la vita per esempio


l'innocenza degli oggetti

immagine tratta da “L’innocenza degli oggetti” – Orhan Pamuk – Einaudi – 2012

La comprensione si accompagna all’espressione. La sovrappopolazione di idee si apre all’esterno e finalmente la chiarezza illumina. Dovevi esagerare con i tuoi amanti e non essere parsimoniosa. Sarebbe stato segno che potevi comprendere la natura intimamente sessuale della relazione. Non so. Non controllo nulla e allora magari l’hai fatto e si saranno realizzati una serie di successi. Resti nella mente come il referente più amato o, credo, l’unica che ho saputo amare senza voler capire.

Comunque bisogna dire quanto un uomo sia sostanzialmente inappropriato al compito di comprendere una donna. E che la necessità di esprimere tale inadeguatezza è intimamente legata alla necessità del linguaggio maschile. Non si fa altro che parlare intorno alla nostra speciale incompetenza riguardo all’immagine femminile.  Il linguaggio maschile è il pensiero maschile una volta che sia distratto (sottratto) al desiderio di una donna. Il desiderio per noi sarebbe una essenza di movimento muto: un volo di angeli una volta che soluzioni leggere e volatili di profumi circondino la nostra fronte maschile quando passa ogni dolore tra le braccia delle donne che decidono un “si”.

Seppure io abbia studiato che nella dinamica della relazione ‘desiderare un contenuto altrui’ sia insieme una realizzazione e indice di una ‘mancanza’… adesso penso che, nello studio della fisiologia del pensiero, si debba dire che il desiderio è idea precisa e muto movimento. L’idea precisa è precisamente idea d’un’altra per cui vale la pena.

Se trascuro le trascrizioni psico-dinamiche e mi vedo sull’isola estiva a discutere con le correnti d’aria in cielo dico: il desiderio è un’ossessione lieve, un vento tiepido che soffia in superficie o una foglia che si è appena posata alla base dell’albero dal quale è caduta appena adesso. Poi ho un soprassalto politico del cuore: te, ed altri, e me dobbiamo guardarci dalla voracità ideologica che confonde il desiderio con la voglia, con il peccato, con l’ingordigia: poiché essi (chi confonde) fanno questa confusione per distruggere l’idea che il desiderare è. L’aggressione qualunquista e approssimativa ci priva della soggettività e ci rende ‘oggettivamente’ complementari, uguali tra noi cioè, nella perdita dei rispettivi margini di differenza, specialisti generici di strategie belliche con la strada dell’amore tutta sobbalzi e buche. Veniamo così strappati al moto uniforme della nostra conoscenza delle ‘prime cose‘ che è iniziale e definitiva.

Voglio ancora studiare i fenomeni delle conquiste che sono fenomeni sanguinari per capire perché un fiume di sangue è stato sempre necessario. Perché il corpo, se si vuole pensare una lotta rivoluzionaria, non debba temere la lesione -dato che nella strage restano anche molti vincitori. Il corpo di per sé non teme nella distrazione del desiderio durante il movimento muto che esprime l’idea che vale finalmente la pena.

Ma poi si deve capire perché nessuno si dilunghi sulle ragioni dell’incolumità che sono di impedimento alla lotta e all’opposizione. Le ragioni a favore della fine della resistenza sono importanti da capire. Solo ritenendole chiarite ed irrisolte in quanto implicite rivelatrici della natura umana ci si vuol rassegnare. Allora il movimento silenzioso delle masse in rivolta trova nell’idea di desiderio consolazione e motivo.

Ma anche il raccapriccio è nostro: i cani e le greggi e le orde di fiere non hanno pentimenti come noi abbiamo. Dunque l’uomo sarebbe dio solo nel dopo? Sarebbe una nostra ‘partecipazione’ della divina natura il tornare nella colpa dopo la spartizione dei prigionieri?

