le cose


le mani di Pina Baush


Posted By on Mag 27, 2011

le mani di Pina Baush (*)

Ci accostiamo a tentare una serie di termini sconosciuti alla biologia : destino, immagine, colpa, figura, malattia, tempo di natura e tempo umano, nulla, vitalità, vita, rapporto, storia, scoperta, genialità, bellezza, fallimento, resistenza, opposizione, dolore. Cosi concludevo il precedente enigma. In nota, quasi per continuare, mi pareva necessaria una piccola aggiunta: termini sconosciuti ed alienati nella irrealtà di una loro natura ‘spirituale’. Un commento precisa: termini che nella irrealtà di una loro natura ‘spirituale’ saranno alienati e personificati, resi incontrollabili e temuti. Continuo sedotto dalla facilità apparente di quanto si accerta come una imprevista coerenza della proposizione occasionale.

Da tempo l’idea della vitalità della scoperta della vitalità non si esaurisce più nella seduzione di avere accesso a nuove possibilità espressive, piuttosto si affranca dal rigore, veleggia alla volta delle nuvole che attraversarono il cielo di due giorni fa. Nuvole ‘ricordo di nuvole’. Esse una volta fotografate in un certo modo furono utilizzate per alludere alle rappresentazioni dei surrealisti affinché fosse possibile definire sfilacciata la trama di organizzazione dei saperi sotto forma di trattato con la quale la scienza si impone da tempo immemorabile. Destino, immagine, colpa, figura, malattia, tempo di natura e tempo umano, nulla, vitalità, vita, rapporto, storia, scoperta, genialità, bellezza, fallimento, resistenza, opposizione, dolore furono termini che poiché si sottraevano alla biologia nei trattati furono alienati venne loro attribuita una irrealtà di natura ‘spirituale’ e, alienati e personificati, furono fatti percepire incontrollabili e temibili e alla fine, poiché oramai temuti, sottratti alla scienza medica degli affetti, esclusi dalla conoscenza. Ma essi sono configurazioni del pensiero che nasce nell’uomo per la vitalità della sua specifica biologia di fronte allo stimolo dell’assenza e all’irrealtà del nulla.

La nuvola assorbiva la luce e galleggiava, perché l’avevo inquadrata come fosse la sola nel cielo, perché volevo fornire l’idea di un evento naturale improbabile e dunque meraviglioso cosicché tutto il resto fosse oggetto della stessa meraviglia: così la luce azzurra del cielo  che pioveva riflessa sull’obbiettivo, così la probabilità che -con piglio surrealista- quel cielo surreale potesse ricadere sull’idea di sottostanti piazze metafisiche. Per sfuggire la forma del trattato, in verità una solitudine da manuale, mi mettevo a disposizione fugaci occhiate blu scuro, sguardi come accordi obliqui carezzevoli, mi immaginavo in saloni di festa di geometria irregolare, oppure coperto di pioggia nella tribù di una foresta tropicale del terzo millennio. Da tempo è in questa forma che si fa vivissima l’idea della vitalità della scoperta della vitalità, e rende del tutto trascurabile il fine di una nuova capacità espressiva: sembra voglia imporsi la costrizione ad un affrancamento dal rigore. In questo mare si veleggia ai prati, al cipresso degli appuntamenti d’amore e di infedeltà, alle rose e soprattutto alle pietre disegnate per la liquefazione degli orologi di Dalì, per sollevare il dubbio a proposito della natura sostanzialmente casuale del pensiero e accrescere il sospetto se i sogni di Magritte potessero essere stati davvero ‘nuvole veleggianti’ .

