caffeina


il tradimento con una donna bellissima

La Duna de Pyla. Dipartimento della Gironda. Francia. Uno deve pur avere un illusorio punto di riferimento. Pur sapendo che è illusorio. Sapere della illusorietà del proprio punto di riferimento non è relativismo. È semmai aggancio all’unico altro punto originario di qualsiasi pensiero: il sospetto fondato dell’esistenza di un ‘altro’. Il discorso d’amore è il più apprezzato e desiderato sempre. Perché il discorso d’amore è una duna bianca tra foresta e mare: un sospetto fondato infinito e concreto. Prossimo e straziante. Il senso drammatico, della questione etica della conoscenza, è quanto l’altro incida nei nostri pensieri. Quanto possa, o gli sia consentito, o gli debba essere riservato di diritto, di essere un intruso amato. Quanto siamo in grado fino in fondo di lasciarci prendere dal discorso morale così inteso. Psicoterapia di gruppo e rapporto privato. Coscienza di appartenenza, delega irresponsabile all’arte delle nuvole, alla  rigida morfologia della fiaba implicita nella narrazione pubblica collettiva. Ma anche identità esclusiva del soggetto che ricorda e dimentica alternativamente la propria origine e collocazione sociale. Il proprio tornaconto e la svantaggiosa dolcezza delle intese  sono le braccia di un dilemma che ti cullano.

Una folla che dicesse la stessa frase non fa alcuna conoscenza. Forse un annuncio a proposito di quanto succede. Poi ci vorranno gli anni per verificare la competenza. Se il discorso amoroso è anche un discorso sull’amore non è chiaro. Non è chiaro quanto l’azione dell’affetto, che ci fa parlare, ci permetta anche di esprimere qualcosa che non è solo personale. Il discorso sull’interpretazione si era arrestato sulla duna della certezza: sapere che il ricordo che diventa sorriso è la traccia mnesica che potrebbe somigliare alla vitalità della nascita. Un modo della frase di riconoscenza intesa come capacità di ricreare una condizione precedente. Che diventa effetto somatico piuttosto che consapevolezza di una storia. Il sorriso come conseguenza mimica riassuntiva di una immagine che è immediatamente movimento e idea. Ma anche mutismo e silenzio. E diventa i propri passi incalzanti verso un angolo del tavolo, nel punto esatto in cui si erano appoggiate le palme delicate di lei, anni fa, mentre ci guardava disposta a ‘tutto’ quanto fosse stato necessario. Per noi.

Per interpretare bene non devo dire colate di cemento che sprofondino nel cuore della rena, ma innalzare una duna sopra tutto. Negli anni a partire da una scoperta(*) si erige o si scava. Vorrei che si fosse potuto erigere, seppure seguendo il miracolo della natura fredda e opaca. Erigere senza arroganza. “Se ti amo non devi fare altro. Non è una richiesta quando dico di amarti, è una resa. Riposati“. Ora che tutto si dipana e il gelato cola sulle mani senza che io mi preoccupi più di un ordine, adesso, per questo modo del tempo di colare dalle labbra sulle mani e anche a terra alla punta delle scarpe pulite, adesso non c’è più la preoccupazione. Semmai la ricerca vera senza alcun punto di riferimento esterno. C’è solo scrivere ogni tanto. Provare a rileggere appena, giusto per serrare le suture con l’asepsi di una minima punteggiatura. Le ferite brevi. Le incisioni decise. Il chiaro. Il nero. Il buio caldo delle palme delle mani sul ventre perché è forte la vicinanza e non c’è aria tra i lembi della pelle tua e mia. Il pensiero che non fa altro che derivare e determinare.

Ma ecco. Non era la Duna de Pyla. Non era il Dipartimento delle Gironda. Non era soltanto questo enorme volume di sabbia chiara. Non era soltanto la massa bionda dei capelli di una sirena che dorme lasciando che noi possiamo giocare lassù. Erano sempre pensieri. Sono sempre pensieri la realtà delle persone. Difficilissimo perché per capire bisogna trovare la dignità del tragico. Il senso del dramma. Bisogna opporsi alla stupidità. Invocare quei pochissimi rapporti in cui non ci sia da parte degli altri un tornaconto personale. Non ci sia la ‘resistenza’ potremmo dire. Bisogna dichiarare la morte naturale del padre. Che non è stato ucciso. Soltanto è che alla fine non ce l’ha più fatta a restare vivo in noi. Che ci siamo trovati a disposizione un linguaggio che non era più l’eco di comandamenti e consigli.

