musica


tom waits


Posted By on Dic 11, 2010

http://www.youtube.com/watch?v=3pwxD8quPCg&feature=related

Per noi. Il sonno è un’ astronave e siamo saliti senza chiedere niente come si deve e le parole da tempo abbiamo saputo tenerle. Il pensiero ha da sempre il vantaggio della permanenza sul ricordo. Il pensiero come la mano rimasta alzata dopo l’accordo di chitarra. Se guardi bene sul manico -dove le corde disegnano linee di geologia- dura attualmente l’impressione di un ombra.

La poesia del risveglio il passaggio dalla città sotterranea del silenzio alla fortezza del chiarore. Immobile. La fortezza del sogno vitalità dell’attesa. La prima luce ha la morbidezza del sospetto. La piena dell’onda del mattino è l’insenatura di un’illusione davanti agli occhi un miraggio, proprio. Trema appena.

Il lavoro del risveglio è una scommessa sul suono delle parole o sul coro muto pucciniano. L’acuto nascendo dalla gola dispenserebbe una vincita. Ma non si è del tutto sicuri di volerlo. Quello dei risvegli è popolo folto intonato e forte, addirittura: non fosse per l’ ossessione di perfezione.

Per noi. Il sonno è il golfo mistico da dove sale al cielo il respiro. E dopo non siamo in grado di parlare a lungo. Il risveglio sconsiglia la parola. Si gusta il piacere del buio trattenuto tra le palpebre. Noi: quasi nulla. Nella mente un fuggi fuggi rapido di figure che corrono a nascondersi. Le gambe nude. Il pavimento illuminato. Le lame di luce che invadono la stanza. La foresta dei pugnali volanti.

Il discorso sul metodo della ricerca che sembra perdersi. La natura del pensiero. La fisiologia della vita mentale. L’idea francamente visionaria che forse c’è una norma che è anche salute. La statistica che vuol affermare le maggioranze. La caparbietà ombrosa di minorità invincibili. Il sogno. La riproposizione del risveglio. La ripetuta consegna al sonno senza disonore.

I giochi della lotta. La guerra nei campi che si decideva di smettere perché portava la noia. Troppo facile recitare la ferita mortale quando ‘lei’ è lì a due passi. Rantolare al suolo dire “…muoio…”  farlo sembrar vero. Troppo facile. Anche perché per l’imbarazzo di una educazione ‘lei’ resta imperturbabile sempre. Troppo facile e inutile, dunque, specialmente. Ma si recita la morte per toglierle la vita mentre col viso a terra si sperimenta la dolcezza del fango. L’orizzonte delle grandi pianure sarà per sempre nei fili d’erba a pochi centimetri dagli occhi. Si scoprirà che  recitare bene la morte è la vittoria.

Il metodo del gioco è uno studio adatto a sapere di una civiltà della forza. A sapere che è la forza che fa la ferita e che è l’odio che produce la lesione. Sapere che l’allegria permanente è la scienza che vince. Il metodo del gioco è uno studio necessario ad indagare la straordinaria spinta a uscire di casa. Il popolo dei dispersi migra rumorosamente. Si dipana nel vicolo la strada il centro del paese le piazze.

Le ginocchia le anche i femori elastici e gli sguardi esaminano attentamente le vicende delle curve. Fonderanno la scienza esatta dell’approssimazione. La scienza indispensabile per resistere agli stiramenti e alle contrazioni della distanza variabile tra i cuori e i pensieri degli altri da noi. Il primo amore è l’idea della differenza. La sua fine l’origine della curiosità.

Il sogno ha il metodo del gioco. Conta la ferita. Si ammala. Piange. Suggerisce muto. Si approfitta e scompare al buio al sorgere del sole. Il popolo dei dispersi di nuovo migra nelle figure dei sogni al risveglio ancora immobile. Alla piena dell’onda radiante. Le figure dei sogni un popolo numeroso che l’ ossessione di perfezione disperde subito.

Mi lasciai dire queste parole “ … ben trovato… di te non hai neanche tanto da gloriarti… ” nella foto tuttavia risulta che sorridevo forte.

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con o senza di te


Posted By on Nov 14, 2010

con o senza di te

– for children – domenica sulla tastiera

“Bartok, nel 1904, per caso ascolta un canto popolare, canto di una ragazza, una baby-sitter di una famiglia di Budapest, resta sbalordito di questo brano, lo trascrive…”
(migrazioni sonore – radiotre suite – 3 novembre 2010 – ultima puntata del ciclo di Giovanni Bellucci dedicato alla radici popolari nella musica colta – reperibile come podcast)

…ora trovo il gesto del pianista sui tasti di un piano verticale….il corpo assorto….attorno alle curve del suono…. fisso sul foglio una postura …. fisso per un lusso di utopia un attimo di  tempo… faccio leggera  la certezza, dico che è senza traccia il segno, affermo che nella mente il volume non pesa….