Le mani di Pina Baush sono una nuvola. Nella sua coreografia chiamata “Bandoneon” ci sono quelle ragazze e donne e uomini così ‘maledettamente comuni’ che paiono strappati per caso alla vita di tutti i giorni e messi lì nello spazio del balletto come miracoli metafisici per via di quella loro aggraziata presenza nel mondo quell’essere evidentemente realizzazioni di un modo artistico di pensare di una donna forte che pare aver preso quelle persone come le avesse scelte al mercato delle nuvole e nel farle ballare manifesta i pensieri che affannano gli esseri umani e sono pensieri di amore e pensieri a proposito delle potenziali nuove sorprendenti teorie della politica – e sono i pensieri delle soluzioni possibili e del dolore di quello che non è possibile di quello che non c’è ancora per porre fine agli affanni dei quali si compone la storia quotidiana delle persone.

Le mani di Pina Baush mi paiono riproporre l’essenza dei sogni, il loro movimento pieno di grazia inarrestabile. L’accordo operoso con cui si affiancano si intrecciano e si liberano mi ha fatto venire alla mente l’accuratezza di metodo della ricerca di quelli dei quali ho amato il silenzio travolgente. Le ombre e le luci di cui sono portatrici quelle mani chiariscono ai dittatori che c’è una irrazionale possibilità di accordi reciproci non solo tra mani esili ma addirittura una possibilità di tutti gli accordi possibili tra popoli in cammino e tra ceti differenti di una società maltrattata e divisa. Le mani di Pina Baush hanno il candore luminoso delle nuvole, la forza indispensabile a fotografare il cielo certi giorni in cui bisogna ribellarsi ad una solitudine fastidiosa. Ho rintracciato la bellezza delle mani di Pina Baush così chi vuole può vedere come casuale sia la grazia, capire quanto smisurata sia l’importanza del termine vitalità nella cultura della scienza del pensiero umano che presiede al miracolo del movimento incosciente.

Aggiungo per mia pura soddisfazione che è lei, la grazia in esame in causa e in questione, che determina la coltura dei gerani sulle terrazze dei volti degli spettatori del cinema delle opere e dei balletti. E realizza la cura delle fioriture ai balconi delle anime degli spettatori dei teatri e dei concerti. Essa si occupa della precisione della irrigazione del riso per quelli assiepati in file parallele concentriche nelle sale dei concorsi di ballo e alle panchine di ferro curvo sotto la pensilina delle stazioni delle capitali liberate dagli invasori. Quando gli invasori sono vinti alla fine dei conflitti, quando le stazioni si affollano di fumo sbuffante e il fumo si dipana nell’aria e svela figure di amanti e le figure appena emerse vengono subito folgorate dalla luce negli ioduri della lastra sensibile perché il fotografo li ha scelti tra mille altri per via proprio della vitalità implicita nella grazia furente di una posa ad alta temperatura sentimentale.

Qualcosa sotto la nuvola di due giorni fa, all’ombra luminosa di quella nuvola, si è mossa oggi scorrendo inavvertita come due mani magre che avessero dissotterrato un anello perduto da un turista al margine di una piramide.

Siamo stati a lungo spettatori assetati del consenso della musica, pur se poco sappiamo di armonia e composizione, e si è sognata tutti quella musica come un vestito rosso. Abbiamo esercitato per anni attimi di jazz proletario, e letture precoci per alimentare  le nostre premature speranze.  Adesso la farfalla sembra venir fuori, ma la grazia e la discontinuità -rivelatrici del pensiero non impazzito- sconsigliano movimenti troppo impegnativi del corpo nello spazio. Solo così potremo infatti continuare ad avvertire la sfocata bellezza dell’irrisolta questione di ciò di cui non si può parlare, della posizione incontrovertibile della punteggiatura nella frase, delle riprese di fiato nella recitazione e nel canto lirico, di altri fenomeni dell’espressione di noi verso un mondo inattendibile, e della necessaria discontinuità che sola fa fede della vitalità altrimenti insospettabile.

Si è chiarito che la durata dell’intenzione non è sostenuta da alcuna struttura ferrea, da nessuna legge fisica intransigente e bisogna pensare ai funamboli tra i grattacieli quando si illustrassero le libertà immaginative.