Cito: “Entrano, i fedeli rimangono intrappolati. Alcuni anziani e alcuni infermi vengono uccisi sul posto. I più vengono legati o incatenati, soprattutto le donne: voi sapete, i costumi dei Bizantini  nel quattrocento, contrariamente a quelli occidentali, erano sciolti, non attillati, avevano molti mantelli, molti veli, di tessuti splendidi, preziosi, colorati… Questi veli vengono strappati e vengono intrecciati fra loro perché servano da funi… E con queste funi… bellissime! … e multicolori.. -involontariamente bellissime .. involontariamente multicolori- tutte le più belle fra le aristocratiche, fra le dame presenti e anche fra gli adolescenti, fra i figli dell’aristocrazia- vengono legati fra loro… E c’è una tale rissa nel contendersi gli ostaggi per la loro bellezza – perché poi è questo che ne fa il prezzo e che anche suscita la cupidigia dei soldati – nella rissa muoiono quasi tutti gli ostaggi, perché a forza di fendenti e sciabolate, a forza di strattonarseli… li fanno a pezzi.

E invece credo che forse proprio durante lo ‘spargimento’ si rivela quello che manca, che viene a mancare nell’umanità che diventa dis-umanità ma non animalità. Qualcosa che viene a mancare nella funzione della mente rende gli assalitori della città, a loro volta abitanti di città belle e ricche piene di civiltà scientifica matematica e artistica, rende quegli abitanti di città lontane, assalitori e omicidi di queste città non loro. Nella diffusione pestifera per le strade è la carezza mortale dei giannizzeri sparpagliati nei labirinti dei quartieri urbani perché nella mente la peste è scoppiata prima come perdita di una funzione, come lesione e smarrimento di una immagine precedente, di una fisiologia fino a quel momento presente. Come una nascita che muore. Come una possibilità che viene portata a zero. Un’operazione di divisione con lo zero al denominatore. Che si pensa ma non porta a nulla. Qui porta la corsa e la sciabola e ..

Là devo cercare quale immagine viene a mancare? Quello che chiamo perdita di una funzione. Non sono meno civili di noi. Non sono meno evoluti. Nelle topografie del ragionamento piazze e sagrati e spazi di accoglienza raccolgono la folla silenziosa delle singole parole di preghiera, e di vittoria, e di petizione, e di richieste collettive di giustizia e di vendetta. La loro legge, una volta arrivati a scavalcare le mura per dilagare nella città splendente di terrore e bellezza indifesa, segue la necessità del ricordo delle stragi precedenti e sancisce che è giusto: poi la storia arriva dopo a dire che poiché era accaduto viene consentito e la dice lunga sull’uso della parola divina, sulla storia che niente insegna. La storia è casuale dice la storia medesima. Vuol dire che si ignora se sia proprio necessario rassegnarsi alla lesione della funzione che porta la strage.

E con queste funi… bellissime! … e multicolori.. -involontariamente bellissime .. involontariamente multicolori- tutte le più belle fra le aristocratiche, fra le dame presenti e anche fra gli adolescenti, fra i figli dell’aristocrazia- vengono legati fra loro…

La ferocia non è senza l’estetica. La ferocia è estetica. L’estetica forse è in sé feroce. Il giannizzero coglie la bellezza. La poesia è negli occhi suoi delinquenti oramai agitati indaffarati a ledere ogni limite. Ma gli occhi degli Ottomani sono come i nostri occhi. Non sono diversi. Sapere cosa succede loro di fronte alla bellezza è indispensabile per capire cosa può succederci di fronte alla bellezza una volta che saremo vincitori senza più limiti. La città è conquistata. Le mura cadute. Le rose impassibili tingono tutto di rosso.

Ma le donne e i ragazzi correvano alla chiesa. Credevano. Ma ognuno ha il proprio dio e dei differenti autorizzano la legalità di differenti stragi. Sento il dubbio se la ‘decisione’ a prendersi quanto è autorizzato comunque dal proprio dio decaduto sia sempre, comunque, la bellezza delle donne e dei ragazzi e i colori degli abiti ma insomma in vece dei colori e delle stoffe proprio quello che gli abiti e le forme coprono: l’ineffabile differenza delle donne e degli adolescenti da tutto il resto del genere umano. Quell’essere differenti per sempre dagli uomini ormai adulti? (ormai perché è irreversibile il fenomeno della perdita di capacità di comprendere che sembra legato alla crescita e alla differenziazione). Come se bisognasse ammettere che diventare adulti in un certo modo fosse anche ricevere una perdita. Avere il regalo di una fata invidiosa e poi, si sa…la bella addormentata.

