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pensiero gravitazionale


Posted By on Mar 22, 2014

Compito affascinante. La natura della realtà umana. Charcot e Türing avevano domande sulla realtà umana. Volevano forse vedere poco più in là del proprio naso dietro la fronte dell’altro? Beh sembra si. Türing passa fogli con scritte da computare tra macchine e persone. Le persone scrivono domande e di là si compilano risposte: come saprà l’uomo sperimentatore esser certo se risponde l’uomo o la macchina? Charcot per altro verso si sarà messo, cent’anni prima, a schioccare le dita e indurre la crisi pubblica nelle “isteriche” che rapidamente e per un tempo discreto assumevano atteggiamenti posturali (e non solo) di una “patologia misteriosa” che non era più parsa -nelle ricerche di anatomia patologica- riferibile ad alterazioni grossolane del parenchima cerebrale. Intanto che si pensa questo, poco a poco, la crisi si risolve in una indifferenza definita ‘bella’ per dire impensabile improbabile imprevista ma, soprattutto, ostinata e impenetrabile. T. e C. li lascio come cilindri di un motore a scoppio, portali dell’ingresso tempestoso ad un buco nero, per raccogliere energia di rimbalzo e compiere una scampagnata poetica sul ponte dell’irrequietezza…. oggi che è primavera. Hai sognato un regolo di misura, una freccia nell’occhio. Aaàah urla il pensiero nel cominciare la relazione. E devo capire il dolore e sorridere, per trasformarlo, come sempre, in eleganza. Io stesso avevo scritto di un acuto dolore al polpaccio, ma ‘lei’ ha detto -interpretando amorevolmente il contro transfert- che allora ero Frida Kalo alla ricerca del medico affrescatore, l’amante bambino che mi togliesse il senso del dovere che da sempre mi tiene ad essere bravo di fronte a chiunque. Per questo dunque avevo tolto la poltrona di fronte, fanno oggi tre settimane (o quattro forse). Non sapevo perché. Spingendo via la poltrona pensavo che avrei potuto farlo anche prima. Ma mi viene detto adesso che addirittura, fossi stato più ‘sano’, avrei dovuto farlo mooolto prima. Perchè chiunque si sedesse là, senza alcun suo ‘volere’ avrebbe evocato la mia tristezza come la traversa di ferro aveva infilzato una ragazza di diciassette anni appena innamorata un giorno in Messico. Non si sa perché viene questo legame profondo di conoscenza tra me e gli analizzandi. Viene comunque oggi che è primavera, per operarmi, liberarmi, lasciarmi sanguinare e vivere le conseguenze nella cura e riabilitazione. Sarà che ricordano che il 21 marzo 1986 consegnai loro il manoscritto del primo capitolo de ‘Lo psichiatra innamorato’ e fui ferito e adesso è la primavera del ricordo, è il risveglio dalla malattia provocata dalla ferita. Questo ‘amore’ per la ricerca è un risveglio continuo insomma è vita che non passa ogni giorno che passa. La vita di cui devo parlare da medico lasciando nella tasca calda il tuo anello nascosto agli invidiosi. Lasciando il romanticismo delle aspettative ma tenendoti come un talismano scientifico, come un antibiotico sicuro che mi salverà la vita, uno di questi giorni. Lontano nel tempo, come gridava il mio cantautore più amato. Lontano domani, domani lontano da oggi che mi salverà la vita una pasticca un preparato galenico estratto  sentimentale delle tue mani. La passione per il metodo dello studio la solitudine la marginalità le traversate la sabbia le strade sabbiose le ombre estive sedere sui gradini delle scale (e molto altro) è l’acquisito che non passa…. e perché dovrebbe poi? Che puoi non interpretare ma poi le cose vengono da sole. Vengono gli amori non cercati come sempre sono venuti. Io avevo quella fermezza del ferro dei binari che traversa la vita ma ora resta un acciaio lucido non più orizzontalmente disteso. Ho avuto la fortuna di comprendere che il non cosciente ha una logica non lineare, e una volta dicevamo che dunque somigliava a comportamenti quantistici. Però mi sembra più proficuo se alla concezione di un invisibile sub-liminare e irrazionale, di natura un po’ filosofica, avvicino il modello di una fisiologia gravitazionale, per avvicinarmi a stati fisici della mente nel suo spumeggiare continuo dal mare cerebrale. Forse è solo la ricerca di formule e linguaggi sempre differenti che mi paiono scivolare più agevolmente nell’universo delle reti neurali. Di fatto la ricerca pretende d’essere più vicina al vero di altre prassi. Più della costruzione di ponti e dell’arte della scultura. Derivare dal rapporto che il dolore acuto al polpaccio era -più che una tristezza -l’accadere improvviso di una attivazione sensoriale per la luce gialla che esplodeva (così avevo scritto) nella sala. L’esplosione portava l’idea di una deformazione della trama spazio/temporale. E le deformazioni di quel tipo sono fonti di energia smisurata tanto che fare il nesso con la vicenda di Frida Kalo non è una esagerazione! Ed è come dire, contemporaneamente, che il dolore può portare, con l’energia di trent’anni insieme in un punto, la genialità di una attivazione massiva del pensiero in un tempo quasi privo di durata, e insomma una irrimediabilmente nuova comprensione delle cose. Come è irrimediabile questa primavera. Ho cosparso la strada di fiori e parole per fare regali a più di un amore. Senza vergognarmi di avere tante persone in mente e sulle dita. Speriamo che restino, che non siano gelose le une delle altre tutte queste persone. Perché sono sentimenti forti che mi riguardano e senza queste relazioni d’affetti intensissimi non saprei esistere e non so come sia che gli amori non vengono mai soli.