La scoperta che diceva ‘prima fare l’amore con la madre poi uccidere il padre’ rende in verità inutile l’omicidio. Ora bisogna che dica che senza la genialità affettuosa di un grande scrittore non avrei saputo comprendere la proposta difficile e poco articolata all’inizio, di una scoperta. Il tragico e il dramma che per amare una cosa vera bisognava passare dall’amore per una cosa solamente bella. Bellissima. Bisogna anche dire che ero andato a cercarmelo il tradimento con la bellezza. Che ho fatto benissimo. Che era con questo il tradimento.

‘Pensare come destino’ – Aldo Giorgio Gargani – da “Filosofia ’87” a cura di G. Vattimo – Laterza Edizioni.

“Noi non pensiamo il vero, se questo volesse significare che pensiamo qualcosa di incontrovertibile e eterno, ma la circostanza che non pensiamo il vero, non significa che noi non possiamo pensare veramente.”

“In un certo punto temporale della vita, un uomo si accorge che egli è il modo in cui è stato guardato dai suoi genitori e che porta su di sé, come se fossero iscrizioni incise sulla sua persona, gli sguardi del padre e della madre. È nel punto temporale di questa scoperta, che si compie l’esplosione della sua esistenza e ora egli getterà in modo vertiginoso sul tappeto tutti i suoi problemi. I problemi c’erano anche prima, ma non erano ancora ragioni che si potessero denunciare o rappresentare, perché essi erano piuttosto cause oscure del suo comportamento come se egli portasse iscritta sulla propria schiena una frase che naturalmente egli non sa leggere. E poi, ad un certo punto temporale della sua vita, egli scopre che i tratti della sua persona sono il modo in cui egli è stato guardato dai suoi genitori: è come se per la prima volta riuscisse a leggere la frase che era scritta sulla sua schiena; si è come dovuto rivoltare su se stesso per leggerla; e ora diremo che ha compiuto un’autentica acrobazia e che può cominciare a leggere e a interpretare sotto la luce che non si è accesa istantaneamente, e che è piuttosto l’illuminarsi dello sguardo dell’infanzia dalla quale proviene. Egli riesce a vedere perché da quella luce lontana si riverbera sul suo volto lo sguardo da cui è stato guardato. E’ da questo punto temporale che si dischiude la passione del pensare, e precisamente quell’energia passionale del pensiero nel quale la ragione non sta da sola e la passione non sta da sola; piuttosto la passione è originata dalla riflessione che a sua volta è motivata dalla passione, e ancora così, lungo una spirale senza fine.”

note: (*) il solito 1972, il solito “Istinto di Morte e Conoscenza” , sempre M. Fagioli…. e si veda tutto quanto precede il seguente articolo.

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il nostro segreto amore tutto in lei racchiusa

Arte della cartografia. Devo disegnare una specifica discontinuità. Un salto sopra un burrone o più esattamente una meraviglia di fronte. Non c’è più il tempo di stupirsi e diventa immediatamente amore o rifiuto. È stata una perdita definitiva di stati psicologici di compunta euforia e il manierato entusiasmo -ahimè- è in fondo al mare in pezzi. La cartografia oceanica, delle aree disabitate, dei deserti, i piani senza differenze altimetriche, il giallo arancio dei mondi regionali di nessuno, il disegno bruno della crosta pura senza vegetazione, poi il color nero dei burroni dove la precipitazione è fame e sete e si muore di noia con il corpo che si secca e si consuma fino al regalo di forme dei fili d’erba o alla consunzione essenziale delle zampe di un trampoliere. Sono questi risultati che bisogna ottenere nella ricerca sulla forma sicura del pensiero: stare su colorati di piume rosa a far niente a creare ogni momento l’ascetica realizzazione di parole ben asciugate.

Per intromettermi nel tuo stomaco, al cuore del tuo sistema, nella tua stanza di combustione… per sperimentare dell’amore il lato scientifico, che ha la certezza del latente perché l’amore è anche intrusivo, penetrante, sovversivo, strafottente e superbo in maniera addirittura umiliante quando è tanto. Una volta sola rivolgermi alla strega: poi da ragazzina a donna lascerò stare, mi farò pungere, ferire, senza la rabbia: starò in attesa, distratta, sul ponte sospeso alle liane appiccicate alle foglie appese al ramo che si staglia controluce e non si vede mai l’asola di una sicurezza… ma adesso nella caldaia! al fondo del pozzo scuro degli occhi cattivi delle streghe! al cuore del sistema per sabotare l’anima nera dei sabotatori! … poi da ragazzina a donna ridere di cuore per ritrovare il cuore…” così Cappuccetto Rosso alla nonna famelica (che non è affatto un lupo, tutti lo sanno i lupi sono animali fedeli e buoni, diversamente dalle vecchie streghe asociali.)