Così allora la bellezza scatena la poesia ma non la conoscenza e allora non nasce il desiderio ma l’autocontrollo, se il proprio dio impedisce. Poi quando il proprio dio consente nasce la bramosia del possesso fisico: e allora il rifiuto e la resistenza alla bramosia fanno la degradazione del movimento muto (che ‘prima’ era mosso dall’idea del desiderio) nella corsa scatenata e fragorosa addosso ai fuggitivi. Movimento rumoroso di aggressione di quella differenza irriducibile.  La bellezza quasi naturale di donne e ragazzini è amplificata dalla differenza dell’animo femminile e infantile e ce ne fosse bisogno queste amplificazioni rendono tutti definitivamente folli di rabbia.

Alla poesia che è impotente si oppone e si allaccia la critica: la strage è sempre conseguenza di una distruttiva competizione economica proto-capitalista che stabilisce che sia più economico e cioè vantaggioso l’abbandono degli alleati al loro destino di conquista e schiavitù. Il criterio economico caccia l’immagine di possibile umanità. Solitudine, isolamento, abbandono e allora, dall’altra parte: ferocia spartizione saccheggio.

Ora leggo calmo in questa ansa di pace civile del mio studio professionale che si è formata ampliando la curva del fiume della vita di sempre in un fianco di fango fertile e palude pescosa di un’età ancora accettabile e piena di soddisfazioni. Ma non mi inganno. Penso al sangue sui petali di rose e vedo il procedere caotico dell’analisi storica come ‘me’ che scivolo, sul mare d’aria profumata da un ramo alto, fino ai piedi della principessa che, al tocco casuale di una foglia che le si posa ai piedi, è appena stata fatta schiava e privata di tutto senza essere neanche sfiorata dal sultano.

E seduto imbarazzato alla scrivania misuro la frammentazione della realtà umana nella distanza tra fenomeni di potere universale assoluto e sentimenti decisamente contingenti -dunque senza potere- dei singoli. So che non sono riuscito a comporre, neanche nell’ottimismo di un programma teorico-pratico, non sono riuscito a rendere possibile di portare il secondo (il sentimento contingente del singolo curato e guarito) al primo (a ridurre o neutralizzare quell’assolutezza del potere). Resto a chiedermi cosa sia successo agli esseri umani da sempre (e poi cosa ancora ogni volta ci succeda) nell’ascesa verso l’universale che sembra progressivamente portare ai margini l’idea del pensiero identitario o, per dire meglio, l’immagine della nascita umana.

Torno a scrivere “il desiderio è precisamente un’idea“. Non so come sia che la riproposizione di questa frase abbia un effetto di aumentare la confidenza con l’argomento alla base della ricerca che mi interessa… e mi riguarda. Quale è la causa della pazzia. Quale sia la causa di una certa pazzia.

La bellezza? E’ quando non riesce a nascere il desiderio di fronte ai tessuti variopinti e bellissimi -che non erano intenzionalmente messi per la strage ma a volte è invece come se uno si vestisse per la definitiva perdita di sé- che nasce l’idea pazza della strage? (Ma allora amore vuoi farmi dubitare, così pensosa e silenziosa che non rispondi, che studiare e sapere bene le cose ed essere bravo era la colpa seppure non intenzionale di provocare con la bellezza non cosciente e appunto non intenzionale la mia propria uccisione)?

E’ la fragilità della complessità del tessuto della beltà e della grazia e del garbo insita in un accenno di movimento che fa scattare l’alterazione della funzione psichica e poi l’annullamento dell’umanità dell’essere umano e poi la distruzione del corpo? E cosa fa scattare la passività della neutralità di fronte agli aggressori che è peggio anche dell’aggressione? Non posso andare così tanto avanti, per adesso.

Il desiderio è prima di tutto un’idea. Idea silenziosa di desiderio e movimento senza parole. Il desiderio non è comprensione: il desiderio non implica espressione verbale, solo il muoversi del corpo. Movimento muto per l’idea del desiderio. Esplosione ottusa della violenza fisica per l’assenza di ogni altra idea.

Le rose del desiderio e la strage sanguinosa. La violenza è il sangue. Il desiderio poteva essere la storia. Sono così vicine le due posizioni da venir date per inseparabili. Ma il desiderio è idea che tu hai cose che non avrò mai e mi costringe a cercarti. Invece la violenza per cui si uccide è per il crollo di una funzione che consentirebbe di muoversi immediatamente, all’idea di te in me, verso di te.