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“DIALOGHI”
copyright: claudiobadii

Figli miei. Lontano da una speranza di cristianità porta la ricerca. Non ha troppe consolazioni. Certezza di comprensione ‘umana’ come si diceva, ricordate…. sperando di trovargli una sistemazione a questo termine qualificativo e terribilmente scontato nel linguaggio quotidiano. Ma niente. Ho abbandonato la speranza della facilità. E anche la poesia. Non poesia l’elemosina delle noci. Linguaggio non è detto che debba voler significare un oggetto. Poesia non è un viandante commovente. È un disperso. Il linguaggio al contrario non ha alcuna tendenza. E dunque voi non fatevi cogliere ad indicare alcunché. Non indicate, semplicemente. Il respiro comanda, dico io. La mano sul torace è imperativa. Ricordate sempre i vostri amanti. La ricerca in questa prassi medica scopre come fare certe pause. Se il discorso è troppo serrato -quando tra voi cambia qualcosa- è allora che la frequenza cardiaca misurata alla base del collo si trasforma in una modesta fame. Ecco, durante il lavoro, per farvi capire, nei contrattempi di quel tipo scatta la mia involontaria riflessione su di me. Si interrompono attenzione e successione. È quello che io definisco diagnosi tramite il contro transfert ed è quello che mi aiuta a orientare un certo sospetto diagnostico o uno diverso o un altro ancora. Non serve averne a disposizione troppi. Tengo le mani sul mio petto. Sono solo. Lavoro solo. Nella mente la traccia di tanti anni fa. Essa unisce primo e ventiseiesimo anno. E quelli al sessantacinquesimo. Sono archi. Costole di storia che tengo e cullo con la pressione invisibile dell’interno delle braccia. Come ieri ‘lei’. Uso spesso l’idea di un amore addosso. Uso avverbi di tempo differenti per disseminare la stanza con zolle d’erba e altre coltivazioni. ‘Ieri’. Oppure ‘subito’.