Bisognerà confidare su barriere di fucilieri armati di SI e di NO rivolti genericamente in fuori e in su verso le lune d’agosto, tutti impennacchiati di ardore, rossi alle guance per il rinculo continuo di spari che si perdono nel vuoto illuminato dalla magia al fosforo dei flash. I nostri inviati sul limitare del mondo portano cattive notizie, telegrafano con intermittenze intelligenti che il mondo travolge i sensi con strepiti di minimalismo ironico da parere saggezza e – all’opposto e dunque al peggio – con ideologie tirate su frettolosamente come i tendoni della protezione civile sulle rovine dei terremoti che risultarono – neanche tanto tempo fa – argini eretti contro le nostre speranze da raffazzonate inculture nazionalistiche.

Per adesso è il pensiero che dovrà essere riconsiderato nella sua natura. Noi sappiamo di un mondo che, essendo ottuso e inanimato, fonderebbe la materia del pensiero in un attimo se esso volesse applicarsi con rigore al dato muto dell’esistenza delle cose senza vita. Dunque la vitalità assicura al pensiero la discontinuità indispensabile a modulare sapientemente (ma per noi è ‘naturale’) la relazione con le ‘cose’.

Ora di nuovo possiamo ricordare: ci accostiamo a tentare una serie di termini sconosciuti alla biologia : destino, immagine, colpa, figura, malattia, tempo di natura, tempo umano, nulla, vitalità, vita, rapporto, storia, scoperta, genialità, bellezza, fallimento, resistenza, opposizione, dolore. Se mi chiedo una ragione di parole che sembrano evocare qualcosa in più di una semplice trasformazione delle capacità espressive, qualcosa che va oltre la proposizione esclusivamente personale, ritorno alla frase di poche righe sopra che dice chiaramente che da tempo la potenza della vitalità della scoperta della vitalità – non esaurendosi più nella soddisfazione seducente di avere avuto accesso a nuove inattese capacità espressive – piuttosto mi si è mostrata come una costrizione alla ribellione, un imperativo categorico ad affrancarmi dal rigore di valutazioni prudenti per veleggiare alle nuvole di ieri, al vuoto azzurro del cielo che è l’idea astratta della conoscenza della vitalità che non ha immagine ma non si confonde più nella mente con l’irrealtà che è pensiero senza la vitalità della quale da un po’ si cerca di dire qualcosa .

Oggi le nuvole di ieri si sono legate alle rappresentazioni della vita dei surrealisti quel tanto che, senza fare alcuna confusione di significati, è solo una divertita tecnica figurativa, una licenza grafica, o una fertile contaminazione, per dire che le nuvole care a certe rappresentazione dell’astrattismo surrealista suggeriscono che possiamo pensare possibile che la trama della forma di trattato, con la quale la scienza si impone da tempo immemorabile, si sia definitivamente sfilacciata

E’ là di fronte a noi: c’è una piazza piena di ragazzi indignati i loro corpi tatuati a dire no notte e giorno, ragazze e ragazzi che lottano e si esprimono anche dormendo, come avessero scoperto che il sonno che li espone alle peggiori repressioni poiché essi perdono il controllo cosciente sulla realtà dell’odio dei tiranni – pure forse è lotta e ribellione  perché c’è una possibilità di comprendere una vitalità diversa dall’istinto dell’animale perché quei ragazzi e ragazze non hanno l’istintivo bisogno di realizzare la sicurezza fisica per tornare al sogno e alla nascita e dormono sotto gli occhi dei dittatori realizzando la certezza del diritto ad essere attraverso la realtà incosciente del compagno e della compagna addormentati gli uni accanto agli altri.

C’è una piazza surreale sotto un cielo del potere politico ed economico dove dormono e sognano giorno e notte molti ragazzi e ragazze. Sono belli come le mani di Pina Baush, forse le mani di Pina Baush sono i ragazzi e la piazza tutto insieme.

