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il pensiero balena e l’invenzione impressionista

L’irrealtà del nulla può essere percepita, seppure non stimoli il sistema nervoso centrale attraverso i fasci di fibre sensitive. Chiamiamo vitalità quella qualità specifica della biologia che coglie quanto non ‘dovrebbe’ poter essere colto, poiché non si configura come oggetto. Le frasi sono pesanti nella loro chiarezza. In un giorno di sole, nei quadri impressionisti,  i corpi di donna si muovono lungo i viali macchiati dalle ombre delle foglie larghe dei platani, e sembrano leopardi distratti, mentre noi ci immaginiamo uomini della savana in grazia di convivenza nel Paradiso Terrestre. Le macchie di leopardo compongono ‘essere’ e ‘non essere’ della luce sulle camicette: ma non è ancora in gioco la vitalità profonda, l’essenziale specifico della natura umana di cogliere l’irrealtà del nulla distinguendola dalla realtà fisica del pensiero. L’ombra è una assenza, come lo scavo da cui si è estratto l’albero con tutte le sue radici. Posso vedere l’assenza, immaginare, nell’incavo nel terreno, radici profonde e profumate di terra: posso colmare il vuoto. Ma il vuoto è differente dal nulla.

Suonavamo insieme, tu avevi idee da esprimere con la musica. Io ero tutto preso dalla vicenda che si genera ad ogni nota. Ai tempi innumerevoli più che alla storia melodica. La musica, ora posso dirlo, non era una priorità. La priorità era il tempo, la saga delle onde di ogni singola nota, il destino di ogni  inizio, la psicologia momentanea dei pigmei nella foresta, e, insomma, la lirica delle contingenze ininfluenti dell’oltre frontiera. Non si coglie tutto sensibilmente. Ogni suono prima o dopo muore. Il rumore potente della motrice zittisce i grilli nella prateria. Mi interessava quanto era dopo quel silenzio: la vita segreta della materia fisica lungo la linea i cui punti segnano l’esaurimento dei fenomeni. Avevo – avrei potuto avere a cuore, pensavo tristemente – il disappunto silenzioso dei grilli zittiti dagli sbuffi e dai rombanti soffi di vapore contro tutto, contro i cieli e le spighe e i papaveri e il profumo di pane del forno del paese. Mi stringeva il cuore il silenzio degli innocenti, mi stava a cuore la linea di partenza del silenzio, l’inizio della terra nuova, non l’al di là di questa terra: che finisce sempre nella mia ricerca. Mi stringeva il cuore l’alba dei giorni di riposo, amavo la densità dei corpi che reclamavano di voler finire di fare tutto quello che stavano facendo. Avrei voluto fondare – forse fui ad un passo dal farlo – i Sindacati a Difesa della Declinazione. Fondare la Società Segreta dei Sostenitori dell’Alba: non oltre. Mi appassiono – nella ricerca in cui la terra sempre si esaurisce in favore della propria esultante frontiera – alla misteriosa origine del segno del ramo sulla sabbia, alla corsa fino alla linea della scrittura delle parole.

Non ho interesse – l’ho avuto – per il latente, perché diffido delle metafore, mentre mi spingo al fascino, a quanto definisco l’evidenza di essere risoluti a lasciare le cose del mondo sul foglio. Lasciarle per sempre così come stanno, legate all’inchiostro, alla china del pennino graffiante: mute e potenti, rassegnate a nient’altro che a sé medesime, indistruttibili. Mi pare evidente un nesso tra la scrittura e il sonno profondo senza sogni. E’ un modo della vitalità questo diffondersi del pensiero sulla linea definita dai punti dove ogni nota musicale, ogni grillo canterino, ogni pigmeo, ogni aborigeno, cessano il canto, l’energia della emissione acustica, la veglia affaccendata, il moto oscillatorio senza fine apparente, la poetica dei fenomeni fisici obbedienti a invisibili leggi.

