tornare immediatamente a sé per fare l’immagine. costretto a scegliere tra il vizio e la virtù, il bambino sogna. non sa essere ateo. fa la sua scelta: la realtà del pensiero. si è soltanto, da subito, eretici. l’ateismo non è consentito agli esseri umani. vorrebbe dire che dio esiste. il bambino, appena nato, decide “tu sei “.

e il sorriso invisibile del primo pensiero gli fa declinare il viso sul cuscino per riposare…

(Caravaggio: nel “Riposo durante la Fuga in Egitto” l’angelo riprende la figura che simboleggia il Vizio nel quadro di Carracci “Ercole al Bivio”. L’antagonismo tra i due pittori provocò probabilmente il Merisi ad una scelta tanto ambigua quanto sfacciatamente vincente sul piano artistico…..)

magari un antagonismo innesca l’azione della biologia dell’immagine…

forse siamo fatti in modo da ribellarci alla ‘naturale apatia’ delle cose del mondo, rimaste posate dov’erano, da sempre. vivere ci costa la vita. ma con insistenza ci ribelliamo alla dissipazione energetica della materia. ci ribelliamo al mondo della natura. noi -differenti da Sisifo- abbiamo in più la leggerezza per saltare la pietra rotolante. muoriamo a malincuore. perché abbiamo il gusto dell’inutile, perché la vita intera andiamo per mano, perché trascorriamo alternando parole e riflessioni solitarie la vita intera. bisognerà verificare che la fisica della biologia cerebrale umana capisce il mondo: ma non ne ha comprensione. bisognerà intanto tessere le lodi della biologia umana piena di grazia. fondare il Trattato delle Tempestività, ponendo l’origine del pensiero alla nascita: come fondazione delle durate. siamo il progetto del giardino delle rose e la gioia della scoperta non è sempre peccato capitale di orgoglio.

e deve essere verificato e sancito una volta per tutte che siamo definitivamente indifesi, non peccatori, quando dichiariamo “sei la vita mia” col piglio di arcangeli annuncianti.

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transfert


Posted By on Feb 1, 2012

transfert

quasi trenta anni fanno il rumore di un mare alle spalle. allora non è neanche la voce che mi è stata regalata per distogliermi dalla solitudine nel campo di stecchi bruni come dicevo che siano i pensieri una volta che diventano parole scritte. allora non è neanche il suono della voce umana che si fonde alla luce nello schermo. è essere anche se dicevano che la dipendenza è un segno di scarsa identità. e invece non è vero perché la dipendenza è anche il coraggio di affrontare la propria storia. quella del primo anno di vita e della fine del primo anno di vita. e per parte mia ci vogliono trenta anni perché l’idea di non restare soli si realizzi. perché qualcuno ha fatto l’elemosina della voce che toglie la morte dell’immobilità che è il silenzio delle parole scritte. ad ascoltare adesso non sembrano neanche più le stesse cose di prima. hanno l’immagine acustica sono labbra che si muovono. il rosa delle labbra che pronunciano le parole. tutta la giovinezza che non c’è più. tutto l’amore che torna. io mi inchino ad una intelligenza che ha realizzato che non era poi così difficile. innamorarsi un’altra volta. senza nessun interesse, senza avere niente in cambio. senza sperare niente. innamorarsi solo per essere migliori. perché le cose tra noi avevano cominciato ad andare appena un poco meglio.

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aldo g. gargani


Posted By on Gen 10, 2012

Sono qui raccolti in un unico volume tre libri di Aldo Giorgio Gargani, scritti tra il 1987 e il 1991 presso il Wissenschaftskolleg di Berlino: “Sguardo e destino”, “L’altra storia”, “Il testo del tempo”. Tale volume, con il nuovo titolo “La seconda nascita”, è stato ideato e progettato dallo stesso Gargani, pochi mesi prima della sua scomparsa, nel corso di diversi colloqui con Flavio Ermini. L’autore propone con questa sua opera un nuovo genere letterario che nasce dalla stretta connessione tra riflessione teorica ed esperienza esistenziale, dando vita così non solo a un nuovo modo di scrivere, ma anche a un nuovo modo di pensare: un modo di pensare che vuole condurre a una seconda nascita; un evento che richiede, come precisa lo stesso autore, un’altra storia, ovvero “la narrazione di ciò che non è stato detto e non è stato fatto, ma che ha aleggiato sospeso sulle nostre parole e sulle nostre azioni, ed è tutta la storia che ci fa trepidare”. Questo nuovo modo di pensare agisce nell’estrema vicinanza con ciò che maggiormente è sconosciuto: la nostra realtà, e indica che il destino degli uomini sopravviene da un tempo lontano, come lo sguardo non intenzionato dell’infanzia che da lontano si fa continuamente presente nei nostri gesti, nei nostri discorsi. “La seconda nascita” muove un passo là dove le procedure linguistiche conosciute appaiono sempre più inadeguate a illuminare il destino degli uomini.

