Posts Tagged "amore"


Un amore nasce da una sola risposte tra milioni di altre risposte altrettanto verosimili. Un papavero scelto quasi a caso di un rosso identico: ma unico nella mano al cuore. È un certificato di grazia l’amore. Un biglietto di impegni privati. Una antica cambiale grande e bianca come un lenzuolo per una notte. L’orlo della diffrazione. Quando ti guardo che sviluppi aloni arcobaleno al tuo profilo. Ho sottoscritto con la firma il testo. La sinistra teneva fermo il foglio. La destra volava spargendo ceralacca. Come la lettera di un papa a un imperatore. Rapidi vengono i segni del nome. Con lo slancio delle diplomazie del desiderio. Che torna con te. Bella ugualmente a tantissime donne. Unica accanto. Sul sedile destro dell’utilitaria. Che corre per i campi oggi che il lavoro mi ha lasciato la mano. Come una vacanza dalla quaresima quotidiana.


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Devo arrivare ai passi sulle pietre del centro storico alle scarpe al suono rotondo dei miei passi sotto i quali ondeggia appesa con un un filo l’ombra lunga di me più lunga di me alle otto del mattino del primo inverno gelata nervosa blu scuro sul grigio del materiale di cava rettangoli grandi accostati quasi alla perfezione e il ‘quasi’ che erano rette parallele e perpendicolari utili, sorridevo, per geometria e grammatica. Avverbi e assiomi. Infiniti pensieri si svolgevano e continua ancora questo eterno amore di non trascurare il trascurabile farci i conti servirsene quasi come (…di nuovo!) una occasione di vivere ulteriormente più intensamente il grigio dell’alba l’altro più scuro della strada il nero delle linee di accostamento delle pietre uguale al colore dell’ombra l’infinita gradazione tra cielo e terra entro la quale mi trovavo a camminare sapendo che non sarebbe mai venuto meno il mondo d’aria luce e materia in piani linee e arpeggi che facevano il viaggio della specie umana come io definisco da allora la città le persone che incontro con la voglia di riuscire a fare la loro conoscenza cosa che so che deve essere eseguita accuratamente variando di poco gli angoli dello sguardo secondo le espressioni altrui. Distogliendo lo sguardo dalla geometria del piano stradale mi incantavo sui segmenti dei percorsi di ciascuno su come quegli occhi esplorano l’aria invisibile che è in realtà solo trasparente e sfiorano avvolgono infrangono qualche volta l’area semicircolare del campo visivo degli altri poi sempre più intensamente il volume delle aspettative di tutti che vedevo bene annusando perché tutti portavano con loro la propria intimità ben evidente a quell’ora come un profumo. Il cerchio la retta le figure solide costituenti la vita societaria del risveglio di una cittadina si scioglievano nel solido complesso del pensiero non figurativo in merito alle psicologie alle norme e alla loro validazione e agli usi e costumi a come era evidente essere quei costumi il modo di usare forme e colori nel comportamento appreso ma speciale (differente) in ciascuno: un balenare di mani e sguardi, un disegnare in aria espressioni di approvazione o rimprovero, nel che lasciavano irrimediabilmente trapelare dall’interno di ognuno loro, le pretese, le attitudini, le volontà di sottomissione o di comando.

Nell’aria trasparente del mattino erano, gli altri, meno distanti. Nel mistero del tepore che si portavano addosso erano ai miei occhi più facilmente conoscibili perché mi appassionavo alle differenti rapidità e maestria con le quali traevsno i fazzoletti candidi dalle tasche o riponevano gli spiccioli lucenti prima tra le dita e il palmo, poi nei borselli di pelle scura. E io mi vedo che mi mettevo già allora a rischiar di sapere, mi mettevo a fidarmi di sapere, mi arrischiavo a esser in confidenza con me stesso, ad essere certo di aver capito. Sebbene avessi avuto subito chiarezza ed apprensione per tali presunzioni e precocità che però coccolavo dato che mi facevano più felicemente procedere. Mi consolavo: “…è un animo poetico ….” pensavo “…se anche stamani la strada tra la casa e la scuola è viva e bella come un geranio fuori stagione!”