Domenica mattina sui tasti, col caffè e il pane abbrustolito a sinistra, tra il mio fianco sinistro e il vetro della finestra pochi metri più in là. Il caffè e il pane caldi frenano il gelo del vetro freddo. Mi proteggono. Ho l’impressione che gli esseri umani abbiano sempre, nell’angolo a sinistra sul tavolo delle loro colazioni mattutine, segno di umanità e poesia che c’è vicino a loro qualcuno che li ama, un caffè e una fetta di pane croccante di brace.

Segni di umanità e segni di poesia che c’è vicino a loro qualcuno che li ama. Segni di poesia e di umanità all’interno di loro: quando, al peggio della solitudine e dell’isolamento, resta in loro qualcuno che si ama. Ricreazione del sé per l’assenza e l’abbandono: può andare benissimo ! – dico a me stesso pigiando i tasti neri sulla tastiera, i diesis e bemolle, i semitoni che sono, talvolta,  toni poetici del pensiero.

“Bartok, nel 1904, per caso ascolta un canto popolare, canto di una ragazza…”
…ora trovo il gesto del pianista sui tasti di un piano verticale….nella mente il volume non pesa….

Domenica mattina sui tasti, col caffè e il pane abbrustolito: sono affezionato all’idea della brace. La brace riflette la preistoria delle grotte: quando posso immaginare ci fosse un grande traffico appassionato tra le immagini del mondo, il mondo conosciuto e le parole che ancora mancavano quasi del tutto. L’uomo, alle grotte, necessitava assolutamente del caffè caldo e del pane abbrustolito a proteggerlo. Necessitava assolutamente, per il momento, dell’evoluzione che avrebbe opposto, al freddo neutrale della natura atmosferica, il calore amoroso delle scoperte, il calore che dall’interno dell’uomo va contro la natura per renderla umana, tollerabile.

….il gesto del pianista sui tasti di un piano verticale… il calore che dall’interno dell’uomo va contro la natura per renderla umana, tollerabile. E allora bisogna opporsi alla creazione stupida ed indifferente di dio, al freddo e al rigore dell’eternità… opporsi alla creazione di un dio  senza anima , e che dunque è una creazione che viene da dio contro di noi,  contro la creatività imprevedibile del pensiero soggettivo della donna e dell’uomo.

Il vetro che non sa difendermi del tutto dal freddo ricrea l’idea dell’uomo nelle caverne con il fuoco ma, forse, senza la poesia.

Poi abbiamo opposto l’altra creazione. La creazione accaldata e trepidante del pensiero  senza coscienza. Abbiamo creato l’immagine del tempo con il lavoro : perchè il lavoro  modificava le cose fuori dell’uomo. Perchè evidentemente le cose create erano state create ottuse e fredde e per questo dovevano essere cambiate. Perchè la natura delle coe create ci avrebbe ucciso.

Abbiamo creato il tempo nel lavoro e misurato il tempo con l’idea di potenza che è la forza che dura.

Abbiamo creato il tempo nel lavoro e misurato il tempo con l’idea di potenza : l’idea di potenza che è l’idea felice di poter misurare le variazioni della forza agente sulla materia fisica: -via via che amavamo una persona ancora – nonostante la stanchezza.

Abbiamo creato il tempo come lavoro e misurato il tempo con l’idea di potenza : l’idea di potenza è  l’idea di una relazione: la relazione del lavoro con la durata del tempo necessario.

La relazione chiamata potenza – che è rapporto tra la forza ed ed il tempo – è misura.

La relazione chiamata potenza – che è rapporto tra la forza ed ed il tempo – è misura. E la misura, scientificamente, è poesia.

La relazione chiamata potenza – che è rapporto tra la forza ed ed il tempo – è misura: la misura, scientificamente, è poesia. La poesia è specificità  umana di mettere qualcosa -che si genera all’interno dell’uomo come pensiero-  fuori dell’uomo, nel mondo.

Il pensiero è sempre, nella sua natura che non è cosciente, qualità scientifica e poetica di sapere che, quello che non c’è nel manicomio esterno della creazione divina, può essere messo in essa come creazione dell’uomo.

Così penso nel profumo di caffè e pane abbrustolito che mi difendono dal freddo proveniente da sinistra,

Quello che non c’è nel manicomio esterno della creazione divina, può essere messo in essa attraverso il lavoro, la prassi umana.  Ma può essere messo in essa anche attraverso la parola, il suono, il segno, il linguaggio: le tracce dei sogni antichi delle grotte e dei fuochi.

Il linguaggio umano, segno trasparente della permanenza dei sogni, è evidenza della costanza della poesia, nell’immagine costituente la natura specifica della specie umana. Specifico umano che si aggiunse alla natura della biologia del corpo, quando subimmo una evoluzione, e sfuggimmo al manicomio della creazione divina che non capisce il volo leggero del pensiero.

L’dea che non è spirito neanche nell’attimo in cui, generata della fisiologia della biologia della materia cerebrale, seppure resti senza peso nè ombra, tuttavia non vola a dio : e invece realizza la traccia di una carezza, ricrea il ricordo e la certezza dell’esistenza di qualcuno che ci ami.

A questo portavano i pensieri generati dal contrasto tra il freddo del vetro e il calore del caffè e del pane caldo sul fuoco.