Davvero non è il pianto dopo il parto a originare la vita del pensiero. Quando esplode il grido la mente è già nata. Respirare ha il soggetto e dopo il taglio chirurgico di disgiunzione dalla donna ognuno dei due, lei e il neonato, ci si tiene il proprio sangue per sè. Anche se la vita dell’una si allaccia al filo della vita dell’altro perché nessuno più dei due potrà essere libero per molto tempo. Ma, che importa! Deve compiersi la gravidanza dopo il parto. Noi si viene al mondo a completare uno sviluppo intra uterino che nella nostra specie è interrotto dal parto a causa di un ingombro eccessivo di spazio nel ventre. Così, per un anno almeno, unici nell’universo, gli esseri umani vivono in dipendenza assoluta da tutti. Unici, d’altro canto, hanno una assoluta responsabilità di un altro e della sua fisica inettitudine. La condizione neonatale non ha la coscienza, e si capisce, non gli serve. La coscienza non darebbe la conoscenza della relazione che si sviluppa nel ‘ventre’ nuovo di braccia ed aria che ci accoglie fuori dall’utero. L’uscita trova la luce ad accogliere e dare la nascita del pensiero. Nella modalità della biologia il primo anno si svolge allentando l’abbraccio serrato della gravidanza, senza sciogliere il legame nell’abbandono all’aria e alla luce che risulterebbe mortale sia per il corpo che per l’io neonatale. Accosto e discosto il mondo compone ombre, respiri, cavità, prominenze, vibrazioni. Le aree e i volumi sono percepite in unità di distanze che sono frazioni di un passo. In quello spazio così tracciato si completa la maturazione delle funzioni delle autonomie comportamentali. Mentre, paradossalmente, il pensiero cresce di più e -invisibile- diventa quasi geniale. Come se, quei fili intrecciati di due vite non più libere per tempi lunghissimi, sviluppassero, in tale condizione estrema, competenze di un legame sconosciuto nel regno animale. L’in-potenza che trova la pazienza è l’acqua e la farina. Il tempo del fuoco il primo anno del regno che costruisce un pane ovale irregolare. Panificazione dunque, non poesia. Panificazione e vinificazione. Macinazione e rotolamento. Cottura e riscaldamento. Combustione fiamme e voli su per l’aspirazione dei camini. Sospensione. Trasvolate di fiammelle in totale sicurezza. Afferramento. Tenuta. Conferma. Interruzioni dolorose come un singhiozzo. E ritorni uguali ad una terapia. Soluzioni. Uomini rossi e uomini neri. Figure della mente senza ancora un linguaggio verbale. Il non interpretabile mondo di dentro vive per anni in assenza di pratiche corrispondenti. E così, grazie alla costrizione a capire meglio cosa sia il pensiero per tentare di interpretare i sogni posso concludere, provvisoriamente, che gli altoparlanti sulla folla sono i tuoi occhi figlio mio irresistibile e mia docile figlia. Ed io sono il cantante ammutolito. Ascolto. Così voglio spiegarvi le parole che studiavo e mi indicavano che avrei dovuto restare, per anni, ma voleva dire per sempre, in un atteggiamento aspettante e silenzioso di contro transfert. Ma mi sono liberato quel tanto che mi consente di scrivere. Dedicarvi un pomeriggio per dire che ascoltando capisco della vita mentale un sacco di cose indicibili per la loro delicatezza, più che per il loro orrore, come avevano minacciato i teoretici. Quello che mi appare mi lascia senza parole. E anche voi comparite e viene da dire che le storie non sono mai tutte uguali. E certe sono più belle e altre più brutte secondo l’applicazione e le distrazioni. Questa di certo poteva essere una storia peggiore. Il contro transfert si basa sempre sulla capacità di tacere per riconoscenza di quanto non si sia fallito. Si ferma su quel limite. Che è il confine dell’area della competenza di un medico. Che non è infinita. Non c’è l’infinito nell’uomo anche se c’è l’incessante. Ho l’allegria di un pomeriggio. Ho la scaramanzia dello studio che deve proteggermi dall’invidia dei mostri. E cito un erudito che racconta la caratteristica del pensiero di Giordano Bruno. La sua idea di introdurre nella riflessione filosofica cinquecentesca l’infinito dell’universo, e l’infinità dei mondi. Dunque la denuncia della menzogna filosofica nell’invenzione di un dio che si fa uomo che facendo quell’uomo di quella strana duplice sostanza fa la natura di un mostro. Solo ieri mi pareva fosse sufficiente, per restare aderente ad un dignitoso riflettere, dire di un ragazzino zoppo (…dicendo così qualcosa del senso etimologico del mio stesso nome). E oggi, invece, guardate voi!