Ma invece camminando lungo un percorso di circa settecento metri tra casa e scuola sviluppavo una mentalità in cui era naturale e desiderabile la costanza dell’apprendimento, la lotta continua alla conquista delle competenze: che è bella sulle lastre di cava del pavimento stradale (come fossi stato in un fortino verde e arancio in mezzo ai campi) … e meno naturale nelle aule ma mi parve sempre inevitabile a farmi sentire via via più adatto ad amori assolutamente in arrivo che avrebbero seguito l’ultimo. E il primo degli ultimi fu il primo e fu dolorosissimo e dopo ecco il tempo vero dove posi il lusso del per sempre per camminare libero senza posa.

La comprensione di ciò che non potevo sapere fondava il futuro.

Poi lessi che alla nascita il ragazzino ha la certezza dell’esistenza del seno e leggendo sentii il profumo dell’autore che spiegava: che si in effetti si rendeva conto quanto sarebbe stato difficile capirlo logicamente perché nessuno dovrebbe poter essere certo di qualcosa di cui non ha avuto esperienza. Rilessi in altro modo la parola ‘immagine’ e ebbi chiaro che immaginare è avere la certezza dell’oggetto ed è differente dal sapere di qualcosa per averla appresa. La capacità di immaginare è una disposizione a sviluppare certezze irragionevoli, presunzioni, disobbedienza. 

Il discorso si sarebbe fatto poi ampio come un seno di fantesche o di odalische al balcone.

Dunque mi imbattei in quella trattazione ardua su una capacità cui nessun essere umano sfugge nascendo che sta alla base dell’unica teoria della nascita degli esseri umani che abbiamo a disposizione.  Da quella premessa originò una necessità di cercare se sarei stato in grado di volgermi verso una cultura antropologica e una prassi clinica assolutamente nuove.

Ma il fatto notevole ai miei sensi è che accadde che la teoria della nascita mi parve subito ‘elementare’ quindi indispensabile: forse fu come l’immediata aderenza alla proposizione di studiare che mi capitò naturalmente nelle aule grandi della scuola. E leggendo le pagine del libro che conteneva gli Elementi delle Basi Teoriche della nascita umana forse sentivo il primo inverno i giorni alle otto di mattina le figure geometriche e le dolcezze del primo bacio e avevo in cuore il ricordo dei miei passi di tanto tempo prima tra casa e scuola, quando l’inverno nasceva con il mite rigore delle regole elementari da imparare per, mi riempivo di gioia nel comprenderlo benissimo, rendere accessibili i pensieri. 

Non è tutto: i pensieri furono coltivati da maestri in buon umore quitidiano dato che i vivi, allora, sapevano di essere sfuggiti alle stragi della guerra. Della guerra restavano invisibili nell’aria trasparente del mattino granelli di polvere di macerie sangue di stragi di distruzioni e poi goccioline dell’acqua che aveva lavato via tutto rendendo il mondo di nuovo abitabile col lavoro della generazione dei nostri genitori. Un lavoro che avevano svolto cantando quando non sospettavano di noi perché erano ancora ragazzi mentre lavoravano a rifare il mondo per noi. Avendo certezza di noi seppure non ne avessero il sospetto

Ho respirato con l’aria di allora grani di guerra di salvezza di macerie di giovinezza di guerre ricostruzioni e buon umore e mi tennero in una trasparente allegra certezza senza ragioni. Ma le ragioni ci sono e stavano nell’aria trasparente nei granelli di polvere e nelle goccioline d’acqua. Solo dopo, ma grazie a quanto primitivamente ero diventato respirando l’aria del mattino, mi fu possibile capire la teoria, l’aria nuova, i suoi costituenti invisibili l’acqua e i granelli di terra diffusi tra le parole appassionate. Tornai su me stesso come un nomade del deserto: ma appena più in là della prima nascita, e mi fu possibile quanto era indispensabile a non lasciar morire, tutto quanto fatto fino a lì, nell’ignoranza pigra insomma nell’ottusità di molti accanto a me: potei imparare la scienza che misurava con sicurezza la fortuna che mi era capitata.

Ho avuto la sorte di essere nato due volte in una ripetizione che non è semplicemente una somma.

