stregoneria


retorica del paradiso


Posted By on Feb 6, 2011

retorica del paradiso

Veniva su una figurina di luce tutta da immaginare. Era ciò di cui non eravamo mai riusciti a parlare. Sebbene fosse proprio ciò di cui volevamo parlare. Fu ad un certo punto dell’amore ma non è una cosa retorica.

La probabilità è un foglio disegnato che avevo fissato alla trave del soffitto. In assenza di uno sciamano mi ero improvvisato, da me, d’essere me. Il rito è una prassi. L’arte è la rivoluzione elegante di rendersi incomprensibili.

Tanto il disegno dei due corpi abbracciati poteva non cadermi in testa -così fissato al soffitto- quanto era probabile che potessi farcela. Nel calcolo di quella probabilità c’era una certa retorica. Oltre alla sicurezza di una rivoluzione culturale.

La bellezza è i conti che tornano prima della fine. Il misticismo sono cinismo e disincanto. Vedessero te ! La bellezza dittatoriale – la figurina di luce tutta da immaginare! Avrebbero pudore della retorica dell’invenzione del paradiso.

La reazione della mente -che crea l’idea di dio, per il terrore della natura- è un riflesso. Il paradiso dantesco è letteratura di una negazione colossale. L’atto mentale di creazione di dio, non è propriamente ‘pensiero’.

Una figurina di luce tutta da immaginare, non è riflesso di niente. Non segue al terrore. Misura la dignità della difficoltà di pensare. Realizzare che la prassi deve essere distinta dalla prassi retorica. La distinzione sarà una rivoluzione culturale.

Bisogna fare il rito -la prassi- delle parole insieme. Restare ad un punto del meridiano di Greenwich. Nel passo che si ferma a ‘cantare’ la latitudine. Anche se c’è una retorica reazionaria del pensiero come riflesso al ‘nulla’,

Quando ti sei addormentata, all’altro capo del mondo, per me era già domani. Stanotte mi sono svegliato prima dell’alba. Ti ho pensata che stavi attraversando l’area scura del mondo. Ho deciso di dormire di nuovo, prima che fosse troppo presto.

Volevo evitare, sai, la retorica del paradiso.

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stregoneria


Posted By on Feb 4, 2011

stregoneria

Quella calma per capire senza restare -troppo a lungo- troppo separati. Troppo non va affatto bene per gli esseri umani. La vitalità -educatamente- si divora infinite variazioni minime. Bisogna ricreare il mare d’acqua, attraverso passioni molecolari. Lo sguardo una piscina. Le dita sulla spalla l’invenzione della stampa. Il sesso è stato la lettura dei fondi di caffè, sul piano di marmo. Mi applicai a studiare stregoneria, con una allegria diversa dal solito.

L’immagine per capire. Ridisegnando i marmi. Il pensiero è fatto di cartapesta e prende varie forme. Attrae le mani a mettervi mano. Il desiderio, che ci porta vicini, per entrare decisamente in rapporto. A farci irresponsabilmente carico di tutto, proprio tutto: tanto le parole sono di nebbia. Vanno respirate. Dentro agiscono sulla biologia. Generando -attraverso un’azione fisica- altra realtà non materiale. Ti amo, si dice.

Stregoneria: quale è la pressione appropriata di una mano sulla spalla? Studiavo  l’arte dei fondi di caffè -il pomeriggio. Alchimia: come evitare il vuoto – quando si scatena la magia  degli affetti che cambiano – togliendoci la certezza dell’eternità. Il tempo: noi dopo  ‘noi’. E ripetevo a memoria: “ Noi siamo l’Ultima Edizione dell’Oceano Pacifico – l’ Enciclopedia della Vitalità – il Libro Primo della Scienza delle Stimolazioni Molecolari.”  Ero bravo.

Traducevo la peste, il coraggio, i rifugi, le tuniche, i cappucci che coprono il viso. I passi svelti nelle strade, e il terrore degli inseguimenti. Meglio non trascurare niente, mi dicevo. Ma niente è più difficile da capire del legame -la relazione- tra materia e pensiero. E della relazione inversa, tra il pensiero e la materia. Quando il cuore accelera ‘solo’ perché la immagini svoltare l’angolo. Lì mi venne in mente.

Il pensiero -che mai è solo pensiero- è materia al confine. E’ pelle ,di vedetta alle frontiere, che vigila che niente cada in spirito mai. La materia -al confine- misura il mondo in spanne – disegna le passioni – dirige, sulla pelle, le sue dita – e, alla fine, – traduce nella nostra lingua il mito dell’ origine. Legge le tracce di quello che si muove: che sia altro, capitano, madre, seminatore, cipresso. O mangiatore di patate.

La punta dell’Himalaya ha la sua ragazza: è una nuvola di compagnia che scoraggia gli audaci. L’atomo ultimo di roccia, prima del cielo, è un matrimonio. Ci siamo spinti lassù per quello: fugare il sospetto dell’irrealtà. Il coraggio era nostro. Possiamo regalarlo alla neve. Se vogliamo. C’è una rinuncia anche al colmo della vittoria. La pazzia degli artisti.

