Posts Tagged "conoscenza"


al centro dei pensieri nuovi


Posted By on Nov 5, 2012

“Non c’è dubbio che, un tempo, il sogno del risveglio non dovesse essere diventato già ‘ricordo cosciente’ e che invece fosse consistito  nel deporre e nascondere, tra le foglie e i rami del bosco di bambù, la preziosa diversità degli esseri umani.”(Bambù, 29 ottobre 2012)

Ora, oggi, dopo che sono trascorsi ventisette anni da un lunedi di ottobre del 1985, rifletto che gli anni sono tre volte il numero nove, come tre gravidanze di lunga durata. Qualunque articolo vada a prendere troverò sempre una buona ragione per questa durata.

Troverò anche il perché oggi mio amore non saremo qua. Per la tristezza che non dicevi più a causa della tua impotenza a essere brava, ad essere regina. E’ stato veloce il processo della scoperta che non t’amavo più perché non eri più diventata migliore avendo cessato di crescere.

In tutti questi anni il nemico è sempre stato la tristezza, l’usura degli affetti, l’attacco alla vitalità che è l’arma dei terroristi. Però devo dire subito che si era sottovalutato che tenevo la bambina di pochi giorni nella culla di suoni bassi. Un oooohhhh lento e fluttuante a sfidare i canti gregoriani che ascolto.

Canto di “deporre e nascondere, tra le foglie e i rami del bosco di bambù, la preziosa diversità..” e la voce del suono basso continua come fossi un ebete ad un crocicchio, come giocassi con la maschera di Edipo come sempre e piangessi cieco dopo la scoperta dell’incesto.

Ma “..la parola ‘storia’ si frammenta nei tratti della sua forma scritta, e con quei tratti ricade sulla testa di uomini e donne alle finestre…” Sono libero dopo un isolamento di trenta anni. Posso scrivere e disegnare senza pretese. Ricordare:

“Dovrai essere bravo, poi ti odieranno.” “Sarò più bravo.” “Sarà peggio, faranno l’annullamento. Ma di fatto per adesso non si vede come possa essere differente.” Sorrisi per l’amore dell’onestà che arrivava traversando due metri di lontananza della sua bella bocca dal mio orecchio.

Ieri dicevo che “..la vita del pensiero è una deriva.” E per fortuna che certe cose erano chiare, perché da bambù che era il 29 ottobre alla 11.48 fino a questo pomeriggio ho poi dovuto scrivere della ferocia del morso e della morte.

L’idea consolante che si poteva stare ad ammirare l’arte era sbagliata. Infatti avevo subito sostituito a capo dell’articolo la dama dell’ermellino con le mie lettere sghembe. Ogni lettera un grande senso di solitudine. La parola  ferocia è la conoscenza degli affetti  che si oppone alla rabbia e alla morte.

Forse qualcuno avrà ‘capito’. “La visione del sogno è un azione densa immediata e tumultuosa che soffia sul fuoco del risveglio. I rametti della prima luce crepitano e il proprio nome è ricomparsa, che non trae origine né dal ricordo né dall’esame di realtà.”

Ripeto solamente. Ricreo il suono della nascita della voce della madre che forse trovò le note profonde cantando o gridando “Figlio mio così bello perché non riesco a capire nulla di te..?” Allora forse fui io che ne trassi alcune da un colpo di tosse di quando si ammalava per il freddo.

Bambù: “A volte quando si viene cancellati dall’orizzonte ci facciamo piccini e striminziti come una linea sul foglio. La potenza del pensiero che sa dell’annullamento non più sempre onnipotente è una nuvola sostenuta dall’aria incolore.”

Non viene la disperazione e la voglia di sparire. La teoria della nascita per la stimolazione luminosa della corteccia cerebrale ha il sorriso della scienza. Non mi spaventa più la malinconia misteriosa che ha portato gli esseri umani a confidare agli alberi e al cielo la propria disperazione.

Disegno la natura senza la figura umana, e i corvi di Van Gogh fuggono via dal campo. Per dire che so che potrei come niente essere cancellato dall’amore degli altri disegno una costa un cielo una nuvola. Disegno l’assenza della figura di una persona e cioè la creatività del pensiero contro l’abbandono.

Nella stanza mi sono messo a gemere come se stessi addormentando la bambina di pochi mesi. Come se ogni tanto ci fosse la necessità assoluta di stare da solo per non lasciar distruggere, nel rapporto, gli affetti che faranno si che possa essere felice.

Gli affetti si possono conoscere.