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un giovane adepto


Posted By on Ago 20, 2015

La scelta dell’assoluto rientra nelle proposizioni da opporre alla faciloneria della ‘certezza’. Non riguarda credenze ma esercizi. L’esercitarsi del dolore cogente. Il pensare muscolare di contrazioni e rilassamenti. Esercitarsi di piccoli costanti lavori di tutti i giorni. Sciogliere tensioni da tensioni superiori. Infrangere la gerarchia del dolore che ha sempre una causa ‘superiore’ per dire ‘precedente’. Poiché precedente è assolutamente e ironicamente non evitato, già accaduto, esso è il potere causale assoluto. È assoluto proprio perché in quanto ‘causa’ è sciolto da ogni altro legame, da ogni altra condizione di poter essere anche altro. Proprio il legame causale libera definitivamente(*) ogni gesto dalla unica sua possibilità duplice ma non scambiabile: d’essere causato e di non poter essere che causa.

Di fronte all’assoluto dell’ordine causale dei singoli atti non so porre che l’assoluto dei mistici, di quelli in fuga, del massimo di divinità del singolo: l’esercizio della sua continua necessità di fare scelte aleatorie, dalle conseguenze imprevedibili. Noi siamo cause di non si sa che cosa.

Forse potrò dormire se immagino di poter sognare, di fronte alle macchine arse e rumorose di una cava di sabbia, il nuotare pigro dell’oca grassa, mobile e fluente sull’olio azzurro di un mio mare alla foce.

Dotato di capacità di dubitare ora sono certo, di per me e non oltre, di non poter orientare le cose come voglio. Questo nuovo ‘assoluto’ mi consegna alla relazione non per rassicurarmi ma per restare in vista degli ulteriori sviluppi. L’amore tiene duro: resta accanto all’incertezza.

A volte mi pare di essere il monaco giovane che, alla base della colonna, prepara il pane l’acqua e il sale da mandar su una volta al giorno all’altro: l’uomo/nuvola. L’uomo/pioggia. L’uomo/lampo: o tempesta o raggio o aria. L’uomo che vuol essere, vanamente, ininfluente. Sciolto lassù lontano da legami attrattivi e causali esso, visto da qui mostra una illusoria leggerezza gravitazionale: per il fatto di aver istituito questo mio essere un umile servitore del suo aereo sforzo verso l’imponderabile della distrazione dal mondo, mi si svela tanto più pesante : uno che deve imporre ulteriori regole (seppur opposte alle precedenti) per mantenere quella sua innegabile autonomia.

Giovane adepto, solitario a mia volta e forse senza averlo neanche scelto, alla radice della colonna dello stilita o alle porte del deserto degli eremiti, scopro dell’amore la assoluta contingenza. La somma di modi indispensabili a realizzare e mantenere quella specifica unicità.

L’occidente perirà per non saper produrre più assoluto? Chi lo sa. Di certo, sia per durare che dopo esser quasi tutti periti, ognuno dovrà di nuovo stabilire quanto pane, quanto sale, quanto poco di quasi tutto mettere insieme pur senza sapere prima se le provviste per l’amore su in alto siano (fossero state) quelle appropriate.

Sulla cima della colonna siede chi non riesco a distinguere: ricordo un volto e due occhi felici di ragazza. Mando su quello che mi pare di ricordare lei amasse. Forse però è quanto io penso che potrebbe ancora amare. Mando su anche altro forse: qualcosa per lei come è diventata in me. È silenziosa. Niente torna mai indietro.

Dunque tutto ciò che mando è giusto?

O, salendo in alto, la realtà materiale delle cose, che con iniziale amore io confeziono, diventa (trasformandosi in altro) la realtà fisica dei pensieri alla base delle mie intenzioni, e tanto basta a lei lassù per essere felice di questi nostri traffici tra terra e medio cielo?

È questa permanente trasformazione, come unica possibilità di far durare l’amore nel tempo e nella distanza, l’assoluto di uno sbocco che mi è parso di trovare?

È comunque questo, in me, l’oca perfetta che scivola soll’olio azzurro della foce e inghiotte il rumore del pensiero (altrimenti ossessivo) e del comportamento (altrimenti compulsivo). Pensiero e comportamento ossessivo/compulsivo frequenti di questi tempi sono, a mio avviso, segni manifesti dell’incapacità dei singoli di produrre il proprio specifico ‘assoluto d’amore‘.