“Il mostro. Il Centauro. Così impossibile è la loro natura fantastica. Così nello stesso modo fantasticata e impossibile e non esistente (cioè filosoficamente non plausibile) è la natura di Cristo. Dunque, a causa della certezza della natura fisica infinita dell’universo il figlio stesso di dio voluto così dal padre è impossibile mostro né ben fatto nella creazione, tanto meno creatore di sé. Impossibile la consistenza dell’Infinito nel finito, di dio in quel figlio. Così Giordano Bruno è il più anti-cristiano dei pensatori rinascimentali. Mentre Erasmo dice che le origini della fede cristiana erano buone, Giordano Bruno dice che il cristianesimo è corrotto alle radici. È, Cristo, cattivo mago e sacerdote.” (“Giordano Bruno e la Filosofia del Rinascimento” – Conferenza di Michele Ciliberto. Fondazione Collegio San Carlo)

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le sere con l’aria addossso


Posted By on Apr 17, 2011

le sere con l’aria addossso

…resta a lungo le sere con l’aria addosso sulle braccia nude, e le parole che vengono su dalle punte delle dita fino alle spalle e al centro del torace, che sotto contiene i bronchi e solo parte del cuore, la curva del ventricolo destro, non di più. L’arco esterno del ventricolo destro si spinge oltre i bronchi verso la linea mediana ed ha molto a che fare con il respiro, in più è sostenuto dal diaframma e galleggia, fluttua su e giù, mettendosi sottosopra insieme a noi ad ogni sospiro. Le sere in cui si resta lungamente vicini hanno a che fare con l’anatomia e le funzioni della biologia, e con le spinte degli organi interni, quelle delle contrazioni cardiache e le due differenti spinte del respiro una sussultoria del diaframma e una trasversale, che insieme dilatano il volume del tessuto alveolare. L’aria addosso, il buio, il profumo, le palme delle tue mani, le risa e i pianti dei ragazzini e i papaveri nascosti nel grano fanno, da fuori e da ogni parte, una spinta differente .

L’aria esterna spinge la superficie cutanea, le estremità delle dita, le labbra al gelato di crema, i delicati incroci con mani delicate, i corpi resistenti dei cercatori sui monti dove nascono i fiumi, i loro sogni tragici sulla fine del mondo, i loro sogni felici sulla vittoria della battaglia e le immagini incomprensibili delle fantastiche immersioni nella pancia dei galeoni. L’aria esterna tiene sotto la sua pressione variabile le figure, l’orizzonte, il deserto, i cammelli, i guerrieri, questo spazio sconfinato, e la superficie senza ombre della steppa e  infine l’aria come una mano si accalca – che ha il disegno esteso dell’io altrimenti insondabile dell’uomo e della donna – intorno alla pelle del viso, delle dita successivamente fino alla pelle al sapore di gelato sui polsi e sulle braccia, dove distrattamente abbiamo lasciato gocciolare la crema densa e fredda che spumeggia al vertice del cono croccante. Il mondo intero – cadendo precipitoso da ogni parte del cielo – alla fine spinge su due gocce di sangue esplose silenziosamente nel microcosmo della linea tra la pelle forte del volto e la delicatezza del labbro inferiore.