Read More

metodi per la conoscenza


Posted By on Apr 16, 2012

L’interesse dello scrutare per trovare è sensibilità che non ‘agisce’ verso l’esterno. Il flusso sensoriale che ci colpisce viene integrato nella coscienza delle percezioni. La coscienza non coglie la frammentarietà del processo percettivo dal quale deriva le proprie limitate possibilità. Per questo ogni fase del processo di indagine scientifica, (e la vita stessa, a garanzia della  propria prosecuzione) deve essere metodologicamente interrotta dalla sospensione del rapporto di controllo della coscienza sulla realtà: attraverso lo stato di sonno. Il sonno è lo stimolo massimale indispensabile alla sanità del pensiero, perché adesso si sa che il sonno e il pensiero si attuano quando, e soltanto se, si riesce a realizzare una assenza senza angoscia del nulla. La perdita del controllo cosciente sulla realtà deve poter essere  sostituita dalla percezione dell’assenza degli ‘oggetti’, attraverso la formazione di immagini. Pensieri non secondari alla percezione cosciente del mondo. Addormentarsi e svegliarsi sono i punti cardine della dialettica vitalità/annullamento che è la raffigurazione della fisiologia a fondamento del pensiero umano. Essendo una attività della biologia cerebrale non è cosciente. E’ stata nominata (=scoperta) Fantasia di Sparizione nel 1972. La si può attualmente leggere in lingua tedesca in ” Todestrieb und Erkentniss “ per confrontarsi con ulteriori possibilità generative della formulazione teorica in una lingua (un suono) differenti. La traduzione è la realizzazione del metodo contro l’indifferenza implicito nella scoperta medesima. Dopo quaranta anni non è più sufficiente la lotta contro l’assenza. E’ indispensabile verificare la propria capacità (o impotenza) di creazione di immagini.

[banner size=”468X60″ type=”images” corners=”rc:0″]

Read More

primavera della scienza


Posted By on Mar 21, 2012

Niente da raccontare mai. Una ossessione alla marginalità dove c’è tutto. Stringo nella mano i “FONDAMENTI” che sono diventati una pagina di panna di OPERAPRIMA che contiene un rettangolo azzurro che contiene un raggio conico che colpisce attraverso l’iride il fondo retinico della sezione di un bulbo oculare stilizzato a sufficienza il tutto idealmente sostenuto da tre righe di scritto due orizzontali tra loro parallele una verticale a precipizio tra le altre due. È una serie di graffiti sulla pergamena di un progetto e sulla carta di un percorso di uscita dalla attualità della cultura della scienza. Non so a cosa dare maggiore importanza. Ho capito che molto è il pensiero contro intuitivo. Non che sappia attivarlo a volontà. Comunque quando capita si sta meglio. E guardo cercando la postura dell’incantamento. Dopo le ore di rotazioni sufi con il baricentro delle figure al vertice di un cono che tocca il fondo della pentola nera della retina cui la luce arriva traversando gli strati superficiali e le camere dell’occhio vedo (immagino) che le due espressioni di ossessione e di meraviglia, di ricerca distratta e di marginalità ascetica, si sono trovate nello stesso punto del pensiero che non so se è un luogo o un momento.

Perché un luogo del pensiero può confondersi con un istante ma siccome penso che sia dentro -attenuato nel buio- forse allora è un luogo. Resta però un luogo nel quale si ha l’evento della biologia che si è generato da un seme caduto dalle grinfie di un’aquila sepolto negli strati del tappeto di cellule che scaldano la vallata del Purgatorio al fondo dell’occhio. Allora là quando si genera un evento c’è un tempo anche. E corro sulla cordigliera dell’altipiano. E correndo penso alle strane configurazioni mentali dantesche di colline e voragini prima della fine: la visione dell’amore che è la trascendenza che tutto muove(*) ancora. E corro mentre non potrò più tornare al centro di una visione asimmetrica ed eccentrica di un mondo complesso perché si è appurato che non esiste un centro. Non c’è un centro nello spazio e allora forse può non essere esistito mai. Mai avuto amori trascendenti e forse la carnalità può avermi allontanato anche se peccaminosamente dalle adorazioni. L’amore però era un vizio primaverile sempre necessario per allinearmi ad approssimazioni sempre troppo svalutate. La passione per i confini. Per lo strabismo venereo. Lo sguardo virale dei progenitori che scolpivano ampie figure diciamo di donna (ma certo non è questo il suono corrispondente all’idea che guidava la rappresentazione della scultura). Donna come dire quanto è indispensabile a rendere grazia all’oscurità che consente l’arte. All’apprezzamento dell’ombra legata alla figura. La nebbia del desiderio che altera la percezione.

Non capisco cosa trovi in lei…

Con te nella mano andavo sbilanciato in felice difformità. Corse di postini sulle Cordigliere Andine la morte era scritta lettera per lettera su ciascuna delle cinque foglie di coca la pianta officinale il cardiotonico da ruminare pazientemente per non morire ai duemila metri sul mare. L’altezza non misurabile ad occhio nudo esprime bene la vertigine di una difformità che era appena tollerabile dopo il bagno di irreale aspirazione alle perfezioni imposte con la lettura dei testi dei classici. Nei quali alla fine il sapere era saper ripetere con contegnosa dizione il disprezzo dell’obbedienza.