Il tempo minimo indispensabile è conoscenza: l’esatto sapere quanto debba durare il lavoro per ottenere la realizzazione completa della cosa da fare.

…è diverso se il pensiero è attività di tempo o attività nel tempo…

Abbiamo creato il tempo nell’invenzione che agisce sempre contronatura, poi ci siamo scambiati e regalati le fiaccole e i focolari. L’azione della forza sulla materia fisica, la potenza dell’uomo – dalla creazione delle idee invisibili nella mente – ha fatto casa fuoco città, tessitura colori arte, leggerezza equilibrio farmaco. Fino ad oggi.

Oggi comincia quando ci siamo costruiti l’autorizzazione alla poesia ….il tempo nel quale  si andava sospettando che fosse chiaramente evidente che potenza è diversa da violenza….

La poesia sono parole che descrivono gli intervalli e le fessure che la realtà del mondo non è riuscita più a sigillare. Hanno cominciato gli scienziati ad indagare, prima che fosse poesia. Avemmo bisogno di una scusa: per la bellezza che nella natura non c’era. Dovevamo esser perdonati all’origine dell’affronto, e la chiamammo scienza. La filosofia della natura fu il trampolino: ma non ebbe mai da subito e definitivamente, e neanche ebbe mai tutto, il profumo di caffè e di pane tostato.

Filosofia della natura ma non fu mai definitivamente – mai coraggiosamente – filosofia. Filosofia della natura che solo transitoriamente fu scienza.

Filosofia della natura, di fatto, è sempre stato prendere alla larga il dolore della assenza d’una scienza del pensiero.

Anche adesso poesia non è che questo: riproposizione d’un pensiero che,  non compreso, causa alla scienza e alla filosofia un dolore indicibile. Un dolore poetico, se l’ironia valesse per la dignità transitoria del dolore….

….le fessure stanno agli estremi.

…..la cosa, al centro, è compatta ma la sua compattezza è illusoria….

…..la cosa esterna inanimata ha al proprio interno, al proprio centro, la semeiotica dell’ottusità.

Dal vetro freddo mi protegge il calore del pane e del caffè. Dietro la barricata amorosa, posso creare idee che mancavano.

Agli estremi stanno l’assenza e l’ottusità. Siccome nel pensiero non c’è lo spazio poco importa se l’estremo ‘ottusità’ stia al centro della cosa. La poesia è questa composizione di permanenze sincrone, che riescono ad evitare gli estremi.  La poesia è questa composizione di permanenze sincrone che proprio non li comprende, gli estremi.

Questo non comprendere non è mancanza di chiarezza, è irreperibilità, nel pensiero, di una morale della coerenza. Il pensiero non riesce ad essere intransigente: è un luogo mentale non illegittimo semmai extragiurisdizionale. Fuori dalla giurisdizione delle coscienza, imperseguibile. Là l’estremità di una cosa può stare al centro. La filosofia della natura -chiamata fisica nella sua evoluzione poetica- d’altra parte, conosce benissimo il rischio e la fascinazione della verità dell’incoerenza delle cose.

La poesia è una creazione di gesti di pensiero che consentono di fare all’amore con l’impossibile altrimenti: l’immagine ha uno degli estremi nel nucleo denso della realtà materiale delle cose osservabili, e l’altro nella landa della macerazione romantica che è  oltre il limite, al di là del margine: etimologicamente sublime.

Nella figurazione cosciente, gli estremi, legittimamente, ci proiettano entrambi, coerentemente al loro nome, ai margini del foglio e della scenografia: in un limitare che è un oltre impossibile per la nostra sopravvivenza somatica. In un limitare che è  anche un logicamente impensabile che è l’impotenza della coscienza. Della coscienza senza pensiero.

Nell’immagine, invece, la necessità semantica e la nozione semeiotica danno, alla poesia e alla scienza, la libertà di dislocare un elemento del mondo al centro della realtà non materiale del pensiero. Diremo: al centro del fuoco che alimenta la ricerca: il fuoco dell’interesse.

Acqua scura di caffè caldo e fumante. Pane vaporoso, fatto degli amori incrociati d’acqua e fuoco  e farina: e grano abbrustolito.

Dove stanno il pane e il caffè scaldati, nel percorso tra l’uomo e il freddo?

….è domenica di nuovo… ed ha sempre il calore del pane e il profumo del caffè, della brace… del mio amore, del mio modo di rappresentarmi l’amore… l’amore comunque… con o senza di te.

Ma questa è un’altra storia!

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aglio e pietre rotolanti


Posted By on Ott 1, 2010

aglio e pietre rotolanti

il mio amore è come aglio

Profumano di lei le mie parole dopo che mi ha baciato

E  le mie mani sanno di lei se s’è lasciata accarezzare

Aglio è un buon nome per una ragazza che si ama.

Fa bene alla salute

portarselo con sè nel respiro e sulla punta delle dita.

Pietre rotolanti

le parole di chi s’innamora così.

Su di esse non può radicarsi erba e muffa.

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