antropologia


image

“AMORI FUORI CAMPO”

I giorni in cui siamo privati di noi dall’amore e dal sole sono quelli in cui meno ci apparteniamo. Quando il cuore appiattito sulla modesta curvatura della spiaggia sfiora i granelli della giornata e dimentica e dimenticando esce via dalla clessidra. L’allegria di poco conto è la polvere di vaniglia sui dolcetti al cacao: divento empirico costruisco vulcani di sabbia scavo e scavo miniere con la mano buona appoggiandomi col viso a terra per arrivare profondo. Perdo la libertà dei turbamenti che mi farebbero vibrare. Il benessere dell’acqua del mare fa come fare l’amore finché alla fine il pensiero si diffonde sulla pelle e divento gratitudine accaldata senza sogni se non forse restare vicino alle onde interamente indifeso e coraggioso. I grandi pensatori quando costruiscono treni di legno ai figli. Vivo una cronaca immaginaria durante la ripresa del giorno successivo. Posso avere molti lunedì, se organizzo di rendere schiavi della ricerca i vicini, e così tornare tutte le volte sull’isola di partenza secondo la sceneggiatura ciclica. La vaniglia sui pasticcini di cioccolata e noci tritate sa di eroismo e pratica. Di servizio militare e accademia dei dissidenti. Così la gioia toglie le sfumature e Picasso fa la guerra al rinascimento con gli spigoli netti come lame. Travolto, dopo la potenza esercitata dalla radiazione luminosa, non so e non mi importa di distinguere le responsabilità differenti tra le risate e il sole. Ricordo soltanto che poi, tornando, ho sperimentato ancora come si potrebbe fare a impedire senza offendere. In quanti modi buffi si può pronunciare “No” per non ferire. La presa del potere ha moltissime sceneggiature. Tutti dicono che è poco comprensibile come si possa conciliare metodi e libertà. Sturar Mill affermava che il potere è implicita violenza. Quasi anarchico. La gravità di Newton impera persino adesso la vita a misura delle nostre costruzioni, ma ci sono dei dubbi che il pulviscolo emotivo, che avvolge le descrizioni del sole di ieri, invece non ne sia del tutto svincolato. A partire dalla necessità di dire ad un bambino di due anni ciò che in un certo momento non vogliamo che faccia, rifiutando un facile consenso, si fonde il suono della voce sicura con un sorriso dai contorni seducenti. La linea e l’ombra del non finito fanno pensare a quanto si deve studiare se non si vuol diventare improvvisamente incapaci, proprio nei momenti d’amore nei quali si gioca il nostro e l’altrui futuro.

Read More

garantire la diseguaglianza


Posted By on Feb 24, 2014

image

“FERMARE IL TEMPO”
copyright: claudiobadii

Aver voluto essere fin troppo presente. Uno per tutti può bastare nel pantheon. Non un esempio. Proprio uno in carne ed ossa: chirurgo, muratore, contrabbandiere, frontaliero, operaio, disegnatore, danzatrice, rivoluzionario, oggetto di pensiero creativo, personaggio di un sogno. Fermare il tempo e il mondo in un’occasione e una figura d’insieme. La democrazia non resta ferma, nel pensare continuo caratteristico della vita mentale che ha origine materiale. La socialità avrà dunque il compito, non di tenere tutto sospeso in attesa delle nostre passeggiate in piazze e strade, ma l’altro compito di garantire la ‘diseguaglianza’ che tiene vivo il desiderio.