C’era una volta la ricerca che adesso rischia di scadere in una scuola. Nasce nella mente il sospetto di una placida pinguedine. La vita di ora ossessione alla marginalità e alla decenza dell’onestà. Non comparve scritta la parola ricchezza nel punto dove arriva l’ago appuntito apice del cono di luce al centro della retina. Cinque lettere sono nella parola morte. E amore. Conoscenza sono dieci lettere. MORTE… ISTINTO…. CONOSCENZA. Dosi di un farmaco in foglie. Cinque…. sette…. dieci. Un’andatura sostenuta con rimedi naturali da trenta anni. A differenti latitudine ed altitudine sarebbe mortale.

Dentro questi trenta anni, al contrario, sarebbe stato fatale correre senza le piante officinali con qualità di cardiotonici che accentuano le aspirazioni e fondano le idee. Nella pagina chiara intitolata “fondamenti” di OPERAPRIMA leggo: TODESTRIEB UND ERKENNTNIS. Dieci… tre… dieci. Nella traduzione il ritmo cardiaco cambia. Un cuore differente, penso. Istinto di morte è diventata  unica parola. Non è solo una questione di suono. Chissà se è diversa l’immagine?

Guardando meglio, spargendo il cono di luce originato -stavolta- dalla potenza immaginativa a partire dalla vita psichica, sulla pagina…. si notano altre due parole. Una in alto, molto grande: FAGIOLI. Un’altra vicina alla linea di base: STROEMFELD. Sono suoni isolati. Differenti. Non hanno una specificazione che li leghi a niente altro. Si può soltanto immaginare…..

(*) amor che muove il sole e l’altre stelle … 

[banner]

Read More

[banner network=”altervista” size=”468X60″ align=”aligncenter” border=”2E2E2E” background=”2E2E2E” text=”F5F5F5″]

Ascoltavo il canto esasperante e ipnotico di Olimpia (Natalie Dessay) nella opera lirica “Il conte di Hoffmann”, in specie “Les Oiseaux Dans La Charmille”.

Adesso a chi lo dico quello che nasce dopo la caffeina? Milligrammi dispersi nella massa fisica di gambe, braccia, e cuore, piedi, viso, capelli, dita sensibili. Sotto il sole. Al bar. Ti penso. Vi penso. Mancate. E’ non cosciente il pensiero che mancate. Non c’è mai, che mancate, come una cosa della mente. Ci sono dita, piedi, visioni della campagna che rinasce spunta e fa agguati dal basso perché profuma. Non c’è nel pensiero la figura della vostra assenza. E’ tutta una fantasia di altro anche il pensare dopo la vostra partenza. E’ tutto un dolce ‘non sembrare’. Tutto restare qua essendo belli, attenti, precisi e appassionati. E’ stare al sole, nei campi e sul mare, e nelle strade (qui è tutto così vicino e concentrato). Tutto un sacrificare alla vita. Questa religione erotica che disegna le ginocchia per restare saldi qua. Non c’è nella mente il pensiero cosciente che non ci siete da mesi. C’è l’aria intorno. La libertà c’è come sempre dopo gli abbracci di addio: la libertà dopo gli addii c’é come aria. L’aria dopo la separazione mi ha avvolto, e l’idea della nascita umana, quando lo stimolo della luce sulla retina consente di chiudere gli occhi e di fare il buio senza fare il nulla, ora mi permette di evitare la confusione. E essere certo che questa assenza che diventa aria e non ha forma di pensiero cosciente non è disamore ed assomiglia di più ad una identità delicata e distratta.

Ciao, stai bene, sii felice fosse possibile, non stare a pensare a me, sappiamo quanto è importante il modo di mettere un piede davanti all’altro per il mondo, non distrarti alla vetrina della nostalgia, io farò la stessa cosa, prenderò il caffè alla stessa tua ora del giorno, per stare comodo proprio sulla mancanza di te, come fosse una seggiola in vimini bruni e grigi, nella piazza sui pavimenti di pietra grigia e bruna, e saremo riflessi di colori alternati, lo spettro ognuno della materia della luce e del pensiero dell’altro, nei luoghi così simili tra di loro, ma senza che dalla fisica delle piazze -nelle quali ci troveremo- e senza che dalla natura del colore delle pareti delle case delle tue amanti e dei miei fedeli amici, si possa minimamente desumere niente delle immagini pensate, abbracciami ancora: ciao!”

Studiamo il nero con passione. Studiamo per raggiungere la passione per l’indifferenza, che è necessaria a tollerare le offese, fino a che non si riconosce la donna più bella di tutte per andarci insieme in queste campagne tra il mare e la città e nelle campagne del cuore d’Europa che è tutto un fiorire di eliche che una volta sarebbero parse il sogno di in pazzo. Come dire che la distanza è un elica nel buio, l’immagine dell’assenza nell’oscurità della sostanza cerebrale al centro delle nostre teste. Un’elica incardinata al terreno, che non vola. Come dire che il pensiero che non ci siete non è coscienza. Che però quel pensiero ci trasforma in eliche di un aeroplano tenute da blocchi di cemento bianco, che fanno girare vorticosamente i sogni e le parole. Che noi, per amore di un amore che non è più qui, facciamo volare il cielo avvitandolo nelle spire dell’elica per spingerlo via dietro di noi. Che noi, con la vostra assenza, ci costruiamo il vento e il nero. Ci facciamo la sapienza che l’assenza non è il vuoto e che il nero non è il nulla. Che l’assenza è un modo vigoroso di definire il pensiero della vostra libertà, e il nero è intelligenza dell’idea che la nostra potente solitudine è uguale alla distanza dal vostro viso così convincente.