Io non sono più solo perché guardando la Piazza della Porta del Sole piena di ragazze e ragazzi che lottano giorno e notte capisco che i miei pensieri di oggi si legano e forse sono gli stessi pensieri di ieri, pensieri della grazia necessaria alla lotta e alla ribellione, detti con parole sempre differenti che si alternano nella mente al variare dei timbri luminosi ed opachi di nuvole e cielo: che restano uguali da sempre. Sono parole come: nulla destino colpa malattia dolore figura. Poi: vitalità immagine tempo  storia. E infine: vita rapporto  genialità scoperta resistenza opposizione.

(*)qui

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cominciare a dire


Posted By on Mag 21, 2011

cominciare a dire

La poesia non ha nulla a che fare con la versificazione. Consiste in ciò che si trova nel mondo, al di qua di quanto ci è permesso di osservare.(Magritte)

Per quando ci saranno luce e tempo lampadine e chiarori, per allora metto via le cose senza consumare fino in fondo la bellezza e la musica, per questo, e per quello che è differente da ora e che non conosco che passa frettoloso. Ci saranno luce e tempo per mettere a fuoco la macchina dell’espresso di alluminio lucente che mi viene incontro quando cammino a piedi scalzi nel quadro surrealista del risveglio con movimenti e arresti cigolanti tra il margine del letto, lo spigolo netto e pulito della cucina, la fiamma blu che eccita il luna park delle molecole d’acqua che fanno salire il caffè. Fisserò gli occhi splendenti nella penombra che si determina ogni mattina quando dalla finestra la luce attraversa sottili fessure della persiana e come latte intorbida l’amalgama di buio profumato di sogni nascenti e pane tostato. Non si è pronunciata una sola parola per un tempo lungo perché si è rivelato inutile e si butta giù silenzio e muta aspettativa mentre l’inclinazione dei raggi di sole fa un angolo via via crescente sul foglio da disegno del pavimento e trascorrono inesorabili deserti nella ripetizione prima che movimenti accurati inaugurino traiettorie che traversano il disegno variabile dell’ombra determinando la caduta sbuffante della mongolfiera come una locomotiva in picchiata ma al rallentatore quando le giunture delle ginocchia scricchiolano musicali e si va via dalla stanza ed è oramai giorno e per un bel po’ potremo continuare a tacere. Da quando cerco di realizzare i contenuti della vitalità ho ristretto gli esperimenti a successioni brevi, a durate impensabili a registrazioni di attimi instancabilmente riproposti, ad abbracci fugaci, a baci inattesi, a sfioramenti a misurazioni di singoli gradi di variabilità dell’umidità delle labbra sulla pelle. Sono sulle tracce dei pensieri a venire e non mi do pace perché darsi pace mi appare una rinuncia mentre nessuno ha tuttora definito gli aspetti della vitalità come si fa avendo accettato definitivamente che essa è una funzione della biologia cerebrale un parametro che definisce modalità funzionali dell’attività della mente ed ho acquisito la sicurezza che sarà una capacità di risolvere la vitalità dentro una formula linguistica a costituire un primo risultato per riproporre ulteriori ricerche a proposito della realtà psichica scrivere definitivamente l’equazione tra norma e sanità. Vitalità è una funzione che può essere pensata come ciò che consente  alle azioni mentali di produrre effetti sulla realtà materiale della biologia attraverso variazione degli assetti biochimici cerebrali ed è così che non è magia se arrossisco quando ti vedo mentre realizzo il tempo e la luce esatti che accompagnano gli stimoli visuali e termici della tua apparizione e poi della tua presenza. Ed è così che tempo e luce variando in mille combinazioni mi restituiscono l’idea di te che adesso non ci sei essendoti molto allontanata per certe occupazioni e la cucina e il letto e la sponda del piano di marmo antico del tavolo delle colazioni sembrano muoversi per comporre  attraverso la ricreazione della tua figura un argine all’assenza e al vuoto che si è determinato per la tua sottrazione. La vitalità è la funzione del pensiero che genera l’immagine di una possibilità ulteriore di essere e la continuità dell’identità di fronte allo stimolo dell’assenza: la scoperta medica della vitalità è l’invenzione di un farmaco nuovo che agisce attraverso l’attivazione di una chimica sottile che ha come stimolo elettivo l’irrealtà del nulla. Senza sarebbe la morte del pensiero e l’impossibilità di essere certi dell’esistenza del mondo durante le nostre traversate solitarie e silenziose di ogni confine. Senza sarebbe l’impossibilità di ‘noi’ tutte le volte che non ci sei che sono il pane quotidiano del nostro amore.