Quando la mia casa è invasa da troppe persone che fanno ognuna cosa diverse che non condivido, mi ritraggo in una stanza. A cercare qualcosa che mi calmi e mi tolga l’incomprensione. Mi consolava stanotte la visione televisiva di una scultura di marmo bianco di Picasso. Ampia pesante ‘calda’. Sempre un’operazione ‘plurale’ alla conclusione dei suoi manufatti. I giganti che disegnava accorenti lungo cieli di spiagge sono essi stessi mastodontiche baleniere piene di ambra grigia a esprimere il profumo della originale biologia che ‘fa’ il genere ‘umano’. Le sue statue che ricordo bianche o colorate mi fanno pensare per contrasto ad un arte differente dall’arte che lui ha “còlto’ che ha ‘visto’ lui solo. Quella non sua è arte degli altri, l’arte magra. Quella che ha lasciato come unica possibilità. Lui, all’opposto era febbrile, florido e fertile ma cercava…  che cosa? Fino alla fine -ogni giorno- non ha mai smesso di cercare e teneva lontani tutti. Da ultimo anche i figli. Era solido d’anima e perseguiva -perseguitandola in verità- l’arte: come a quei tempi forse si pensava di dover fare con una femmina. E mi pare proprio, a vedere quelle statue e quei giganti lungo le spiagge celesti, che l’arte fu colpita e che è rimasta offesa nella ‘volontà’ e che dopo di lui abbiamo avuto una generazione di opere in anoressia. L’arte era vinta -forse- più che innamorata, e si arrendeva sotto le montagne di marmo caldo torrido dei disegni dei quadri delle sculture, delle litografie. Quel poco che si ha di lui che lavora mostra che non aveva esitazioni e non sbagliava niente. Unico guidato dal sentimento e mai dal pentimento. Gli occhi di neonato tutta la vita se li è conservati con il lavoro quotidiano. Il ritardo della riflessione esclude il genio. Per divertimento scrivo il suo diario, come un analizzando potrebbe scrivere fogli del giornale di bordo del proprio medico. Gli analizzandi analizzano il contro transfert. A garanzia. Picasso disegna cose impresentabili, trova forme che non c’erano state mai. Scrive:

“Ogni tanto chiedo l’elemosina e non sono i momenti peggiori. Del resto, del tempo senza pietà non vale la pena di accennare. Del lavoro quotidiano sono convinto che è una cura definitiva. Se anche soltanto adesso posso dirlo è da molto tempo prima di oggi che pratico l’esercizio. Nel tempo ne ho viste e chiamo ‘pietà’ la rarità dei momenti quando questo ‘lavorare sempre’ suscita una convinta comprensione, e chiamo ‘elemosina’ il lavoro solitario senza risposta. Non so come sia che nonostante non possa parlare di un successo che mi abbia davvero soddisfatto, che non c’è stato mai, in animo non conservo il sentimento di aver ricevuto né elemosina né pietà. Tutto quello che penso, di fronte alle mie statue di giganti e di uccelli e di marziani e gufi e tori e colombi…. è che ho sviluppato, nonostante tutto, fantasia e conoscenza.”

Già, ecco gli scherzi della solitudine. Mi serve di illudermi di conoscere i pensieri di chi va via dalla stanza illuminata ma non so far altro che disegnare le loro ombre. Si dice che l’artificio di circoscrivere il niente, per non dimenticare chi andava lontano, sia stato alla base della navigazione e dell’attesa. Il contro transfert si piena di colori forti e decisi.