Abbiamo l’idea del desiderio. Poi il movimento muto quando mi avvicino. Poi il linguaggio che descrive, circoscrivendola, l’impareggiabile alterità della tua bellezza resa possibile dalla vicinanza per il movimento muto che si è sviluppato. Poi me e te nella mente, il seno ricco di latte che consentirà trenta anni di solitaria ricerca.

Ma cosa scatenò la crisi ogni volta che non posso dire che non sia andata proprio così? Forse la fioritura di milioni di rose. Cioè forse qualcosa nella mente come la fioritura di milioni di rose. La confusione visiva deve essere stata -e potrebbe sempre tornare a riproporsi se non capirò definitivamente- la sovrapposizione della visione immaginativa della differenza inalterabile della tua natura differente per sempre dalla mia natura, con la visione fisica dei colori delle tue vesti nel campo del chiostro pieno impareggiabilmente di una cornucopia di fiori.

Ho sbagliato quando ho messo insieme l’idea della generosa grandezza di dio con la natura umana dei tessuti sulle donne e sui ragazzi. Ora è almeno chiarissimo che l’umana natura si serve sempre del superfluo di un batter di ciglia dell’attrice maliarda contro l’eccesso di fiori di cui gli amanti circondano le loro amanti appena sentono la propria impotenza sostanziale al confronto della natura femminile. Amiamo i batter di ciglia che propongono l’eternità umana e suscitano inarrestabile il linguaggio d’amore senza secondi fini ma senza speranza di conclusione come una condanna. Ci resta il movimento muto del desiderio e il pensiero verbale di un movimento silenzioso che scrive la bibbia della creatività dei canti e delle narrazioni.

Racconta Tursum Bay che Mehmet II° andando a cavallo a vedere Santa Sofia e avendo visto un suo soldato smantellare con l’ascia l’antico pavimento di marmo gli aveva fermato il braccio e aveva detto “accontentati del denaro dei prigionieri, gli edifici della città lasciali a me..” Così sarebbe stato. Si racconta che il sultano sia poi salito silenzioso in mistica contemplazione sulla cupola della basilica. Racconta Tursum Bey che accanto alle rovine e alle costruzioni ridotte a giardini di pietra -neppure un vestibolo era rimasto in piedi- e dalla cima della cupola scorgendo la città, dissolta in macerie e deserto, il conquistatore abbia meditato che il destino di ogni impero è cadere in rovina e abbia recitato i versi di un famoso poeta persiano. “Il ragno fa da portinaio nel palazzo do Cosroe e il gufo suona la musica di guardia nella fortezza di Afrasiab.

La crisi dello sviluppo per troppe disattenzioni parentali può dare la difficoltà di comprensione dell’immagine di donna e di ragazzino. Allora la percezione di persone di grande bellezza in strada e sotto gli archi non diventa idea di desiderio ma considerazione di certe interessanti quantità di piacere e di acquisizione di potere. E passeggiando come giannizzeri per certe città lunari pensiamo solo alla loro e nostra difesa, ma di conseguenza poi al loro sacrificio insieme alla strage della loro ricchezza che sarebbe l’amore di cui ci siamo appropriati, e così il pensiero è triste perché arriva fino in fondo, fino a temere la distruzione dei corpi di bellissime donne e bambini e impareggiabili adolescenti simili tra loro ugualmente differenti dal resto del mondo. La somiglianza è perché la loro diversità è ugualmente ineffabile, indescrivibile per il resto del mondo. Il resto del mondo è costituito  dalla natura di animali e cose e da tutti gli uomini adulti.

Cui resta il destino del dominio, non senza poesia: ma la poesia non cura la pazzia. Non impedisce le stragi. Che fare? Cercare. Il desiderio è un’idea. La comprensione è espressione immediata. Andiamo amore mio, andiamo.