(L’immagine di questo articolo:Magritte ‘La Condizione Umana’)

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forma di passione


Posted By on Mag 18, 2011

forma di passione

Spettatore restando quasi immobile inchiodato alla poltrona di fronte allo schermo i suoni vivi del canto di ragazza con l’uomo che corregge amorevole una ingenuità d’amore che non sta nella promessa definitiva che vuole ancora di più senza che sia la bramosia d’un accumulo solo la graziosa lucidità d’un chiarimento ci sono archi azzurri alle spalle dei due che rifulgono di giallo e pesca caldo nel cuore delle figure davvero rifulgono perché così si era impressionata oltre la lente lucida degli obiettivi a cannocchiale la superficie verticale dove riponemmo la fiducia nella registrazione del ricordo intanto stupirmi delle poche cose indispensabili una posizione reciproca una dedizione affettuosa una educazione al canto che è quando la nostra voce dovrà far fronte all’impertinenza di salire di qualche tono e una vicinanza per lati dei corpi un non affrontare di petto ma obliquamente e alla fine io permettermi di alterare il fermo immagine in cui ero quasi senza respiro per non perdermi neanche una parola sorridendo e scuotendo il capo quando realizzo qui che la saggezza è obliqua senza compromessi che i due fanno un angolo penso ‘quasi novanta gradi’ per scambiarsi ricette indispensabili negli anni futuri a tutti coloro che dovranno cucinare triglie guizzate sulla barca mais tuberi dissodati a mani nude giusto per arrivare al fuoco con gli altri la sera ed esprimere pubblicamente la pretesa :

– ” Io te vurrìa vasa’ ” sospira la canzone, ma prima e più di questo io ti vorrei bastare, io te vurrìa abbasta’, come la gola al canto, come il coltello al pane, come la fede al santo io ti vorrei bastare. E nessun altro abbraccio, potessi tu cercare, in nessun altro odore addormentare, io ti vorrei bastare, io te vurrìa abbasta’. ” Io te vurrìa vasa’ ” insiste la canzone, ma un pò meno di questo, io ti vorrei mancare, io te vurrìa manca’, più del fiato in salita, più di neve a Natale, di benda su ferita, più di farina e sale. E nessun altro abbraccio, potessi tu cercare, in nessun altro odore addormentare, io ti vorrei mancare, io te vurrìa mancà. – ( Erri De Luca )