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e i nostri fiori tardi sono rari e splendidi

Ora, a Virginia Woolf né la psicologia, né la personalità interessano più. Vuole piuttosto l’impersonalità della poesia, e con essa l’astratta potenza di una lingua che racconti di tutti e di ciascuno, e canti ciò che è comune e non personale. Per questo le serve una differente postura. Non prenderà quella del narratore onnisciente  – mediatore tra narrazione e lettore di natura intellettuale, legata a quanto di più il narratore e il lettore sanno rispetto al personaggio, visto da fuori e da dentro, da dritto e da rovescio. Sarà piuttosto, per dirla con la geniale definizione di J.W.Graham, un narratore “onnipercipiente”; ovvero, mirerà a una percezione e non ad una comprensione, dell’esperienza interiore dei personaggi, mescolata con ciò che essi non percepiscono, e cioè lo sfondo: il mare, il cielo, la natura. E così educherà il lettore a trovare anch’egli una differente postura, infinitamente scomoda, più complicata. ” ( Nadia Fusini -prefazione a ‘Le onde’ Virginia Woolf  ed. Einaudi. – pagg. IX-X )

 

Per il lavoro della interpretazione la differenziazione tra percezione e comprensione è affascinante. Si capisce che una ‘scelta’ definitiva non si deve – poiché non si può – fare.  A fine di anno pero si può concedersi una breve esposizione personale al libero pensiero che la percezione –forse- porta alla poesia, alla impersonalità che –forse- è ‘qualità’ di un certo modo di scrivere. Il pensiero è che con essa impersonalità si pretende di manifestare -più che raccontare-  un altro tipo di ‘impersonalità’. cioè quella incertezza indeterminatezza e difficoltà dell’espressione e della resa di ogni inizio (nascita). Nel dire impersonale c’è la soluzione di quella figura ‘clinica‘ ma di fatto retorica del paziente dello psicologo che fu individuato come un “trottolino superbo e furbetto che sa parlare e dire ma non vive” (*).

Nella rinuncia alla vita nella sua forma non simbolica sta il nuovo soggetto che non si raffigura e invece si incarna. Ma poi è comunque un anti – Cristo indispensabile alla scrittura di vicende non esemplari. E’ ideale nella trascrizione geroglifica della ricerca umana in cui l’espediente irrinunciabile è che la morte non succeda e che invece alla vicenda accadano una serie  di interruzioni. Una serie di paragrafi nella cui conclusione riproposta senza fine tutto si rimanda. Sapendo che in questo senso l’interruzione, la sospensione e la vacanza sono l’unica reale possibilità di capire il linguaggio. Intendo con ‘linguaggio’ il soggetto. Tutto il parlate della letteratura e poi della filosofia è stanchezza al cospetto. La scienza promette una poltrona nelle apparenze di seggiole rigide con schienali ergonomici: la poltrona delle acquisizioni progressive.

La letteratura non sembra avere di queste oasi, e proprio nel riposo e nella riduzione della tensione vive l’esplosione del silenzio che scompagina ancora tutto di nuovo. Ci siamo spesso trovati in prima linea contro il conformismo, e adesso di esso si scorgono moltissime facce e apparenze. Si tratta di fantasmi ben costruiti che rendono la dimora anche confortante. Così che la lotta non si fermerà mai. Il luogo comune ai fantasmi ed a noi è la sospensione, l’intervallo, l’interruzione e il rimando. Insomma la fine riproposta in punti successivi più o meno inattesi secondo una serie di distanziamenti o assenze.

E’ noto a chi si occupa di relazioni interumane, che i punti di riferimento per l’emergenza dell’immagine per l’individuazione delle differenti forme dei rapporti sono scanditi da ogni proposta di certe separazioni rituali. Questo il dato. Dopo anni di letture e relazioni non incoerenti in sé e tra loro so che nella interruzione -che pare distrarre e infrangere la scultorea composizione dei legami e degli intrecci tra le persone- c’è più di ogni altra cosa comunanza e comprensione. E’ un attimo, senza dubbio. Ma appunto indubitabilmente è una comunanza e dunque una comunità che si determina in quell’attimo. La comunità è -in questa ottica- comunanza di un tempo di generazione.