L’indimenticabile poesia dell’umanità della specie, dopo ogni pensiero, dorme. Nello stesso modo disegna parole all’amato: “…ti amo” – dice sulla lettera – …”e questo è tutto.” aggiunge. E (non)(?) muore. Penso che nel mondo della dialettica del pensiero il punto in cui si coglie l’irrealtà del nulla susciti il gesto dell’immediato silenzio e della pazienza differente. Non della musica ancora, non ancora dell’incorrotto amore. Quando entra l’amore il modo dialettico della relazione si interrompe. È allora che nasce l’immagine. Tra l’inutilità storicamente evidente di molto precedente affermare, e quella (in)decisione a salire, con la voce, di diversi toni: fino all’acuta protesta dei grilli e del loro indignato arrestare la descrizione del campo da destra a sinistra, da cima a fondo e noi dentro. La parola più adatta, per adesso, ad accostarsi alla realtà della vitalità, è ‘affetto’: una azione diffusa non localizzata. L’ affetto, il modo dell’affetto umanamente inteso è notte dei grilli, arresto di mondi, confine di terre e universi di senso, grammatica inaugurale, movimento di pensiero che reclina e riposa. E’ il passo nel fango, la frustata del remo nell’acqua corrente delle rapide, il guizzo della trota nell’acqua notturna, il salmone che cade nella barca, sei tu che resti incredulo per quella generosità del destino cui non credi, sono i tre numero sognati che ti fanno ricco, sono i sogni interpretati da uno scienzato sapiente che ti ha salvato la vita.

Sei la casa col tetto a tre punte che spunta dalla linea del bosco sopra le cime dolci dei castagni ed io sono il settimo dei figli, l’ultimo, il più amato, quello di cui tutti si sono fidati, quello che hanno lasciato libero.

Cercare, scoprire, trovare il pensiero, la verbalizzazione e poi scrivere per ultimo gesto prima della fine. Confidare che sarà comprensibile che non si nasce nel dominio dei diritti e delle pretese, ma nei cerchi nel grano, nell’inspiegabile accettazione, creando l’esistenza altrui, la nostra speculare disponibilità. Tracce della nascita si ritrovano nel saper scrivere senza esitazione: “Le masse emarginate e sottomesse, al cospetto dell’irrealtà del nulla della mentalità dei dittatori, realizzarono il sonno profondo…. ” Sulle cime fredde e lucide, nel ventre caldo degli avvallamenti: il pensiero è una balena. Dalla sommità delle torri si vede l’universo in espansione, gli infiniti spazi immaginati da Giordano Bruno contro l’irrealtà del pensiero divino, in opposizione alla religiosità dell’adorazione del nulla, contro la parzialità della creazione meschina di mondi numerabili e finiti.

Noi stiamo al mondo tra moltissime cose ma il soggetto dell’affetto è ‘inizio’: perché nel pensiero lo spazio non esiste e la gerarchia è erroneo credere.

‘Io’ sarò comunque il tempo in cui cominciai ad amarti. Tu forse sarai quella che dovrò aspettare per sempre. Senza posa.

Le masse emarginate e sottomesse al cospetto dell’irrealtà del nulla della mentalità dei dittatori, realizzarono il sonno profondo. I mastini fucilieri non ebbero il cuore dell’omicidio: c’era un dubbio che quel sonno profondo senza sogni fosse qualcosa di mai del tutto compreso. Per amore di scienza vinse la rivoluzione. La disobbedienza degli assassini determinò la fuga del gerarca con l’intera famiglia. La profonditò della materia sognante è la forma non violenta della lotta e della resistenza. La vitalità dell’immagine che sa restare per sempre senza figura somiglia in maniera perturbante ad una promessa d’amore…”


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la tana del jazz


Posted By on Mar 25, 2011

la tana del jazz

Una memoria d’uomo che non riesce a piovere, che non si stacca da lassù, una colla tiepida sulle dita, un albume salato, un toccare il cielo. La bravura è di saper pensare solo nell’ALTRO solo sulla linea della tensione che ci unisce sebbene siano i giganti a dominare. Forse bravura e’ l’amore per la materia del dubbio, legarsi appassionati ad ogni singola parola della SUA domanda, prendere nota con attenzione delle forze molecolari dello sfondo, scrivere una canzone per ognuna delle brevi frasi e infine fare piani sequenza della fisionomia delle parole: per tutte le ‘n’ parole -diligentemente computate- che dice. Ripetere le ’n’ parole a cercare nei segreti legami il non detto del pensiero, Respirare addosso all’insenatura. Sfruttare il silenzio accogliente delle riprese e dimenticare. Stare accanto al focolare del discorso ed aspirare il fumo nucleare come gli eroi hanno respirato la morte atomica. L’interesse verrà suscitato da meno-ancora, da pochissimo, dalla compressione dell’etica quando si fa addosso alla linea del confine che non è che una linea di immor(t)alità.