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il possesso delle cose


Posted By on Apr 24, 2011

il possesso delle cose

Una nota difficile in un giorno limpido e tutta la pazienza al sole a levarsi l’umido del fiato dei feriti con la febbre. Metti giù lo sbarco delle chiacchiere sul cosiddetto destino delle masse, e vedrai formarsi le dune, i paesi della sete eterna, la fabbrica delle mosche, i cuori di plastica – duttile – nelle ultimissime più terribili forme di disumanizzazione dei presidenti, i bisturi velenosi, le chirurgie plastiche che nascondono per sempre il profilo delle responsabilità, le curve nere dell’emiciclo parlamentare, le suture infette di sciatteria e trascuratezza. Noi restiamo gli uni accanto agli altri, a cercare le parole alla base e prima del pensiero per dire che sono le mani a comandare giorno dopo giorno, le mani che scivolano sulle cose e dimostrano che noi siamo tutto ciò che ci manca e ci sfugge perché afferriamo di certo ma insieme non siamo mai padroni, e via via che nella morsa decisa delle palme capaci che prendono e lasciano andare tutto, il tempo si genera – creando il rapporto con la realtà inalterabile degli ‘oggetti esterni’ – noi a nostra volta, per quella consapevolezza di impossibilità di possedere qualsiasi cosa che amiamo e stringiamo a noi, diventiamo, nello stesso momento, imprendibili: come il disegno del mondo.  Da quell’istante la linea dei volti, il grattacielo cilindrico del torace, le spalle, l’arco dei piedi, il motore rombante dei polpacci e il dorso forte delle dita sono steccati, linee di costa, spazio dei confini, orti, campi, barriere, carri allegorici, ospedali, campi da coltivare, acqua intorno alle chiglie, le chiglie stesse con righe lunghe di rossi accesi, e i capelli delle sirene. E per questo modo di pensare, è evidente che noi siamo esattamente tutto ciò che non siamo, che siamo lo spazio tra noi, e il tempo intercorso tra il risveglio e la generazione delle figure del risveglio, e siamo il sogno che non è che lo sfondo – vale a dire la fisiologia – della esistenza materiale della nocciola grigia e bianca dentro di noi, noi siamo lo sfondo medesimo da cui tutti i giorni si torna a colonizzare questo mondo moderno, che il cinematografo, la musica, la letteratura, la poesia, le frasi negli cioccolatini e le cartine d’argento finto, e l’oro leggero dei bracciali, e le perle alle orecchie, e la massa densa della carta degli imballaggi delle librerie di legno bianco, e il cartoncino profumato delle lettere d’amore dei bambini alle maestre, e la scoperta del fuoco di ogni giorno per bollire l’acqua con il caffé, hanno ultimamente disegnato e messo in relazioni variabili, per tenere inalterata l’idea di vita umana, e di mondo, che non sia solo sopravvivenza e terra sferica. Il sogno è una nota difficile in un giorno limpido, dove sbarchiamo per essere quello che siamo: stendiamo tutta la pazienza al sole, per alleviare l’umido al fiato dei feriti con la febbre, e negli ospedali sulle frontiere sbarchiamo le truppe delle chiacchiere, e facciamo i cori di accompagnamento nelle corsie piene dei feriti della resistenza, e siamo i feriti e i dottori, e precisamente anche le voci nelle emergenze, che raccontano quello di cui siamo il confine. Certamente incutiamo un terrore perché, per chi ci ha ignorato da subito, siamo voci che provengono da chissà dove, siamo lettere volanti verso il cielo come aquiloni che modulano dalla picchiata ad altri variabili percorsi – già ma dov’è la mano sapiente del ragazzino? Ecco siamo i morti viventi, colorati di colori sfumati, con addosso la vita  della mobilità un poco isterica delle cose che non si riescono ancora a capire, e esattamente per quella incomprensibilità siamo bellissimi, come le storie di un esercito di bastardi nelle pagine di un romanzo che circola non autorizzato, siamo precisamente la successione di una storia senza protagonisti principali, siamo persone che hanno affetti che ci consentono possibilità infinite per disegnare i fondali di anemoni di mare, e le reti da pesca piene di pesci per l’epica delle giostre medievali, e l’invasione delle astronavi che portano ammassati i battaglioni dei perdenti immortali. Siamo gli autori della saga delle briciole di pane, e siamo piramidi che portano incise le avventurose vicende millenarie dei semi di soia che vincono, in prima istanza, la guerra contro la fame. Noi sappiamo che gli avvocati dei cinici hanno mandato contro di noi terrificanti meraviglie, hanno mandato – nascoste nelle nuvole di sudore freddo dei dittatori – le astronavi piene di batteri. E i nostri sogni dovranno organizzare le tempeste, disegnare su carta di riso i costumi da guerra, realizzare capi di sartoria per la scenografia dell’invasione dei buoni finalmente vittoriosi, per avvolgere, dalla testa ai piedi ,le nostre modeste persone con tute da cavallette. Saremo armate fruscianti, il nostro respiro tutto un mormorio di poesie rimaste sulle labbra dei morti di sete, e lì per lì nessuno si renderà conto di nulla, tanto meno, come Macbeth, della foresta che si muove piano, fatta di noi che abbiamo tra le labbra i rami delle parole di stanotte, e – sulla testa – alberi di carezze, perché la testa, da tempo, non ci serve quasi più per pensare – da quando siamo diventati navi da sbarco e branchi di delfini tormentati, che hanno finalmente acquisito la elusiva velocità dei loro persecutori, e imparato l’arte  di scomparire nel buio propria delle spie le  delazioni delle quali, fino ad oggi, ci sono costate sempre la vita e la salute. Ma stamattina, ti giuro, siamo noi l’ombra al fondo azzurro della piattaforma, siamo un orda di racconti senza un grido: allo scandaglio costruiamo l’eco falsa di una ingannevole profondità, come balene fantasma che promettono aerei ed aleatori piaceri. Poiché chi affondasse il bisturi tecnologico nelle nostre enormi masse cerebrali, vedrebbe l’ambra sfarinarsi imprendibile, il discorso storico dissolverei nelle singole parole, vedrebbe solo strade di una città piena di gente senza tracce di colpevolezza sui vestiti. Abbiamo preparato la scenografia per questo risveglio senza disperazione. Abbiamo pensato come è commovente che appena ieri ci siamo abbracciati come sempre tra gli scaffali dei magazzini pieni dei ricordi, in modo da poter, adesso, riordinare il mondo intero con le parole di un sogno.