Read More

elisa che è buona da guardare


Posted By on Ott 25, 2012

 

WIKIRADIO, radio podcast di Rai3, Jean Paul Sartre raccontato da Daria Galateria: qui 

La simpatia cultural/popolare che fa il successo di teorie come l’esistenzialismo dove origina? Sartre era invidioso di Albert Camus. Come risulta se ascoltate il podcast sopra indicato. Perché a sinistra l’antipatia finisce per ammantare tutto quello che si voleva redimere? Sartre che censura la pubblicazione del manoscritto di Camus “Il primo uomo”? Il manoscritto fu ritrovato nella borsa che lo scrittore aveva con sé al momento dell’incidente d’auto in cui lasciò la vita. Non pubblicare perché non opportuno per via delle ambigue posizioni della Sinistra francese rispetto ai fatti di Algeria. Sartre faceva parte di una commissione culturale che doveva valutare l’opportunità della pubblicazione. Stalinismo? E’ la radicalità di Togliatti dopo i fatti di Ungheria che pretende da Nikita Sergeevič Chruščëv un intervento ancora più duro di quello avvenuto. Più duro della strage di civili? Sic…

Allora, mentre sorbisco il caffè sotto gli occhi deliziosi di Elisa, la mia barista del cuore, mi chiedo: ” Il dandismo è l’unico baluardo? L’indolenza nichilista è davvero criticabile? Ma l’impegno, quell’impegno di chi si sente costretto dal compito di portare avanti le ragioni della Storia, non è peggio? Non è grattarsi la rogna? La buona disposizione accorata di alcuni non è – ora mi pare evidente sotto l’effetto della caffeina- una psoriasi più e meno grave?” Forse la cultura non può mai essere popolare. Però anche la cultura non si rassegna all’impopolarità.

Ma io sono libero avendo avuto nessun successo, avendo evitato attentamente ogni cooptazione di istituzioni culturali. E rifletto che forse chi, come me non ha avuto il proprio compenso, a causa di quella disavventura patita, seppure a me sembri che sia stata una scelta, va vertiginosamente dalla critica erudita al soggettivismo. Chi ha avuto compensi vive diversamente, immagino, ma perché inclina attivamente all’impopolarità come se l’evitamento di vere passioni fosse evidenza di genialità.

Sotto gli occhi di Elisa la mia anima ha un caracollare indescrivibile. come uno che va alla spiaggia giù per il sentiero tra macchie e scogli. Vorrei essere l’attore stralunato che sono, fare un film dove mi si riprende da dietro, per descrivere come ho visto stamani che posso essere sotto gli occhi di una ragazzina distratta dai cappuccini che ti trapassa allegramente mentre ogni secondo guarda il futuro dal ponte di comando del bancone.

Ecco, io ho la mia distratta impopolarità nell’inquadratura di uno sguardo limpido che illumina con lampi di distrazioni successive il piccolo bar  ogni mattina. Ogni mattina così ha il sapore di latte. Mi chiedo: “L’individualismo di un certo genere, come scendere alla spiaggia precisamente uguale a un bastimento antico nella rotta tra scoglio e sassi è imperdonabile come l’allegria che ne fa intimamente parte? “

E “Dove sarà il collegio dei giudici/sacerdoti che deve valutare il pensiero che si sviluppa da queste singolari condizioni di benessere. Essi hanno l’arma del perdono, che non funziona senza pentimento, immagino”. Lo sguardo di Elisa assolve perché assolve nella distrazione, perché dopo averti passato la tazzina fumante è già degli altri avventori, sguardi e attenzioni.

“L’individualismo- penso – è pur sempre una opposizione all’acidità cattiva dei disponibili”. Perché sembra proprio che Sartre fosse cattivo e invidioso a causa di un non piacersi che non aveva niente a che fare col suo non essere bellissimo. È che era stato abbandonato dalla madre che si era risposata dopo un periodo di grande amore con lui ragazzino.

Forse allora lui  aveva pensato che l’unico rimedio fosse l’odio. Senza trovare rimedio a quel rimedio. Se non la negazione dell’odio che provava. Poi, dopo la scissione, è sempre la trasposizione (proiezione) della freddezza di propri sentimenti disperati addosso agli altri. La forma in quel caso fu intellettualmente molto ben giustificata.

La passione attribuita all’intellettuale forse fu disperazione e cinismo: affezione al proprio sarcasmo, poi imposto come regola esistenziale. Camus magari aveva il dolore, la gloria del dolore che forse è più radicale del cinismo. Forse Camus che era stato anche lui abbandonato dalla madre era riuscito a perdonarla.