Studiavo stregoneria, e le pressioni appropriate di una mano sulla spalla. Niente è più difficile da capire del legame -la relazione- tra materia e pensiero. E ora mi rendo conto, che il pensiero non è mai  solo pensiero: è materia al confine, l’ultimo atomo di roccia prima del cielo, quando la montagna si sposa. Studia le tracce di quello che si muove – la differenza tra l’uomo e l’ animale.

L’immagine per capire. Ridisegnando i marmi cercavo un argine alla peste:  “ l’agente eziologico della peste è un batterio – risiede in diversi serbatoi animali – roditori, insetti, uccelli, mammiferi – questi possono rappresentare potenziali fonti di contagio per l’uomo.” E uno solo basta ad ammalarne parecchi. Studiavo la peste, per scoprire le vie infinite di una provvidenza maligna.

Le dita e gli occhi scivolavano sulle parole scritte, le sensazioni tattile e visiva  dell’inchiostro e della carta stimolavano la corteccia cerebrale. Il confine della materia veniva ripercorso in molti sensi  precipitosamente. Fino a che, dal matrimonio rituale tra la nuvola e la montagna, si formò, nella mente, l’immagine della scienza medica.

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post-mondo


Posted By on Nov 10, 2010

post-mondo

Cominciava così il giorno
Io sono.. tu sei…
Graffiti su uno schermo. Ma i graffiti hanno una massa d’amore che  curva lo schermo a fare la parete sinistra della grotta. La pietra dolce della volta assorbe attraverso l’aria l’energia del fuoco. A metà della notte il fuoco si spegne, impotente a scaldarci oltre e l’aria cade in un buio quasi nero. Per metà della notte è la pietra che finisce di bruciare, rendendoci il calore del fuoco. Due amanti si sono alternati perché si possa arrivare col pensiero -la vita dell’essere umano- al mattino. Il pensiero -la vita di ogni essere umano-  ogni notte si svolge, prima, nella fiamma del fuoco, e poi, nel riflesso infrarosso che cade da un cielo di pietra.
Noi, qui, abbiamo subìto una evoluzione, quando abbiamo scoperto di saperci addormentare tra le fiamme sicure del fuoco e di saperci svegliare, come niente fosse, in un calore che seppure è invisibile, non ci spaventa. Per non essere più atterriti dall’invisibile abbiamo imparato, nel tempo, ad essere quello che siamo. Quello che siamo, abbiamo finito per capire, è quel tracciare le prime linee del sogno, al risveglio: che è lentissimo, qui….

Il risveglio, è lentissimo, qui.

Una delle cose più ardue, tra le cose invisibili, non è  il calore invisibile, che ci scalda provenendo dalle pietre. Una delle cose più ardue, che abbiamo dovuto risolvere per essere quello che siamo, è il problema del tempo. Il tempo è la più difficile tra le cose invisibili. Avevamo provato con l’idea di un dio, ma…. quello poneva il problema dell’eternità.  Per aver escluso l’ipotesi di un dio nell’affrontare il problema del tempo, per questo fatto  bisogna dire che abbiamo subìto una evoluzione. Per questa evoluzione che ci è capitato di subire, per quella lentezza del risveglio che c’è qui, noi siamo quello che siamo.

La lentezza che c’è qui al risveglio, la delicatezza del passaggio dal sogno al giorno ,che abbiamo realizzato come fenomeno della specie, ci fece realizzare l’idea -difficile – di  una qualità del tempo che nominammo permanenza. Nessuno ricorda più quando fu: non fu una cosa cosciente, evidentemente, neanche poteva esserlo.

Fatto sta: una volta realizzato il risveglio nella lentezza necessaria, dovemmo salvarcelo, quel risveglio. Così dovemmo distinguere la lentezza, dalla permanenza. E la permanenza dall’eternità. Per salvarci il risveglio. Ora, qui, tutti sanno che l’eternità è fredda. Che è fredda perché non ha il calore e l’energia dei corpi sognanti.

Tutti si sorridono e forse quello che ci fa uguali, umani diciamo noi, è quel sapere derivato da un salto evolutivo: sapere che il corpo sognante non realizza il concetto dell’eternità ,perché l’eternità non ha risveglio. Noi ci sorridiamo, come se tra noi fluisse la gioia della appartenenza ad una specie: che si è evoluta nel salto che compie il pensiero quando realizza che l’eternità è cosa della coscienza.

Come nei giorni di festa schioccano certi sorrisi e certe risate, qui sembrano accendersi pensieri folgoranti a dire “…nel sogno c’è solo la permanenza, perché se ci fosse l’eternità noi non potremmo svegliarci più e sarebbe la morte…”.

Noi è come se avessimo fondato le nostre città poi erette con pietre che tengono il fuoco, sul sapere che “….la qualità del tempo del sogno è la permanenza…”

Noi è come se avessimo fondato l’inaugurazione della specie su un’idea. L’idea che “ ….la vita dell’uomo nella sua permanenza al mondo trova l’attività misteriosa della biologia che sembra non arrestarsi mai…..”  e che allora forse “ ….il sogno che nasce dalla materia si porta con se le caratteristiche della materia ….