Tutto questo camminare nella città, e viaggiare tra le grandi monumentali piazze, e tutto questo frequentare i porti sui fiumi, e le terrazze al mare del nord mi rende felice e ci rende innamorati, e ci fa riconoscenti verso la nostra storia, e vi lascia liberi di distrarvi dall’amore per noi, di distrarci dall’amore tra noi.” (così scrivete)

L’aria dopo la separazione mi ha avvolto e l’idea della nascita umana, quando lo stimolo della luce sulla retina consente di chiudere gli occhi e di fare il buio senza fare il nulla, mi permette di evitare la confusione e l’angoscia. Nella mente c’è la coscienza che si attraversa l’aria nelle campagne da casa al mare. Nella coscienza il mondo luminoso dell’onda elettromagnetica. La vostra assenza è nella mente in modo differente che non è coscienza. Allora la strada dal mare a casa e ritorno, in mezzo ai campi, così esattamente percepita e narrata, diventa dita, volti, possenti corporature, e esili fianchi all’aria. Non deve essere la caffeina, penso. Deve essere che la vostra assenza, di cui non c’é mai la coscienza, trasforma il pensiero delle cose coscienti, cioè la percezione del mondo di questa natura tanto decantata di mare e campagne di grano e girasoli, in qualcos’altro. Che non ci siete, che non è coscienza, è il retroterra, l’immagine su cui incidono le cose percepite, e le cose percepite fondendosi all’idea non cosciente dalla vostra assenza fa una alterazione del mondo e una creazione dei pensieri corrispondenti alle cose viste in altro che non c’è mai stato. Che il nero di Caravaggio è l’aria dopo gli abbracci, il niente che circonda il corpo che è improvvisamente così impegnativo dopo le separazioni. Un non aver nulla addosso che rafforza: il soggetto non è tanto in chi percepisce l’oggetto, ma anche e soprattutto in chi immagina quanto non è percepito nella realtà esterna.

Quando eravate qua, la percezione dei vostri volti innamorati e dei vostri movimenti accorti tutto intorno, illuminava il nero e noi non eravamo che oggetti: sottoposti alla forza della registrazione della vostra presenza evidente. Voi eravate imponenti macchine di attenzione. Si può restare molto tempo oggetti del mondo amato. Per quasi tutto il tempo della nostra storia d’amore si può aver rimossa la nascita. Con sguardi profondi come gli occhi di Picasso sulle colombe e sull’argilla i nostri sguardi possono essere rimasti molto a lungo schiavi di forme suggerite dalla materia inerte e colorata. Credere di vivere d’amore nella strada tra il mare e la città può essere stato un gradevole destino. Gradevole andare e tornare, senza chiedersi nulla. Inventare una vita pensando che non ci manca niente. L’assenza non è un pensiero cosciente. Ci sono le cose. Ed altre cose ancora, differenti via via le une dalle altre. Quando ci sono tutte queste cose si può essere ‘geni’ del bene. Abitare lampade. Restare rinchiusi dentro vetri polverosi.

Poi siete partiti. Sono passati mesi. Io continuavo la ricerca sulla scoperta della nascita. Cercavo di chiarirmi a cosa potesse servire quella serie di pensieri in relazione trasversale, obliqua, verticale, intrecciata. Che poi tornava sempre nei riflessi di uno sguardo di un’altro, quando devi capire la pazzia e l’irrealtà. Pensavo all’enormità del materiale da studiare, rivedere, riproporre, citare, approfondire. Come niente fosse, come voi foste sempre qua. Non c’è mai stato un pensiero cosciente, che legasse le giornate di studio e lavoro con la vostra assenza. Con la distanza che avete posto: che è un muiltiplo grande della distanza tra la casa e il mare. Che è difficile da colmare rapidamente.

Poi ho pensato che alla nascita il mondo esterno con la luce fredda e priva di alcuna forma non è una percezione di un soggetto assente nella sua neutralità di essere biologia indifferenziata. Ho capito che la teoria dice una cosa diversa: che per una volta la luce, il mondo esterno, è solo uno stimolo. cui segue una attivazione. Che è pensiero cioè da subito capacità di immaginare qualcosa di diverso da quanto viene percepito. Prima c’è il soggetto. Chiudere gli occhi non è il nulla.