Ora non so più se la sinistra cattiva sia solo una cattiva sinistra. Ma intendiamoci, qui uso cattivo non come una categoria dell’etica, ma nella accezione concettuale legata strettamente e fusa addirittura ad una consapevolezza che è specifica sensazione del gusto. Cattiva, perché provoca il disgusto: il fatto ben noto di una mela cattiva. Un cattivo latte. Uno sguardo cattivo, che fa male. Mentre il buono induce a volerne ancora, capisco sempre meglio.

Poi mi accorgo che cultura e sinistra si fondono nella mente come fossero la stessa cosa, come se due parole avessero trovato una sola immagine. Forse sono io che oramai non so distinguere, alle prese con una non popolarità che si acquieta negli occhi distratti di una ragazza gentile che mi serve il caffè deliziosamante.

Resta viva nella mente l’idea che la cultura gode la propria impopolarità. La cultura ‘gode’ la propria impopolarità senza vedere che l’antipatia di cui è oggetto deriva dalla propria  acquiescenza al disgusto.

Elisa ritira la tazzina e mi guarda ancora un secondo. Elisa è buona. E’ buona da guardare. Anche oggi.

Read More

Mai che tu ti alzassi con certe idee, mai che ti alzassi con il pensiero rivolto al sogno, dimenticando. Mentre noi, io, noi siamo clarinetti all’attacco di danzatrici di legno scuro, di danzatrici sahariane, di opulente danzatrici nordiche. Se tu ti alzassi con certe idee lo saprei di certo. Il silenzio che noi sentiamo (che io sento) amore mio, al mattino !! Allora, penso, vorrà dire che lo schianto del pianoforte risuonerà maggiore del solito. Dico maggiore per alludere al tono del sogno: per dire che il rumore del tonfo dei tasti, adesso che sono allegro nonostante te, è in tono maggiore. Il tono del tonfo rumoroso dipenderà anche lui, come un uomo che si desta, dal colore e dalla fibra del legno, come io dipendo dalla fibra e dal colore del sogno.

Anche il pianoforte è una danzatrice opulenta o asciutta, chiara e opulenta o forte e scura. Ci sono pianoforti accigliati e altri condiscendenti. Mai che tu ti alzassi pensando alla varia natura dei pianoforti. Io so che ti dico continuamente, da sempre: “Diventa caffè e diventa pianoforte se vuoi ancora stare qua, oppure lascia stare”.

Ti ho messo qualche brano di musica, quanta se ne può ascoltare in silenzio durante qualche ora.

La creazione di parole e la successione delle linee di scrittura non è che smarrimento dello star bene se anche mai nessuna si alza con certe idee di danzare. Di ballarci addosso. Si comprano profumi per ambienti per stare allegri, per il senso di pulizia e di chiarezza psicologica, perché sia evidente che comunque si è poi costruita la fortezza con i divani e si sono arricchiti i divani con le stoffe comprate sulla spiaggia a pochi euro. Sognando, in compenso, di essere sceicchi, Lawrence di un’Arabia locale.

Quello che ascolto adesso è una successione frenetica di accordi, la “Rapsodia in Blu” di Gershwin, al piano Herbie Hankock. La gioia della giornata parte da assai poco: un video sbiadito sullo schermo, i suoni che trasformno la fisica della stanza. La forza (la forma) acustica divide me dalle preoccupazioni, e orienta il pensiero al latte materno, al seno: così che io possa essere ancora felice e parlare e, ancora, parlarti da questa navicella che veleggia. Porta fuori sulle cime tonde dei pini marittimi che qui crescono distratti e stupidi, davvero. Il pino marittimo è un albero stupido.

Ascolto dunque un ‘classico’ del jazz, come si dice. Ascolto perché per qualche strano motivo mi appassiono alla musica da sempre, come tanti. È normale amare la musica. Non per tutti. Alcuni non amano la musica. Io do per scontato l’interesse e la curiosità per la musica ma sbaglio. Così per uno scontato amore si vive, penso. Per il sogno svergognato di amori ulteriori.

Questo Gershwin dunque, lo facciamo volare amore assente? Lo mandiamo per l’aria. Ecco. Fatto. Aperte le finestre. Scoppiano gli applausi. Alziamoci, andiamo a lavorare. Ci aspettano. Non so mai con quale animo. Andiamo ballando. Con le note in aria.

Read More