Noi è come se avessimo fondato l’inaugurazione della specie su una realtà invisibile come il calore che viene dalla pietra e viene a scaldarci per non morire. Ed è anche vero che il fuoco è una delle pietre su cui abbiamo fondato la nostra civiltà. Poi, però, bisogna aggiungere:

Noi è come se avessimo fondato l’inaugurazione della specie su un’altra realtà invisibile: il tempo. Il tempo tuttavia viene da dentro di noi e va fuori. “….  il tempo ha direzione inversa alla direzione del fuoco….” si dice qua. Il tempo si crea dentro di noi e poi va fuori di noi. Va, precisamente fuori di noi e verso l’altro cui chiediamo sempre, silenziosamente, il suo tempo. Il suo tempo per noi.

Noi è come se avessimo fondato l’inaugurazione della specie su una realtà invisibile ma sicura. che è che “…. quando il tempo, su cui noi abbiamo edificato la fondazione della nostra specie, esce da noi e va verso l’altro….” allora noi “…..nel chiedere all’altro il suo tempo gli chiediamo la vita: la sua propria vita…” Che è esattamente quello che noi chiediamo all’altro quando noi diciamo di amarlo.

Per noi, dunque, parlare di tempo è mettere insieme, rivendicare addirittura, cose diverse, lontane, impossibili, incoerenti: cose che tuttavia sono quello che noi siamo diventati, e dalle quali non potremmo, neanche volendo, più recedere.

Enumero le cose che siamo diventati: siamo diventati la fondazione della specie. Siamo diventati la fondazione dell’idea della appartenenza alla specie. Siamo diventati l’idea dell’appartenenza alla specie per il tempo della nostra vita intera. Siamo diventati l’idea della nostra vita intera. Siamo diventati la modestia fragile ed insostituibile di oggi. Siamo diventati la fragilità e l’insostituibilità di oggi.

Insieme a tutto questo siamo diventati la lentezza con la quale ci scambiamo -o ci scambiammo- i baci più belli. Siamo diventati i baci più belli e non siamo molto più che un bacio. Siamo certi al risveglio che simo diventati non molto di più di un certo bacio, l’unico, il più bello di tutti, che resterà sempre – resterà sempre per via della permanenza, che è la qualità del tempo del pensiero senza coscienza. Siamo diventati rivendicazione della permanenza dei sogni, e siamo diventati la permanenza del dolore per ciò che potremmo essere ,e non siamo, ancora.

Siamo diventati il sapere che la specie si fonda ogni mattina -per la permanenza di un’immagine di sogno- su quel preciso sogno. Siamo diventati persone che, lentamente, al risveglio lasciano scorrere milioni di figure che si alternano provenendo da dentro, in direzione opposta a quella del fuoco. Siamo diventati permanenza di un pensiero senza coscienza, che al risveglio diventa tempo. Siamo temporanee poesie che permangono solo se qualcuno ci dà in cambio il suo tempo, e col tempo, la vita. Siamo certi d’essere la vita per gli altri, e che loro anche sono la vita.

Ed il tempo è solo se viene ceduto. Chi tra noi non scambia con gli altri il suo tempo, si sveglia di botto ed è triste. Per intere giornate. Dicevamo che “… il risveglio è lentissimo, qui….” che “…ci siamo evoluti….” e ci mettiamo un sacco di tempo a lasciar scivolare il sogno nella coscienza, per non farla impazzire, la coscienza.

Io sono è la certezza della permanenza di noi che, fondendosi alla pretesa di eternità della coscienza, realizza la lentezza. Qui tutti, ogni mattina, hanno la conferma che: 1) la permanenza è la dimensione del tempo del sogno e che 2) la lentezza è la dimensione del tempo quando la coscienza e il sogno si sono fusi felicemente e che 3) l’eternità è irrealtà malata del pensiero religioso.

Il sogno è quasi fermo: ha la lentezza della permanenza dello stato vitale della biologia. Il sogno è immagine della permanenza della biologia, della inesorabilità della fisiologia (biologia intelligente) che realizza la condizione di omeostasi, per far durare da notte a mattina il sonno ed il sogno. Si distende lentissimo, il filo del sogno, da ieri notte a stamani, e si piega agli estremi  e disegna il sorriso. La bocca pronuncia ” io sono…tu sei… ”

Noi siamo.

Il terrore del buio se ne è andato per una persuasione. Me mi ha persuaso il pensiero che il giorno io ancora ti amo. Il pensiero che il giorno io ancora ti amo mi ha tolto la morte dal cuore. Se il giorno sono ancora capace di ‘te’. Se tu nel risveglio sei ancora capace di ‘me’ e di quello che ‘amiamo’. Allora noi siamo. Una storia. La piccola storia d’amore di sempre,  che permane da sempre, tornava, stamani, nel buio illuminato da lettere chiare sullo schermo privato del mondo, a curvare la parete che spande il calore sul giorno.

Il sogno dice “… la persuasione dell’esser capaci io di te e tu di me. Ed esser capaci, tu ed io, del rosso del fuoco. Io sono e tu sei….”

Cominciava così stamattina la mia descrizione del (post-)mondo.

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