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l’uso quotidiano di noi


Posted By on Gen 16, 2012

l’uso quotidiano di noi

la passione per il linguaggio ha trasformato l’uso quotidiano che noi facciamo di noi stessi: ci stavamo occupando del rigore delle pause, quando la vita ha assunto l’andamento del sogno.

il tempo che mettiamo in gioco sotto il cielo ha natura intima. i suoni hanno rimandi brevi. il timbro è composto di precise vibrazioni come quando si raccontano le qualità dei frutti e del vino in una dispensa.

le parole sono serrature complesse di una polveriera ordinata e pulita. sono i gemiti dei guariti in una sala operatoria. sono estensioni di un lungo periodo di pace separato. distinto da tutto.

la luce quotidiana si ritrae nell’intimo di millimetriche misurazioni. nella scoperta di cose pratiche: la fisica della convivenza, come dormirsi accanto, se profumarsi i polsi (prima di uscire).

la conoscenza riguarda sapere l’esatto punto di celeste della camicia da indossare. la lana migliore contro il gelo. i gradi di freddo da come cambia il colore dell’aria. adesso, parlare è una conta di bottoni in scatole di alluminio.

l’idea di musica è il modo di camminare. precisamente è un procedimento: la preparazione delle conserve, la deposizione di un libro accanto ai volumi già presenti sulla scrivania, voltarsi.

per periodi imprecisati, di certo parecchi minuti, spolveriamo le cornici delle finestre aperte giorno e notte. per ore ed ore studiamo la rotazione del busto, contemporanea all’avanzamento della spalla, quando si tende la mano in un saluto di ardore.

si insegna ai bambini a manifestare il gradimento, la sorpresa, la sfida, la resistenza – e i differenti livelli di riserbo – fino ad un cauto atteggiamento di desiderio – variando impercettibilmente la forza degli abbracci.

teniamo a memoria certe cose di cui ci sfugge l’evidenza. cose di questo tipo:  ‘ogni rinascita di per sé sarebbe un fenomeno letterario di euforia decadente, se non fosse immediatamente seguita da una infanzia disarticolata felice e muta.

favoriamo il sonno con la lettura. sappiamo che il canto magico si potrà ritrovare soltanto nei segni delle scritture di lingue sconosciute oppure nel rumore vibrante delle scrittura quando leggiamo distratti dal sonno. mentre il volto scivola all’ombra del cuscino.

si insegna la lettura nella notte, a disobbedire tacendo e a progettare avamposti fortificati. si inducono, cautamente, la riduzione di coscienza lo stordimento per preparare l’incontro con il seno, attraverso le attività serali: il disegno, raccontare.

osserviamo in silenzio l’immobilità del sonno dei nostri amanti, il loro mutismo appassionato e inerme. così apprendiamo la forza di tenuta delle braccia, l’infanzia, e il reale movimento frutto esclusivo della generazione delle idee dei sogni.

si ripetono altre frasi a memoria: ‘il latte del seno porta la nascita e la convivenza. divenuto di nuovo suono fa il linguaggio e l’amore con le parole. nel tempo che genera realizza la città, la legislazione marittima, e la politica.’  

a questo punto numerosi restano i segreti: hanno forma di sensazioni che ci lasciano perplessi e attualmente ancora ci impediscono di prendere decisioni sulla assegnazione di nuovi nomi alle cose.

note: l’immagine è tratta da un video del ballo Sasha Waltz – The Trilogy “Körper”, “S”, “noBody” (qui)