Stamani bevevo il mio caffè. E il caffè è diventato pensiero cosciente della vostra assenza. E l’io ha fatto la scrittura. L’assenza non ha generato la pazzia. Me ne stavo là fresco come un fiore in uno dei vostri maglioni che avete abbandonato nell’armadio e che indosso per romanticheria criticabile e melodrammatica. Riflettevo che il non cosciente -riferito ad oggetti spariti- era l’assenza vostra. L’assenza come oggetto del pensiero non cosciente. La (teoria della) nascita permette di pensare che alla nascita il mondo esterno della natura (la luce) non fa che attivare sostanza cerebrale. Dunque non c’é la percezione ma lo stimolo. Il bambino nenonato diventa soggetto. Si dice che accade perché egli ha una vitalità.

Stamani era quello che capitava: la vitalità aveva tenuta non cosciente l’idea di una assenza senza causare lo splitting nel pensiero. Poi l’assenza era tornata come immagine di voi che la scrittura trasformava in qualcosa d’altro, esattamente nell’idea corrispondente alla parola che si scrive conoscenza.

[banner align=”aligncenter” border=”2E2E2E” background=”2E2E2E” text=”F7F7F7″]

Read More

[banner network=”altervista” size=”468X60″ align=”aligncenter” border=”303030″ background=”2E2E2E” text=”F2F2F2″]

Proviamo a dire poche cose tra le infinite che sarebbe necessario e per le quali la vita non basta. Cominciamo con una citazione da C. Sherrington “Man on his Nature” University Press, Cambridge, prima edizione 1940 (traduzione italiana dalla seconda edizione inglese: “Uomo e Natura” Boringhieri Torino – 1960) : 

“La mente, per tutto quello che la percezione può abbracciare, se ne va perciò nel nostro mondo spaziale più spettralmente di uno spettro. Invisibile, intangibile, è una cosa che non ha neppure contorno; non è una ‘cosa’. Rimane senza conferma sensoria e continua a rimanere tale.” ( pag.317 della traduzione italiana)

La scienza della natura ci conduce in una via senza uscita – la mente, di per sé, non può suonare il piano; essa, di per sé, non può muovere un dito di una mano.” (pag. 222 della prima edizione inglese)

“Vuoto completo sul ‘come’ la mente possa far leva sulla materia. L’inconseguenza ci sconcerta. Si tratta di una malinteso?” (pag. 232 della prima edizione inglese)

Adesso prendiamo Eraclito:

“Gli altri uomini non si rendono conto di ciò che fanno da svegli, così come non sanno ciò che fanno dormendo.” (fr. 1 parziale)

“Se uno non spera l’insperabile non lo troverà perché è inesplorabile e inaccessibile.” (fr. 18)

“I confini dell’anima camminando non li potresti trovare, anche percorrendo ogni strada: essa ha un logos così profondo.” (fr. 45)

E’ proprio dell’anima un logos che accresce se stesso(fr. 115)

“Non c’è uomo che abbia visto, nè ci sarà mai che conosca, la esatta verità intorno agli dei e a tutte le cose che io dico. Ché se anche uno arriva a dire la verità più compiuta, tuttavia non ne è consapevole; riguardo a tutte le cose non vi è che sapere apparente.” (fr.34)

Lo sforzo di conoscenza dei presocratici. La lotta dei contemporanei contro il sospetto che, cercare la conoscenza sia, in se stesso, un malinteso. Che forse l’antinomia uomo natura è irrisolvibile, e che il massimo – cioè emancipare il pensiero del metodo dalla credenza – porterà solo alla ‘certezza’ che l’essenziale è inconoscibile. La realtà attuale ha il regno della fisica, che indaga la materia: se quella scienza sia conoscenza per gli stessi fisici è ancora un accordo da trovare, almeno se deve essere il ‘mondo’ a confermare una unità di vedute. Allora forse la conoscenza è il modo della distinzione definitiva tra uomo e natura e poi “vedremo…” Ma certo queste parole, ‘realtà’ e ‘conoscenza’ , sembrano stare sempre più chiaramente su differenti mani. Tra le grinfie di una fata e un elfo, magari. Che non sanno dialogare tra di loro, seppure frequentino da millenni la stessa foresta. Così possiamo dire come sia che delicate dita candide e bianche stringano chiavi di celle sotterranee che contengono segreti. E come anche possa essere che zampe pelose brune, unghie ad artiglio, offrano pasticci di panna e frutta del sottobosco. Natura e uomo. Attività cerebrale che regola l’istinto e vita psichica che tenta la conoscenza della sanità del pensiero.

Nella mente si formano idee corrispondenti a ‘uomo’ e ‘natura’, ‘istinto’ e ‘conoscenza’.

Citazione bibliografica. Essa è indispensabile a segnare il punto di massimo sviluppo della medicina e delle scienze umane: “Istinto di morte e Conoscenza” M. Fagioli. Ma in questo caso non devo (mi è di fatto impossibile) proporre citazioni che limiterebbero la necessità di una lettura completa.