Non abbiamo quasi più nulla di tante cose che ci eravamo procurate, non abbiamo più il possesso delle cose, questo era stanotte e questo è il fiore nel bicchiere. Buongiorno amore mio.

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la tana del jazz


Posted By on Mar 25, 2011

la tana del jazz

Una memoria d’uomo che non riesce a piovere, che non si stacca da lassù, una colla tiepida sulle dita, un albume salato, un toccare il cielo. La bravura è di saper pensare solo nell’ALTRO solo sulla linea della tensione che ci unisce sebbene siano i giganti a dominare. Forse bravura e’ l’amore per la materia del dubbio, legarsi appassionati ad ogni singola parola della SUA domanda, prendere nota con attenzione delle forze molecolari dello sfondo, scrivere una canzone per ognuna delle brevi frasi e infine fare piani sequenza della fisionomia delle parole: per tutte le ‘n’ parole -diligentemente computate- che dice. Ripetere le ’n’ parole a cercare nei segreti legami il non detto del pensiero, Respirare addosso all’insenatura. Sfruttare il silenzio accogliente delle riprese e dimenticare. Stare accanto al focolare del discorso ed aspirare il fumo nucleare come gli eroi hanno respirato la morte atomica. L’interesse verrà suscitato da meno-ancora, da pochissimo, dalla compressione dell’etica quando si fa addosso alla linea del confine che non è che una linea di immor(t)alità.