Il tempo di un discorso ineccepibile è imposto. Necessita di  accordi con illusionisti, collaborazioni con i sapienti e prolungati e ripetuti pianti con l’ALTRO. E’ scoprire di illudersi se si pensa di possedere la dignità dei migranti e la nobiltà degli ultimi. Così bisognerà succhiare via sangue e veleno dal morso simmetrico della vipera. Bisognerà rispondere a due suoni : ‘tutti’ e ‘altro’ cioé identità e uguaglianza. Si oscura la ragione nel compiere il discorso dall’inizio. Si ricorre all’atteggiamento psicologico degli alchimisti. Lo scurirsi del cielo un opera al nero. Il nero la preparazione delle tele di Caravaggio. Il nero cattura la luce e si diventa pittori di costa in piena aria, e con lui, anzitempo, -in vantaggioso anticipo- ci si prende gioco del futuro.

Il pensiero diventa pittore di guitti di ultimi di lussuriosi di frutti fiori volti schiene, di peccatori scommettitori sommersi bari perdonati ultimi. Impara a morire -il pensiero inseguito ricercato interdetto accusato e deriso- su una spiaggia tirrenica alle porte del cuore. Si resta legati al furto della luce nel nero del sogno. Nel sogno le selve di spade per strade troppo strette feriscono non volendo e le macchie rosse qualificano il timbro della passeggiata mai innocua. Nel nero: allevare sviluppare nutrire il pensiero del coraggio necessario alla vicinanza di essere per sempre contemporanei a coloro che hanno traversato tutti i tempi. Risveglio: si resta sulla tela sotto gli occhi di dio, nelle SUE mani, di LEI !!!!

Confonderò la mia pedanteria con strategie alla crema. Sedurrò Turandot con tinte ad olio profumate di lino. Devo stordirla con la classicità. Devo farmi ospitare una notte nella tana del jazz tra un amplificatore a valvole e una pagina web fresca di pasta cerebrale appena spremuta. Dobbiamo progettare musica danza e parole solo perché siamo amici intimi ed e’ primavera e non vogliamo morire secondo la volontà e i modi di un dio selvaggio e stralunato.

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e se…


Posted By on Mar 5, 2011

e se…

-” Non voglio averti accanto in questa canzone, le tue mani accanto sulla tastiera, non saprei come fare. Tutta una vita, in gioco, mentre tu ti disinteressavi non so dove potrei disegnare il tempo che non c’eri. Mi esponi, adesso, impietosamente, con le dita che scivolano leggere è il naufragio del Titanic -non vedi..?- e sviluppa sbuffi d’acqua e bagna le scarpe da sera. Starti accanto nei suoni della musica che suoni tenere la velocità che mi rimandi accorrendo al capezzale della mia velocità, non voglio -proprio- un accordo. Eravamo da sempre due motivi differenti non è che un inganno che possiamo suonare senza fatica alla fine dovremo scegliere l’ironia per affogare sorridendo e non se ne parla più.”

-“E se una volta capitasse di commuoverci, di fronte a qualche parola, mentre siamo soli ?”

….se non fose dunque che queste cose di oggi pomeriggio potrebbero aver qualcosa a che fare con quanto segue: -“..negli ultimi anni ho seguito con estremo interesse i lavori di un altro studioso (…..) Questo però non spiega nulla, giacchè uno scrittore scopre per conto suo, ed è per lui al massimo una gioia palpitante scoprire altre scoperte che da lontano hanno qualcosa a che fare con le proprie. Rapporti diretti non sussistono mai.”  (Ingeborg Bachmann – ‘Il Libro Franza’- Adelphi – pag. 50)

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