Il sangue è perché c’è scappato un morso, per tacere e non rivelare il tuo nome che stavo per pronunciare – mentre leccavo con l’eccitazione di una fiera la montagna dolce – quando sei spuntata, tra la gente accalcata intorno alle vaschette gelate del distributore della menta e della panna, al momento meno opportuno. Sono corso alla cabina di legno e acciaio e rimasto accucciato nella scia bianca della barca che beccheggia al terremoto del respiro traverso e oscillante. Ho preso carta e penna poi tento un discorso vago sulla vitalità di base che non ha immagine,  sulla variazione dello stato fisico della biologia che le corrisponde ed è prima del pensiero. Sul pensiero che deriva dalla realtà materiale, dopo che essa ha acquisito la vitalità che è definitiva e irreversibile caratteristica umana di non rimanere inerte agli stimoli indifferenziati dell’aria esterna, della luce, del calore e del freddo cui opponiamo poi per sempre, fino alla fine, la costanza della scrittura senza un oggetto e l’invenzione di un amore di ragazza cui esprimere focosi dubbi, inutili gelosie, e invidie possenti. Metto insieme sostantivi ed aggettivi, femminile e maschile, creazione e decostruzione, per trascrivere la pressione dell’aria e del buio sulla pelle e gli occhi, la gradevolezza il profumo i veleni i ginepri amari, gli allori e le albicocche, il ginger assoluto, l’acuto di pino tra palato e faringe.

Tutto questo per reagire al sangue esploso sul labbro inferiore, all’incidente quasi mortale di un giorno senza te, alla disgrazia di un movimento freddo senza spine appena tiepide almeno, all’ingiustizia modesta e felicissima del mio desiderio pop, alla mia voglia postmoderna di noi come creme gelate dense e fredde. Il labbro aveva sanguinato perché eri comparsa all’improvviso, e l’aria esterna piena della tua figura densa e profumata aveva sussultato e spinto con grande pressione, cosicché io ero diventato poco significativamente romanzo di formazione e visione del mondo e tutta la cultura letteraria all’acqua di rose delle nostre aule scolastiche si era riversata addosso alla camicia di lino immacolato che siamo noi nella mia mente, e mi ero ritrovato con fregi delle isole tropicali sul torace. Dalle labbra appena sanguinanti tornavo all’inizio, a rotolare sul terreno di una anatomia e una topografia romantiche, all’umanesimo scientifico del cuore nel petto, alle olimpiadi acquatiche in cui tutti nuotano – finalmente agili nella mia illusoria rappresentazione – nel volume di un pensiero alla crema e cioccolata al caffè e ai frutti di bosco, nel mar rosso del pensiero di sangue e di profumo, nel mare vociante delle strade africane di questo attuale confuso risorgimento, in quel mare di poca imprevista allegria di rivoluzione cenciosa, che le piatte ragionevoli analisi degli accademici occidentali – quelli dell’impossibilità assoluta del desiderio – non avevano saputo prevedere.

Tutto si è svolto in poche battute delle nostre vite: la mia di cui sono testimone e certo anche la tua, seppure tu – nel corso dello svolgersi di questi pensieri – non sei mai stata qui se non nella traccia di un ricordo di una sera dell’estate scorsa. Questa ricreazione di noi  è una dimensione di attività umana, la tanto indagata vitalità che lega funzioni diverse per creare una profondità adatta a sentire la densità del tempo, per non lasciare la linea delle cose senza immagini ridotte a figure geometriche piatte come l’ombra degli obelischi, quando anche i palazzi delle accademie proiettano superfici scure di fronte alla nostra annoiata perplessità, nei giorni in cui siamo costretti a misurare il tempo seguendo nella polvere la rotazione delle ombre senza la potenza del volume. L’attrazione gravitazionale di tre gocce di sangue sul labbro fuga i fantasmi e conferma il passato:

” …la ricreazione di te nel ricordo ha il voluminoso significato del buio alla crema… “

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