Read More

image

Lasciati gli alberi, dunque. Per dove, poi…? Pianura, spine, serpenti. Dalle mele e i datteri e i bruchi e le uova dei falchi a: non saprei. Non gli si è neanche dato un nome a quello che dovremo mangiare che cresce e corre. Dobbiamo imparare a fermarli questi corridori (armati quasi tutti). A distinguere lo zucchero dal veleno secondo le sfumature di colore delle bucce. Un mondo anonimo. Incomprensibile. Siamo qui a causa o grazie ad un sogno. Le cime alte al vento. La mia amica dice cambiamenti. Tempesta. Andiamo via. Lei è sensibile ai racconti. Anzi: parole è come li chiama. Parole! Dice, e io racconto. Ognuna è una cosa a se, per lei. Dunque il vento sulle cime. Non proprio cime. Chiome. Mi corregge. Ma correggendo l’errore, semmai lei interpreta. Perché cambia il senso della cosa. La sua grande e forse unica qualità è l’iniziativa di legare, a quello che dico, termini che prende dal suo mondo: che non è uguale al mio anche se è, in qualche modo, affiliato al mio mondo. Non è identico però le cose ci sono tutte le stesse. Sono le stesse ma stanno insieme in un altro modo. E così Il nome di una cosa presa dal suo mondo messa tra le parole che popolano i miei racconti accorda il discorso su una realtà differente. L’introduzione di un termine fa risuonare tutte le parole del mio racconto in maniera differente. Più chiara, in genere, ma non sempre a dire il vero. È successo anche che lei dicesse una certa parola e tutto era affondato nell’oscurità. In quei casi mi prende l’angoscia senza che possa impedirlo.
Dunque (lei ora): era il vento sopra gli alberi no? Si. E allora, siccome non sono aguzzi, siccome sono come fiori giganti, devi dire chiome che è la ‘verità’ (sorride). Il vento anche forte non fa oscillare le chiome distese parallele al cielo (spiega). E dunque (conclude) però vuol dire che, se lo senti fin lassù, il vento dovrà aver avuto una spinta grossa. Tempesta ti dico. Andiamo. (Inevitabile, a sentirla)
E eccoci a terra. Le anche dolgono. Arboricoli, ci viene da stare chinati per millenni di abitudine acquisita perché sui rami è naturale lasciarsi cadere da uno all’altro. A terra non è più così. Le anche come le abbiamo noi non sono adatte. Sediamo. Poi? Poi cosa…Cosa hai sognato dopo il vento… (Chiede). Oh, non ricordo. Allora è ancora peggio. (Sospira. Chiama la pazienza a rinforzo della mia ottusità). Perché. Perché è un pensiero sconosciuto che ti ha preso. Che devo aspettarmi non lo so (geme). Scricchiola con la voce, facendo il rumore che facevano i rami fino a ieri, quando erano distesi e stirati dal peso della nostra specie anfibia di aria e foglie ma che per grave inclinazione pende verso il terreno come fichi e prugne mature. E di fatto ci mancheranno soprattutto quei suoni del legno curvato fino a schiantarsi…quasi. Gli alberi per milioni di anni ci hanno soppesati ad ogni spostamento. Siamo stati in via d’essere lasciati precipitare da sempre.
Mentre penso così nostalgico lei ride spensierata. Ha una natura che io non capirò mai. Viene con me sembrerebbe però d’altro canto nello stesso momento e al contrario mi trascina con sé via dal bosco. Siamo per diventare ominidi adesso. L’abbandono degli alberi è causato dalla sensibilità alle parole di una femmina. Io non l’avrei fatto accadere. Certe cose proprio non le so misurare. Lei si.

Andiamo. Dico. Come se poi l’ultima parola lei la regalasse a me. Credo che sia affezionata alla mia voce. Per quanto sia lei che scopre quello che è consigliabile fare, lascia che sia io a esclamare la conclusione, a dire i comandi che ha suggerito lei. Chissà le piace sentire l’eco del mio pensiero uscirmi dalla bocca. Chissà ama non aver l’aria di prepotenza. Ama l’obbedienza di chi l’ama tanto da godere la gioia del consenso sempre. Io sono eletto nella notte il re delle schiere millenarie che percorrono le vie aeree di obbedienza. Io obbedisco con l’intelligenza dei rami sotto il peso delle sue scoperte e la mia voce che lascio muta, ferma, è la tromba dell’esercito. Io la seguo e in cuore ho la cavalleria del suono. Io sono lei che diventa suono interpretando e la seguo avanzando. E i passi invece è lei che diventa suono di una che segue e mi insegue costringendomi a capire. Sempre. Noi siamo quelli che dovranno decidersi a scoprire i segreti del pensiero che tace e parla non sapendo che dire dell’imbarazzo d’essere razza umana. Da oggi dunque inauguriamo il viaggio verso lo sviluppo dei caratteri anatomici adatti alla vita sul terreno. Ominidi. Cambieremo le abitudini.
Lassù la massa del corpo aveva un peso sempre differente. Le parole erano quasi inutili sull’altalena sotto il cielo. Erano gli scricchiolii a rendere pubbliche le decisioni. Ogni decisione un ramo. Qui a terra invece è noioso dato che il peso è costante, non varia. L’invarianza dei pesi è faticosa come il silenzio tra gli amanti. Temo che il silenzio, qua, diventerà doloroso. Anche se ora il dolore è fisicamente localizzato alle anche per reali problemi di anatomia. Forse qui serviranno ulteriori parole per alleggerire la fatica.
Andiamo. Lei si è di fatto già avviata. Io come al solito ho parlato al vento alle mie spalle. Là davanti si volta. Ride. Amichevole. Andiamo. (Ripete). Mima il tono maschile. Andiamo. Mi affretto. Intanto guardo in alto. La tempesta sugli alberi non potrà più farci nulla. Ci siamo legati alla terra. Della foresta potrò sempre venire a respirare il profumo. Da solo. Come dovessi tenermi questa piccola libertà di nulla. Muschio e ghiande cadute da quello che è stato il mio regno.