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oche


Posted By on Ott 21, 2011

Musica struggente (*). La trasformazione di un pensiero in una voce che si armonizza  alla potenza di strumenti che imprimono all’aria una forma acustica.  La mattina non dà tregua, nell’orto le oche confuse per un imprinting sciaguratamente interspecifico mi beccano i talloni. Continuo a inseguire la grande creatura di un idea di donna che restituisca la quiete e a mia volta  infastidisco con domande alla sua gonna ondeggiante il nuoto sognante della grande regina del fango. Il sonno da me si paga in scaglie d’oro che vengono pesate il giorno dopo e remunerate solo se è  il caso. Il sogno viene donato come ricordo proprio per questo accordo di sfiducia tra i dominanti e noi. Non è concessa una dimensione di tempo regalato in anticipo e noi di fatto non facciamo altro che aspettare e ricordare. Le crepe fonde tra noi e il tempo  vengono arredate con l’arte del disastro e con strane posture impresse alle statue di marmo disegnate sugli abissi e dette capolavori. Ritratte sulle carte atlantiche servono a definire i percorsi secondo gradi differenti di terrore: mostri e sirene si spartiscono il mare. Per una disamina scientifica sistematica di tutte quelle creature l’amore scava una rete di gallerie d’arte sotto i nostri piedi e  la terra molle spinge in alto l’inquietudine che si amplifica e ci costringe a tutto quanto altrimenti non sapremmo volere fino al progetto delle astronavi. Si mette dentro una scimmietta e si sospinge tutto in alto e lontano per avere la scusa di distruggere l’eternità con un gesto decisivo. I gesti decisivi sono istantanee deludenti sempre. Così tra le oche dell’ansa del fiume dietro casa ho inventato trappole per conferire sfumature alle fotografie per contrastare tutta quella morte, tutta quella pasta di mandorle che è la Pasqua senza resurrezioni. Sono forme di lotta rifiuto le grida i canti i cori le precipitazioni: cadimi addosso è il cigolio che il clinico attento specialista di traumi sportivi ascolta alla flessione dolorosa del ginocchio colpito della seconda punta dell’Arsenal. Gli ricorda la fragilità della potenza della Quinta della Nona della Prima e la calma della superficie d’acciaio delle Fughe e fischiettando sorride a quel prezioso pezzo d’uomo che è, sarebbe, se lo volesse, una montagna di tempi differenti: una sinfonia e uno scherzo, spaziando sui campi di calcio con la leggera noncuranza di un aquilone.

Gli strumenti hanno la potenza di imprimere all’aria forma di musica. Come l’assenza di te crea l’immagine e fa il movimento del pensiero che diventa immediatamente scrittura e genera la coscienza prima che essa possa aver realizzato un giudizioso controllo a proposito delle conclusioni cui arriveremo nel palazzo delle parole, su di noi che scriviamo, che in verità sono solo io a scrivere, per arredare la grande frattura tettonica che si è stabilita alla generazione di una vita umana tra la vita biologica e il tempo della realtà psichica.

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quattro minuti scena risolutiva


Posted By on Lug 24, 2011

Hannah Hersprung nel film "Quattro Minuti" di Chris Kraus

quattro minuti scena risolutiva

( primo sogno ): Si nasce con incerta figura la nostra miseria è non poter risolvere quelle linee incerte perché escluderemmo la nostra nascita. Tra l’eccesso di luce e l’amore per il buio del fondo vibrano i corpi di balena. I mammiferi acquatici che non possono mai dormire fino all’arresto del corpo nell’immobilità sarà che allora sognano continuamente e non avendo intero mai il sonno sarà che non abbiano mai intera la veglia: forse hanno una veglia differente e adatta all’acqua. Siamo forse noi dico al risveglio dal sogno quelle vibranti montagne oceaniche nella condizione fluida e precipitosa che immagino. Nel sonno è la fluidità della biologia pulsante nel fondo scuro della materia non ispirata dalla grazia del ricordo nè dalla provvidenza delle figure. Il risveglio è il lusso d’altre funzioni appena superiori che realizzano il sogno.  E consente le parole. Le parole – vale a dire l’uomo oltre la propria notte – una creazione. Tu io noi: siamo l’uomo di stamattina alle persiane. L’uomo tu io: siamo i fatti accaduti come vengono alla mente. I fatti come vengono alla mente sono sempre ‘altri’ da quello che sono. E ‘altri’ sono subito dopo alla voce dei Narratori. I Narratori dei Fatti aumentano la loro importanza in fondo si può verificare che essi siano – a loro volta – Geometri della Segreteria al Ministero di Archeologia e Geologia che tracciano i progetti dei passaggi segreti alle piramidi. Nei disegni loro noi tutti siamo notizie alla voce: viventi della specie privilegiata gridati all’incrocio dei grattacieli dallo Strillone di Corte. Donne e uomini quotidiani, creazioni definitive ognuna a suo modo. Da raccontare. Finestre. Sferraglianti binari grigi e lucidi appena completati. Svegli con gli occhi spalancati e piangenti. Pronti per cominciare. Vibranti montagne di carne marina mai del tutto immobili nel sonno siamo coscienze illanguidite. Siamo coppie liquide. Tutto oramai abbiamo assimilato di canzoni e madrigali in disaccordo. Che il vero è ‘altro’ dalla storia.