Nel libro, le parole della ricerca iniziata dai presocratici, diventano: realtà non materiale, immagine, pensiero, rapporto, rifiuto, linguaggio. E continuando la cantilena: istinto, natura, natura umana, negazione, fallimento, tragedia, lavoro, affettività, rifiuto, conoscenza. Sono granelli del rosario che, poi, gli specialisti e gli studiosi (medici e scienziati insieme) si sono impegnarti a incardinare in una costante ed insperabile riproposizione di resistenza, che allinea i giorni della ricerca in contenitori di tempo di trenta, quaranta, cinquant’anni. (A seconda delle date di nascita.) Nel libro (le parole) realtà, verità, vita, pensiero si succedono per definire le idee a proposito di sé stessi e degli altri, della propria ed altrui attività mentale, delle vicende psicologiche tra i partner di un rapporto: ma differenziandosi da, e rifiutando alacremente, le condizioni imposte da apparenze teoriche precedenti. Una possibilità di uscire dal disincanto di duemilacinquecento anni di approssimazioni tra le aspirazioni legittime verso dati ‘oggettivi’, e il confortante cinismo delle descrizioni riduzionistiche. Leggendo ho sempre pensato quanto fosse difficile riprendere il discorso originario. E strano doverlo fare ricreando nella mente, se possibile, l’infanzia dei secoli quinto e quarto prima di Cristo: infanzia evidente nel linguaggio ‘oscuro’ delle domande. Definite dai contemporanei: ‘frammenti’.

L’uomo accende a se stesso una luce nella notte, quando i suoi occhi son spenti; da vivo tocca il morto, con gli occhi spenti, da sveglio tocca il dormiente.” (Eraclito: fr. 26) 

All’origine sembra, ad uno sguardo obiettivo, che il bambino sia proprio solamente natura. Istinto senza pensiero. Istinto…. “e incanto“- aggiungo. Si. Il frammento n°26, proveniente dai secoli quinto e quarto prima di Cristo, viene definito, ancor più degli altri: ‘oscuro’ !! “Ma anche incantevole di certo” – penso. E’ il mormorio cantilenante del neonato, sulla espressione mimica di un ‘animale’ addolcito e trasformato da un dubbio. E’ la cantilena delle bugie d’amore, che lo istituiscono in una vera passione, l’amore in questione. “L’incantevole cantilena è la bugia necessaria di un inganno?” – è un frammento di incertezza, una incrinatura nella fila delle asserzioni e -“E’ umano il bambino?” E “Così forse si chiede la mente nel quinto e quarto secolo prima di Cristo….”- mi invento io, e poi -“Ma se anche fosse, deve essere stato un attimo!“.

Il pensiero adesso è semplice e poverissimo: suggerisce che il libro propone… no! afferma che il neonato non è natura ‘animale’ da educare alla ragione. Io dico a me stesso:- “In quelle fattezze così diverse da qualsiasi specie precedente, in quell’essere così indifeso e infinitamente in grado di rendere precaria ogni nostra certezza precedente, c’é tutto quanto era necessario perché noi proiettassimo “là” tutto quanto ci serve per la felicità“. La cantilena diventa: istinto, natura, trasformazione della biologia, vitalità, stimolo, immagine, pensiero umano, nascita. Il frammento oscuro (“L’uomo accende a se stesso una luce nella notte….”) fa venire in mente altre parole: sognare, svegliarsi, ricordare, distinguere, immaginare, parlare, chiedere.

L’uomo accende a se stesso una luce nella notte, quando i suoi occhi son spenti; da vivo tocca il morto, con gli occhi spenti, da sveglio tocca il dormiente.” E allora, forse, la conoscenza non ha fondamento nella natura. Può essere solo “umana” : cioè un’invenzione. Una proposizione: più inquietante e assurda di una macchina da scrivere in una radura della foresta amazzonica. Può essere solo equiparabile alle emissioni azzurre di fango di uranio, sul comodino di madame Curie. La quale, sognando la sua scoperta, moriva lentamente. Avvelenata dalla felicità di una scoperta mortale senza una conoscenza più generale delle cose. Eppure noi, nonostante la ‘morte’, identificandoci con quella realizzazione di fosforescenze azzurre, ci ergiamo nel buio, ci illuminiamo la notte, con l’orgoglio spieghiamo le ali, come angeli progettisti. Perché improvvisamente, attraverso l’ubriacatura euforica di una scoperta miracolosa, tuttavia abbiamo confermata l’idea della nostra appartenenza ad una specie differente: una distinguibile ‘umanità. Bagliori azzurri, sui mobili bassi accanto ai letti lungo gli ultimi quarant’anni. Dal 1972. Il frammento di pecblenda, la scoperta della nascita, un libro che spunta dalla tasca del camice dello scienziato e del dottore.

“Istinto di morte e conoscenza”, si andava specificando successivamente, voleva affermare la possibilità concreta di un movimento un ‘andare’ dall’istinto di morte alla conoscenza. Per concludere che il movimento – nel pensiero che non ha una realtà ‘spaziale’ – deve essere pensato come una ‘trasformazione’. La trasformazione della natura in natura umana. Era qualcosa. Era moltissimo. Era ‘tutto’.