Read More

quiete, tempo, materia….


Posted By on Gen 20, 2014

La quiete è evidente nella disposizione delle cose nella stanza. Si vedono specchiate le nuove forme dell’anatomia cerebrale corrispondenti ai convincimenti le scoperte le capacità acquisite negli anni. Tutto questo, còlto come ordine delle cose nello spazio, si è realizzato con finalità differenti dal volersi manifestare. È dunque accaduto inconsapevolmente. La trasformazione anatomica delle disposizioni sinaptiche si coglie come senso del cambiamento senza una figura precisa.

L’anatomia, che si volge qua è là (anemone di mare), suscita la poesia, l’intuizione, l’idea di rivolta, il rifiuto e infine le aspirazioni ad ‘altro’ e ‘di più’. Accade e poi spinge. Un attimo prima d’essere accaduta, come esperienza di attività mentale senza coscienza di pensiero, pare che soffi ed evochi e mostri le prove indirette di un versante bruno, come è l’aria attorno al tavolo che tiene il foglio da disegno. Un’aria non colpevole.

Il non cosciente è tutta la biologia che sostiene la vita psichica ed è intempestivita dell’accadere con la sua comprensione. L’origine materiale della vita mentale fa il pensiero che sa di fare altro pensiero, mentre …. pensa. Così non abbiamo mai la sensazione di essere abbastanza veloci in relazione alla naturale molteplicità delle nostre infinite alternative. Esse ci forniscono il sentimento impressionista e la poetica dell’indicibile.

La biologica è una attività indifferenziata. Il sublime sono le storie possibili escluse ma in attesa di noi domani o dopo. I fenomeni subatomici di origine sono dispersi sulla terra come sabbia nei deserti. Scivolano via e si ricompongono ad ogni movimento delle tribù nomadi.

Il vuoto argenteo tra donna e uomo calpestato e accarezzato è la sabbia. Non ci si affranca dall’inestricabile legame con la realtà fisica. Ho disegnato un nido di cellule grigie, la sostanza dove i fenomeni di ideazione che presiedono al disegno hanno origine e riparo. La danza dei due è un continuum di potenza, e per questo ho fatto i corpi solidi.

Il bianco e il nero senza volume sono aree funzionali e il bianco definisce e accoglie il nero e allora il nero si muove balla e ….. chissà cosa vorrà fare. Penso che voglia dire “ti amo” che è una cosa fisica non una promessa, una cosa che fa parte dei comportamenti fondanti le relazioni. Dunque il disegno è anche per dire che è finalmente il momento che cominciamo a fornire gli uni agli altri tutto quanto è necessario.

Il bianco lattescente è colore che tiene le figure. Come nelle opere allegoriche medievali (pre-rinascimentale) si cercava di svelare le qualità della natura divina con rimandi, qui è la natura umana che cerco. Non sono dentro l’umanesimo ma nella scienza dell’uomo. Disegno un AMOR VIVO.

Ho la sensazione di abitare sulla terrazza lungo la strada nella roccia che porta alla cima delle montagne, ed è talvolta quasi impossibile. Quelle volte ho bisogno di tempo e vengo a chiederlo a te ed esso sta annidato dorato di sole nei tuoi sguardi. Allora dico “ho bisogno di te e senza te non riesco a vivere”. Mi sembra che amare sia una realtà “fisica”. Un discorso di scienza che soltanto ha l’apparenza d’amore.

La ‘ricerca’ deve rassegnarsi. L’amore è aleatorio e fisico e ‘probabile’. Ma nonostante tale precarietà nessuno ce la fa senza una relazione con l’altro. Fossimo spirito sarebbe facile. Ma siamo legati, ‘decisi’ da una biologia senza determinismo. Disegno uomo e donna dando risalto alle mani e ai piedi e anche ai genitali esterni. Più che risalto è non trascuratezza. Sono legato mani e piedi all’oggetto del mio interesse.

 

Read More