La rapidità cui quel gesto di natura temporale si consegna e ci consegna rende impossibile una presa d’atto cosciente. Quel momento può essere dunque percepito ma non compreso. La coscienza è relativamente troppo lenta per la fulminea costruzione della struttura complessa dell’evento che comincia nella divergenza. La irriducibilità dell’evento di comunità fonda la vita sociale e forse -si può estrapolare- anche quello sforzo rappresentativo della incomprimibilità del tempo chiamato poesia.

E’ sorprendente ipotizzare che la capacita contrattuale della specie possa essersi generata -ed esser poi rimasta ancorata- all’insorgere degli eventi di distacco. Che solo per gli esseri umani fondano -insieme all’equivoco del fantasma– anche la certezza non cosciente della vicinanza e della conoscenza. E’ evidente in questo versante che noi abbiamo letterature fantastiche lucidamente narrative e descrittive di inconcludenti e aleatorie presenze. Ma possiamo fornire soltanto allusioni e indeterminate presenze e ‘finzioni(**) per quanto c’è di più radicato in noi come sentimento del soggetto.

L’atto cosciente della fantasy è fantasticheria che altera la possibilità di una realtà di rapporto sociale.  La ricerca di espressioni e parole esatte per dire di sé, che resta sempre sospesa e rimandata all’infinito, è invece a fondamento di un vivere sociale scontento e propositivo. Bisognerà avere qualcosa da sostituire all’impersonale, poiché la sua insistenza porta il pericolo della depressione in quanto lascia credere alla inverosimiglianza di una realtà misticheggiante. Bisogna porre -all’inizio- “l’imponderabile e soggettivo della vicenda interumana“(***): porlo come nascita del soggetto (del pensiero) alla nascita.

Le onde della Woolf consentono -almeno letteralmente- la libera associazione con il mare che conclude la poesia su ‘L’infinito’ di Leooardi. La scelta del soggetto onnipercipiente -portata fuori della poesia e della scelta letteraria- cerca modi e forme dell’identità e delle sue falsificazioni fornendo ampi motivi di rischio all’attore di essa scelta. Resta comunque affascinante l’idea che si possa stabilire una relazione nella quale la comprensione verrà esclusa: non per scelta ma a causa della pigra natura della coscienza sopravanzata dalla percezione.

La critica letteraria ‘alta’ suggerisce peraltro un certo risarcimento di questa sciagurata prevalenza: ché l’evento consente l’accesso ad una potenza astratta della lingua che racconti di tutti e di ciascuno. Realizzando l’ideale di portare la ‘scienza’ alla ‘poesia’ e la conoscenza scientifica alla indagine psicologica. Il programma di ricerca è grande. L’anno che arriva non basterà.

note: (*) Massimo Fagioli ‘Istinto di Morte e Conoscenza” – nell’ultimo paragrafo: “Il dare un soggetto ai propri pensieri senza vita

(**) «Sempre caro mi fu quest’ermo colle,/e questa siepe, che da tanta parte/dell’ultimo orizzonte il guardo esclude./Ma sedendo e mirando, interminati/spazi di là da quella, e sovrumani/silenzi, e profondissima quïete/io nel pensier mi fingo, ove per poco/il cor non si spaura. E come il vento/odo stormir tra queste piante, io quello/infinito silenzio a questa voce/vo comparando: e mi sovvien l’eterno,/e le morte stagioni, e la presente/e viva, e il suon di lei. Così tra questa/immensità s’annega il pensier mio:/e il naufragar m’è dolce in questo mare»(Giacomo Leopardi)

          (***)Il problema della fedeltà a quanto è realmente accaduto nella vicenda analitica e a quali siano state le esatte espressioni verbali, si lega a quello della comunicazione della verità del rapporto interumano stesso. Essa verità è tale quando vengano considerati non soltanto i dati obiettivi della realtà sensibile, ma anche l’imponderabile e il soggettivo della vicenda interumana stessa. E’ ovvio che la possibilità di comunicare ciò si può avere soltanto quando l’evento viene recepito, ‘dimenticato’ e ricreato dalla memoria-fantasia dell’autore.Possiamo affermare la verità di questa ri-creazione se teniamo presente che il modo di essere dell’analizzando, che è l’evento da riferire, è tale nella sua realtà dinamica in quanto è in rapporto con l’analista e che l’evento dinamico stesso non è concettualizzabile come realtà a sé avulsa da un rapporto oggettuale. La relazione dell’evento vero, pertanto, può essere fatta con fedeltà solo nella partecipazione psichica di uno dei due partners che, nel momento in cui memorizza l’avvenimento, rende l’altro partner e il rapporto duale ‘fantasia-ricordo’ della propria osservazione. (Roma, dicembre 1970) ” Massimo Fagioli ‘Istinto di Morte e Conoscenza”  Premessa alla Prima Edizione”

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