Il mare sulla carta è apparentemente almeno una pausa. Di qua e di là improvvise coste danno luogo alla necessità assoluta del discorso. È subito un guerreggiare, scambiare frutti acqua spari colpi di lancia tiri promesse indecenze, certezza di stragi, dominio sottomissione attese secolari, evangelizzazioni croci fucili chiacchiere, fratture, medicine false, guarigioni miracolose. Fino a che l’ansia del silenzio porta la scientificità della pretesa di una mai conosciuta decenza. La trasformazione che avviene sul ponte sospeso, in cui non c’é tempo per lo stupore, è sbarco della tanto nominata grazia, amore a prima vista… e conoscenza. Azione non istintiva l’amore del sabotatore rischia le mani negli ingranaggi e fa uso di tutto quanto egli ha.

Aaah! fossi in grado di porre fine ai tempi delle attese della miccia che non finisce mai di bruciare al culo del fucile… abbiamo una scienza imperfetta signor Generale, signorsì: e sparare somiglia ancora troppo ad un gesto di innamorati, alla militanza dei soldati appostati per fare l’imboscata alle candele dei campanili e alle casematte del nemico. Abbiamo orologi imprecisi e sperperiamo il tempo della guardia a lei che arriva: arriva lei, il suo pensiero è un ovale dentro il quale scorre il movimento: ha gli occhi sui propri passi, ha lo sguardo legato -all’altra estremità- alla punta delle sue scarpe: uno, due, uno, due marcia senza i tamburi, senza niente: tutta in lei racchiusa. Noi soldati di un reggimento di cose esclusive, per non perdere la testa, cominciamo a pensare forme geometriche di solidi…”  così l’archibugiere. Poi la scintilla raggiunge la polvere, l’esplosione dentro lo spazio angusto della canna fa lo sparo, una nuvola bianca allo zolfo che entra fino alla radice del naso nella testa. Il soldato scompare nella nuvola di fumo, scompare  e nessuno più lo vedrà. E’ una scomparsa che non genera crucci. Una magia di guerre di altri tempi.

Il fumo di uno sparo dentro cui vivere con passione è la realtà umana dei fucilieri e nostra. Mia soltanto? Ogni tanto qualcuno finisce dentro le conseguenze del proprio incantesimo. La palla infuocata diretta al cuore arresta insieme una vita e la spinta omicida. Cupido fa innamorare, e si confonde anche lui, ansimando di passione subito con la vittima.

Ti amo perché mi mancherebbe la certezza di sapere questo adorato sentimento asciutto che tutto al suo interno concede e soltanto li. Non avrei avuto, altrimenti, che l’orientamento delle preferenze legate ai gradi diversi del piacere. Dentro le nuvole degli spari adoriamo ciascuno il nostro segreto amore -tutto in lei racchiusa- tanto che nessuno vede. L’ago magnetico indica un unico luogo vibrando: egli è infatti intollerante agli spostamenti, ai passi, alle derive dunque protesta scuotendosi tutto ed ha degli attacchi veri e propri, manifesta la sua passione rigorosa e intransigente in forma clinica di una attrazione mancata sulla curva invisibile del campo magnetico. Ho maturato la qualità di oscillazioni mirabili senza incertezze. Un accordo unico e avversioni graduali tutto intorno” Così l’innamorato, il medico, il cartografo, l’archibugiere, il timoniere della nave a vela.

Che mondo!

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una cicala come se ne possono vedere a migliaia

le cicale sull’albero dell’amore teso verso il cielo australe

Un amore interdisciplinare per realizzare la difesa delle cose che stanno crescendo. Faticare per lavare le arterie, anche sotto il sole. E non importa se si tratta di ruotare su circuiti di somari alla ruota dei mulini.  Faccio la farina a mio modo, ad esercitarmi, a offrirmi certi modi quasi automatici di studio e avrò o dovrei avere – penso – in cambio, le pietre magiche, i sassi sferici lievemente irregolari, le ambre grigie in anfore panciute nelle mie mani: da accostare alla fronte, alla stufa per scaldare la materia fossile e poi portarli – pesanti come fardelli di certe colpe d’amore invernale – al camino, al tappeto, alla poltrona e finalmente alle labbra.