Ora, dunque, non è quella parola ‘morte’ che scatena il sogno della resistenza ai tentativi di trovare ragioni di scandalo culturale. Il Fight Club di iscrizione, il club aristocratico dei boxer combattenti, ha l’insegna luminosa, di neon azzurrognolo, che scintilla e illumina la notte intorno: “CONOSCENZA”. Quanto citato prima rende ipotizzabile, (e poi bisognerà studiare millenni ancora per essere onesti nella proposizione), che alla pubblicazione non era accertata alcuna ‘conoscenza’. Fight Club dunque dicevamo: negli scontri cruenti delle dinamiche di rapporto con l’innovazione assoluta saltarono mascelle e sopracciglia, tra schizzi rossi di sangue. La vitalità della proposizione originaria del primo libro, un poco attenuava il dolore ‘fisico’ della certezza che le botte erano inevitabili.

E i libri successivi (*) fecero una finta innamorata, fecero l’inganno per amore, regalandoci la felicità con le bugie, che in fondo le violenze contro la nascita, per non riprendere il discorso di una conoscenza sancita definitivamente impossibile nella cultura, fossero trucchi cinematografici: la vita addolorata per le aggressioni ci veniva restituita meno dolorosa nella favola dell’interpretazione che ci illudeva che quanto accadeva era una metafora. Ma si capiva che l’Autore non aveva in mente di illudersi, con alcun romanticismo di maniera, riguardo allo scontro assoluto. Infatti non si riposava ‘mai’. (…tanto meno adesso, pare…) Però propose una umanità di un incantevole realismo poetico. Un lavoro un discorso e una prassi all’altezza dei trucchi cinematografici muti di Meliès. E, adesso, il razzo nell’occhio della luna è forse l’immagine più poetica che mi viene in mente. Ora: per dire cosa rappresentò (cosa fu, letteralmente) il libro ‘sanguinario’. Sanguiniamo tuttora anche non volendo. E’ il rosso dei capelli di certi sogni, il rosso scuro agli angoli delle stanze, il rosso nella prorompente dizione della parola: “..rosso..”

Ora le parole coscienti: libro, scoperta, sfida, scontro, vitalità, linguaggio, conoscenza. La sfida diceva che, chi aveva pronunciato la parola conoscenza, doveva saper sorvolare oceani migrando, avere buonissime ali, possedere la tolleranza dell’acciaio per sostenere la certezza che non poteva sapere più quando avrebbe di nuovo  riposato. Il battito: sonno, coscienza, veglia, nascita, vita, pensiero, materia, realtà.

Per l’entropia negativa della realtà del pensiero, l’uomo non tiene conto della natura delle cose. Non quando pensa senza riflettere. L’uomo, privo della riflessione, non si fida della propria scienza: e svela un pensiero differente. Nella foresta, progetta San Pietroburgo. Per andarci ad abitare. Essendo scontento del “Cuore di tenebra” delle foreste ‘in genere’. Non riuscendo a lasciare la follia alla morte eroica di Kurz, che in realtà era già morto per la pazzia di aver voluto tentare il rifiuto della ‘civiltà’ senza, prima!, pretendere da se stesso di riuscire a decifrare l’ ‘oscurità’ di Eraclito. Cioè senza aver, prima, lottato contro l’ignoranza sulla origine dell’immagine. Sulla ‘natura’ del pensiero. Sulla natura dell’uomo che è differente dalla natura… della natura.

Le parole, in modi differenti: nascita, immagine, certezza, realtà, rifiuto, linguaggio, rapporto. Il regalo delle rose. Le festività popolari. Il giorno del ringraziamento degli altri. Le proposizioni differenti. Se siamo sognati dalla pazienza di un fachiro. Se siamo la nostalgia di una terra per un migrante alla frontiera. Se si nasce quando lui ripensa e dice “Eri bella come una cicogna su un camino torrido“. Le parole: realtà, riconoscenza, stimolo, pensiero non cosciente, figura, stupore, attesa, proiezione, narrazione, promessa, innamoramento, silenzio, ricerca, risoluzione, candore, riposo, certezza. Sogno.

La conclusione da cui cominciare: istinto, conoscenza.

Istinto (di morte) (le parentesi sono una mia follia) e Conoscenza” è il titolo di un programma rivoluzionario: ineluttabilità del rapporto tra esseri umani, studio, applicazione scientifica del metodo della responsabilizzazione reciproca nell’amore e nel linguaggio. Che non si può avere la conoscenza se non si lascia la promessa di morte alla biologia. Se, prima, non si scopre che sapere la certezza della morte biologica non è sapere. Abbandonare la morte a se stessa e al suo specifico destino. Esclusa la biologia. Consegnata l’idea di istinto agli stimoli biologici della omeostasi, che ritarda la degradazione termica della materia del corpo. Assaporata la panna acida della natura fisica delle onde e delle particelle. Ci resta il mistero a proposito della vita mentale e della sua fisiologia. (La fisiologia corrisponde alla ‘sanità’ meglio dell’altra parola, ‘normalità’.)