Il tempo di un discorso ineccepibile è imposto. Necessita di  accordi con illusionisti, collaborazioni con i sapienti e prolungati e ripetuti pianti con l’ALTRO. E’ scoprire di illudersi se si pensa di possedere la dignità dei migranti e la nobiltà degli ultimi. Così bisognerà succhiare via sangue e veleno dal morso simmetrico della vipera. Bisognerà rispondere a due suoni : ‘tutti’ e ‘altro’ cioé identità e uguaglianza. Si oscura la ragione nel compiere il discorso dall’inizio. Si ricorre all’atteggiamento psicologico degli alchimisti. Lo scurirsi del cielo un opera al nero. Il nero la preparazione delle tele di Caravaggio. Il nero cattura la luce e si diventa pittori di costa in piena aria, e con lui, anzitempo, -in vantaggioso anticipo- ci si prende gioco del futuro.

Il pensiero diventa pittore di guitti di ultimi di lussuriosi di frutti fiori volti schiene, di peccatori scommettitori sommersi bari perdonati ultimi. Impara a morire -il pensiero inseguito ricercato interdetto accusato e deriso- su una spiaggia tirrenica alle porte del cuore. Si resta legati al furto della luce nel nero del sogno. Nel sogno le selve di spade per strade troppo strette feriscono non volendo e le macchie rosse qualificano il timbro della passeggiata mai innocua. Nel nero: allevare sviluppare nutrire il pensiero del coraggio necessario alla vicinanza di essere per sempre contemporanei a coloro che hanno traversato tutti i tempi. Risveglio: si resta sulla tela sotto gli occhi di dio, nelle SUE mani, di LEI !!!!

Confonderò la mia pedanteria con strategie alla crema. Sedurrò Turandot con tinte ad olio profumate di lino. Devo stordirla con la classicità. Devo farmi ospitare una notte nella tana del jazz tra un amplificatore a valvole e una pagina web fresca di pasta cerebrale appena spremuta. Dobbiamo progettare musica danza e parole solo perché siamo amici intimi ed e’ primavera e non vogliamo morire secondo la volontà e i modi di un dio selvaggio e stralunato.

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è una pittrice di strada


Posted By on Mar 13, 2011

è una pittrice di strada

Dipinge in strada, nel tempo. Su quello che c’è già. Ha un coraggio, dato che su quello che c’è già nessuno scommette mai gli occhi. Come sulla spina invisibile sulla schiena della strega nessuno posò lo sguardo. Ipotesi, rischi a proposito di quanto c’è da sempre ma.

Ha lo snobismo dei lucchetti e in antipatia l’altro snobismo urticante che ha i lucchetti in odio. Non ha motivi. Il tempo è una ‘ragione’.  Ha occhi impenetrabili di chi rischia tutto su quasi nulla. Indossa scarpe rosse da ballerina classica sull’acciaio tagliente del bordo dei marciapiedi.

Lei è sempre stata una faccenda di sguardi e di movimento delle mani in aria. Questo famoso ‘sguardo’ è una strana realtà: particolare perché non è da nessuna parte.  E’ nella mente come parola. Anche il movimento è strano.

Noi e i nomi sono tutte cose nella nostra mente. Ci sono poi molte cose fuori di noi. Certe cose fuori di noi, tuttavia, sono solo il suono della voce che dice le idee che potrebbero anche restare per sempre silenziose.

La mente dà il nome alle proprie idee poi dice la parola e l’idea diventa esterna. Per il tempo che dura il suono della parola, l’idea fluttua nell’aria. Poi muore. Sparisce quando la vibrazione si spegne. La pietra scagliata prepotentemente si perde nella notte.

Le cose della natura sono strumenti. Ben altro è quando le sue mani sono intrecciate alle mie. Io amo: inconsolabile. Il suo profumo, che esiste, non posso prenderlo. Lei la mangerei. Mangiare lei non è retorica: è creatività del pensiero astratto.

Le pietre perdute nella notte è perché c’è una difficoltà degli occhi nel buio. La biologia ha limiti precisi. Le parole – il suono delle idee – quando spariscono nell’aria – non è per il buio. E’ per l’assenza umana. Assolutamente difficile concludere.

“,,, l’assenza – che non sia irreperibilità delle cose della natura,- è violenza a causa di un difetto d’amore…”

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