Dovrei avere in cambio, dalle mani di certe passioni, il materiale traslucido del grasso di foca: la cui profumata pungente consistenza si realizzò nell’ascolto della sonorità delle chitarre degli ‘America’ (*). Per altro posso dire che certi giorni io ho ritrovato il cuore medesimo al suono della tua voce, le volte che mi facevi da contrappunto ricucendo i lembi delle arterie strappate dalle unghie affilate delle aquile. Tu conosci il gioco assassino di  creare la realtà sensuale degli innamorati,  quando la vicinanza li costruisce nuovamente irresistibili. La formula è “….tu sei me, io sono te, e vale solo la verità che se no casca il mondo, si sciolgono le calotte polari e saremmo costretti a piangere nostro malgrado ….”

Io della conoscenza, messi di fronte nella stanza gli uni all’altro, ho imparato i tempi, le ore lunghe che poggiano sulle anche stirate e accostate al muro, ad ascoltare: e la solitudine sulla seggiola grande bianca del capitano Achab : a sfidare il sonno. Nell’apprendimento ho scoperto che vige una veglia senza coscienza – mi protegge l’immobilità nella calma della stanza – e sogno sempre un volto di donna e questo è per la necessità di ricreare un rapporto: perché mi sembra che l’idea dell’altra sia il lusso che mi posso consentire. Ho scoperto che studiare è il gioco nuovo della dedica globale indispensabile della mia propria vita che non vada mai sprecata.

Alla fine di ogni giorno la luce dalla finestra scivola via e i legni dell’armadio, delle gambe del tavolo, gli infissi… : sono costellati di secche opalescenti mute di un esercito di cicale d’oro che volano via fuori in direzione inversa all’oscuro che mi tinge il viso e le mani. Faccio l’estate rischiando, nel pensiero solitario, la crisi dell’identità quando scopro la certezza che il pensiero senza coscienza della nascita non è ricordo che possa mai essere portato alla coscienza che possa consolare la coscienza. Il buio entra attraverso le finestre e le mani -appoggiate ai ferri della ringhiera che proteggono il corpo dalla caduta nel vuoto- mi sorreggono  con leggerezza, affinché io possa avere la certezza del cielo australe traversato dalle traiettorie di pianti augurali di neonati mentre riesco a comprendere solo la vitalità: l’impossibilità della morte del pensiero.

Ci sono fiori carnosi di analogie negli amori interdisciplinari che sono gli unici a fornire qualche speranza che si possa sempre difendere quello che sta crescendo: non aggredire i figli, non violentare le donne, non sfruttare il lavoro delle persone che vengono a spolverare il trave del soffitto e il ripiano della cucina.

Percezione del mondo e realtà umana di immagine, oggetti su cui proietto quello che sono: trascorro intere giornate a gloriarmi del mio succo di frutta tropicale mentre altero tutto quanto capita a tiro della mia felicità.

E mi sveglio: un albeggiare di frammenti di vetro sono volti di naviganti naufragati sul prato e lo sfiorire improvviso dell’erba fa la savana delle guerre tribali dei guerrieri adolescenti, i figli guerrieri. E ora i figli sopravvissuti alla guerra sono tutti fuggitivi ammassati dove la spiaggia è un confine e la mano – che tira fuori insieme con il loro magro insignificante corpo il nostro stesso corpo dal mare – è pane dorato e poi diventa le ali della vittoria sulla fame. E l’amido è ricchezza nelle vene e le chiacchiere  delle donne e le farfalle fruscianti attorno alla testa sognante delle figlie. Le figlie dormono sulle stuoie al centro delle capanne.

Nel corso del sogno io so che quelle donne sono maritate a uomini altimagri che essi hanno il pregio della dignità e dell’onesta e somigliano a statue di silenzio. Regnano eternamente al centro del loro cuore esse ne parlano come pertiche di acciaio dentro di loro come degli assi longitudinali che le attraversano per sostenere l’assenza nei mesi di caccia all’altro capo della foresta.

Uscendo dalla stanza a sera per rappresentare quel silenzio tribale avevo preso l’abitudine sedativa di pensare i pianoforti nelle stanze deserte dei conservatori musicali la notte precedente il concerto.