Questa incapacità di assoluto -indispensabile all’aleatorietà delle scelte affettive di una certa durata- costringe, in assenza di scelte, alla reazione di indagare la realtà con attività di amori/sonda: transitori e precari, sicuri solo perché fantasticati impossibili, destinati al quasi niente di tempo sensibile corrispondente ad una grave miopia immaginativa.

Questi amori sono poco variabili anzi spesso rigidi e normativi. Sono atterriti, spaventati sul nascere dalla genetica delle loro premesse di dover rassicurare. Compaiono nelle cronache giornalistiche dei delitti quotidiani (ma di più nell’ideologia dell’amore di molti) a motivi, cause inevitabili (assolute in tal senso) e infine come legittimazioni per l’illegalità del controllo, della coercizione e della distruzione della vita degli altri che ‘si pretende’ di amare

(*)assoluto ha come etimologia l’essere ab-soluto, cioè sciolto da. Al suo grado assoluto sarebbe sciolto da TUTTO. Assoluto è il massimo grado di…. Ma si può aggiungere quel che si vuole. E allora c’è assoluto e assoluto. Ce ne sono diversi. Forse qui l’ossessivo si arresta. Proprio là dove altri iniziano a sentire il gusto di un movimento da compiere. 

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ultimo l’amore


Posted By on Dic 3, 2014

IL SEME, IL LAVORO, LA PRESENZA. ULTIMO L'AMORE"

“IL SEME, IL LAVORO, LA PRESENZA. ULTIMO L’AMORE”

Spaventapasseri vestiti di rosso. Le frecce d’oro. Ho sufficienti ricordi per figurarmi un futuro. Non solo “seme braccia e presenza”(*). Anche l’amore, per ultimo. L’amore ultimo come il corvo che volteggia a distrarre il soldato e allora… ” …pam !!! ” un solo colpo. Un colpo impeccabile . Questo è stato. Poi a battaglia finita i moschetti diventano attaccapanni. Così costruii l’intelaiatura per stendere il colore al sole. Le frecce d’oro hanno colpito. Il rosso si è lasciato trapassare. L’ombra era già al suolo ed è restata immobile. “Cecità d’ombra non possiamo patirne”(**). Ora cogliamo le spighe da terra. Mietitura. Il grano è cresciuto dal cielo secondo la rivelazione della profezia. “Basta che una cosa sia in noi in noi ben viva ed essa si rappresenta da sé per virtù spontanea della sua stessa vita….”(**)

note: (*) in “L’uomo seme” – Violette Ailhaud – edizioni Playground.
(**) in “I giganti della montagna” – Luigi Pirandello.

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Tutte queste sono riflessioni durante la lettura di “PHI. Un viaggio dal cervello all’anima” di Giulio Tononi, Codice Edizioni. 2014. Un poco ho rubato è un poco ho messo di mio. Se si volesse misurare l’entità del furto bisognerà esplorare il museo delle parole pagando il biglietto di entrata, il prezzo del volumetto.)

Articolo numero uno. Lo intitolerei “Eloisa, Abelardo, l’amore, il perdono impossibile, e ancora l’eterno amare.” Il cervello è una democrazia. Che l’amore sconvolge. La norma estetica è una brutta abitudine e si deve spingersi avanti verso l’amore imperdonabile che non esalta il piacere delle prevedibili descrizioni del mondo interiore degli amanti. Cercando si trova qualcosa dopo la poetica dell’ovvietà. Eccoti quanto resta dei sogni di due giorni. Ho la buona coscienza di aver studiato legato al gusto successivo (incolpevole) di ulteriori promesse venute su dalla conoscenza acquisita sul libro. Conoscenza che sempre contiene, per sua natura, non la definitiva realizzazione ma una nuova curiosità. Eloisa scrive sulle pareti della propria vita vigile le parole dettate dalla giovane intelligentissima scimmietta che essa fu da subito e che poi per sempre la lasciò libera di tenere con sé la bambina che era quando interamente e senza alcun dubbio si donò (se non è troppo ingiusto dire così) al suo primo precocissimo amante. Eloisa scrive così:

“Tra tutti i peccati il nostro era il più dolce. Credo che potrei perdonarti ma non lo farò poiché il perdono redime l’anima ma condanna l’amore.” (Il disegno dovrebbe essere una mano che traccia le parole su un muro.)

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