Qui rischiamo affrontando quel mistero con la scrittura: con un atto psichico che traccia sul foglio i segni dell’immagine. Prima che essa si costituisca in figura. Perché la figura ci confonde: poiché essa in genere viene pensata come derivante esclusivamente dalla percezione degli oggetti materiali ‘esterni’. Ma alla nascita, quando l’esterno è un mondo che non può essere percepito per immaturità della biologia cerebrale, si deve parlare di stimolo che attiva una funzione: poi è tutto un figurarsi la nave nell’oceano.

Questa nave fa duemila nodi / in mezzo ai ghiacci tropicali / ed ha un motore di un milione di cavalli / che al posto degli zoccoli  hanno le ali / questa nave è fulmine, torpedine, miccia, scintillante bellezza, fosforo, e fantasia / molecole d’acciaio, pistone, rabbia, guerra lampo, e poesia.”

e….

” In questa notte elettrica e veloce / in questa croce di novecento / è una palla di cannone accesa / e noi la stiamo quasi raggiungendo…” (De Gregori “I muscoli del capitano” dall’album “Titanic” – 1982.) (**)

La figura poetica del neonato è espressione di una vita psichica spontanea. Non una reazione istintiva che creerebbe il vuoto con la chiusura degli occhi. La conoscenza non è necessariamente ‘racconto’. Nell’impossibilità di ipotizzare una capacità (qualità?) congenita di pensiero alla nascita, dovremmo (non ci resterebbe che) ipotizzare che non c’é niente in noi prima della percezione. Che nasciamo… senza nascita.

L’uomo accende a se stesso una luce nella notte, quando i suoi occhi son spenti; da vivo tocca il morto, con gli occhi spenti, da sveglio tocca il dormiente.” (fr. 26)

Ma anche:

E’ proprio dell’anima un logos che accresce se stesso” (fr. 115)

Dopo istinto e conoscenza la frase oscura di Eraclito risplende. Gli occhi chiusi sono fisicamente spenti. Ma la parola ha due immagini. Gli occhi sono spenti nella notte, se dorme. Sono però spenti anche da sveglio, quando tocca, senza riconoscerlo, il morto, l’essere umano che ha perduto la luce interna dell’immagine. Gli occhi spenti allora sono occhi ciechi: non sanno distinguere l’assenza nell’altro. Occhi chiusi o occhi ciechi. Eraclito non si dilunga nel dire ciò che sa. Lui dice che tutto è apparenza. Però questa è apparenza di un apparire, di una manifestazione. Del manifestare una scoperta e una conoscenza. E’ l’apparire della donna ai poeti. (“Tanto gentile e tanto onesta pare...”) Della conoscenza agli scienziati. La conoscenza è avere la qualità umana di distinguere chi chiude gli occhi per realizzare l’immagine di sé e del mondo appena perduto, da coloro che chiudono gli occhi per annullare rendendo fantasticamente inesistente il mondo fisico esterno della natura e il mondo psichico interno degli esseri umani. Distinguere i morti dai vivi è accendere a se medesimi una luce nella notte. Non so se è anche conoscenza. Se si può dire che sia questa la conoscenza. Non so.

Resta che abbiamo la sensazione di essere morti quando gli occhi sono incapaci di ‘vedere’. I giorni difficili e purtroppo, talvolta ammalati, quando l’immagine non si realizza. La nenia delle parole che si ferma. Quando si precipita in una infanzia senza coscienza che ora è solo malattia perché il senza coscienza è anche senza nascita (immagine). C’è la certezza di aver oramai individuato e nominato i termini esatti della ricerca medica sulla fisiologia del pensiero. Il senza parola, che la parola (infanzia) significa, non può diventare ‘linguaggio’ se non resta la funzione della nascita materiale del corpo che contiene la vitalità. Allora senza la vitalità del linguaggio umano Eraclito parrà oscuro. Seppure, per via della nostra evoluzione spesso carente, dietro l’oscurità della comprensione del senso delle sue parole, manteniamo la certezza che quella oscurità non è l’incomprensibilità della pazzia. Non abbiamo più la confusione incurabile. L’altro differente e incomprensibile non è pazzo. Non sempre. Spesso semplicemente serve il tempo per ‘capire’.

(*) M.Fagioli:  “La marionetta e il burattino”  –  “Teoria della nascita e castrazione umana” –  “Bambino donna e trasformazione dell’uomo”

(**) Si certo !!  Staremo molto attenti ad evitare il naufragio. Da anni siamo stati avvertiti. E’ che non ci spaventa l’uso della bellezza seppure era al servizio della narrazione delle disavventure. I mazzi di garofani sono anche per la sua bellezza redentrice.

[banner type=”images” border=”2E2E2E” background=”292929″ text=”F7F7F7″]

Read More