Cosi ho visto la gloria delle molte cose di cui il mondo va fiero passeggiando da mille anni accanto a te che fai apposta -credo- a starmi al fianco: a recitarmi frammenti della commedia delle nostre vite così come sono, a dire che esse sono del tutto differenti da quelle che avrebbero potuto essere.

Così io so che devo ricordarmi di rifare sempre tutto meglio “…. non si sa mai….” Fare sempre tutto meglio di quanto pensassi di saper fare. Fare sempre quasi da capo. Così sogno gli esercizi per la mano sinistra che la rendono leggera.

Perché a me l’amore per il linguaggio è costato una eccessiva lateralizzazione: che per certe cose è svantaggiosa e per la tecnica dell’esecuzione musicale è un vero e proprio handicap. Posso fare, alla fine, soltanto il cavaliere che protegge la propria inetta parte sinistra con la forza della tua bellezza di ragazza.

E tu intanto ti affidi a me per la mia forza, tutta  asimmetrica perché è tutta dalla parte della mano abituata alle armi, la mano libera, la destra del diritto e della ragione, ahimè!!

Allora si capisce che non deve essere una sublimazione l’apprendimento del linguaggio perché nella rabbia la forza si perde.

(*)(http://www.youtube.com/watch?v=f5J54RVZjYs)

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besame mucho


Posted By on Set 9, 2011

besame mucho

Dunque l’agosto era passato come un primo anno di vita essendo stata la nostra separazione una nascita cui non era seguita l’uccisione. Cui non era seguita come sempre -bisogna dire- una uccisione. Cui non era seguita una azione fatale della mente che viene designata ormai da tempo, dai più accorti specialisti, pulsione di annullamento.

La musica del pianoforte suggerisce baci forti come parole ad alta voce di quando lavorando sul grattacielo dei ricchi – e che dunque noi non abiteremo – si grida al cielo la rabbia sociale e la felicità di spergiurare vendette che non agiremo mai. Ma tant’è: vuoi mettere la speciale capacità di galleggiare sulle vertigini dipingendo il proprio cuore affamato nelle nervature di fusione delle travi di acciaio !

Baciami dice la canzone che fa da base al pensiero che deve necessariamente ripercorrere le tracce di una realtà mai cosciente e può solo tornare come fantasia: questo infatti è perché non si può riportare alla coscienza quanto cosciente non era mai stato, essendo arrivato in noi per le vie di una diversa percezione: una percezione che non era introiezione.

Primo anno di vita iniziato alla separazione di fine luglio oggi termina al ritorno di noi. Il ritorno è uno svezzamento e la musica forte dice – nel chiedere forte baciami  e appassionatamente e continuamente – che tutta la vita ruota intorno ai periodi di mancanza di te. E mentre vai lontana scomparendo resta la vita essenziale.

La vita essenziale al tramontare di noi: le tue ineguagliabili ascensioni in nuvole di porpora e d’oro del profumo che indossi svoltando l’autostrada della mia attesa è il primo anno di vita, una nascita che mi introduce alla comprensione inconscia della realtà. Il senza di noi è l’idea inaugurale di un tempo che si pronuncia primo anno.

Comincia con la nascita di una partenza e finisce con il bacio, l’attività della bocca che, avendo succhiato il tuo amore lontano, adesso descrive con le parole quanto volevo dire mentre non c’eri che era stato silenzio. E’ silenzio che diventa immagine di appassionata ripresa del lavoro e del fare assieme.

Forse è trasformazione del setting di una cura di cui si ha bisogno, nel metodo di una ricerca che si sceglie perché si sa che potremmo vivere anche senza questa ricerca.

Potrei vivere anche senza di te. Questo è. E tu da oggi mi amerai sapendo che scegliere di starti vicino non è un merito per cui tu mi debba qualche cosa.

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E, il nuovo mensile di Emergency. Per chi è stanco di farsela raccontare.

Nasce il nuovo mensile di EMERGENCY. Diretto da Gianni Mura e Maso Notarianni, parla del mondo e dell’Italia che vogliamo. Una rivista bella, utile e intelligente, che racconta storie vere e approfondisce l’attualità ispirandosi ai valori di EMERGENCY: uguaglianza, solidarietà, giustizia sociale, libertà. Le cose in cui preferiamo credere. E queste non sono favole.

( ps: come sempre, per intenderci, restiamo umani ! )

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