Siamo altro da noi nello sforzo di essere io la tua fronte tu il davanzale per il tuffo nell’aria della piazza profumata di arance. A Taormina.

( secondo sogno ): L’uomo gli capita di potersi costruire la notte per il sonno con la calcina o le foglie. L’uomo. La sua compagna – dell’uomo – che è l’altra metà del cielo quella buona è la donna. La donna: campagna seminata a girasoli grano e papaveri e la metà buona del cielo accetta – torcendo da millenni il collo come un cigno malato di strabismo – il patto con i maschi. Accetta. Dice brevi cose. Non è d’accordo. Sa farlo di non essere d’accordo senza ‘non essere’ e senza fare il ‘non essere’ dell’altro. Sebbene la donna – sussurrano le ricerche di base – voglia farsi ancora più esatta. Somigliante ad una idea di sè che va portando sulle spalle subito svoltata la caverna. Attende il tempo di farsi. Ne vedremo delle belle noialtri ragazzi. Comunque questi due – maschio e cigno – creano. Di malavoglia – tuttavia inventano la grazia dei gesti. La carezza della mano sulla roccia serve ad evitare i danni maggiori le ferite mortali l’imprecisione che distrugge l’idea di un equilibrista sul filo del pensiero. Si veda Cyrano si veda si ascolti quando si lamenta troneggiando sopra la media della comune abitudine del discorso corrente. Intendo questo quando mi viene in mente che questi due – maschio e cigno – creano. Di malavoglia i fili di luce nei quadri e l’idea di lesione incisione cura chirurgia legatura fortissimo espressione musica intervallo tempo stanotte il giorno che viene.

Creano la propria specie creativa.

( terzo sogno ): Non d’amore è il suono che piuttosto è fisica. Raccontano i sogni che non sono per gente sentimentale. I sogni sono le parole che raccontano i sogni. Le parole che raccontano i sogni sono la fisica dei suoni della nostra voce. Nella nostra voce si incarna l’io narrante sempre. I ladri al mattino acchiappano la luce per tirarsi fuori dalla grotta: hanno mani piuttosto svelte come serve all’impunità dei furti nel mercato rionale della capitale. Il sogno dice dei furti perdonati, dei regali agli incroci, delle stelle aggruppate nel mito. Il mito è la falsa credenza che la mente origli sempre le stesse parole. Ci sono parole speciali che non dicono le cose ma le figurine sottili dei nostri incontri. Tu io la vita suoniamo alla porta del circo. Svoltiamo insieme. Vieni. I pronomi sono oppio e ‘tu’ ed ‘io’ e ‘noi’: quello è parlare! Le cattedrali possono pure crollare: i pronomi dureranno perché sono fatti di sabbia. La sabbia è quando tutto è crollato è rimasto a pezzi è digerito dal sole e genera nella sabbia la meridiana delle particelle fonetiche che dicono l’idea della persona senza la necessità di un volto da seguire. Nello stesso modo nella materia di acqua e polvere e terra sotto gli alberi sotto i monsoni si genera la grammatica del soggetto. Il suono è fisica tu io noi fatti di sabbia sono per gente niente affatto sentimentale ora si capisce. L’amore è per scegliere. Il sonno per la conoscenza. Il sentimento crede di doversi continuamente accordare e fa la geometria. L’affetto diverge determinando le condizione per le forme matematiche e le immagini dei numeri.

I pronomi sono la musica. La musica è l’oggetto della ricerca. Non ne è il fine ultimo. Però non si può evitare. Nella relativa linearità di una coerenza emotiva il suono si incontra subito prima della vittoria. Esattamente alle foci del fiume delle risoluzioni provvisorie ma trionfanti. Transitoria prigionia del genio. qui.

 

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spie


Posted By on Giu 4, 2011

spie

La linea della scrittura compone la complessa serie di variazioni degli angoli che sono realizzati nel ricordo dei movimenti, dai segmenti del disegno della figura umana che sempre   seppure in lontananza si distingue senza sbagliare da qualsiasi altra figura di natura animale. Non sbagliasti allora … di certo ricordi. Sai e ricordi i gradi di angolo che cantavano i tuoi e i miei passi sul ciglio, che poi divennero lacrime dalle ciglia giù alla storia, determinati tutti e due a continuare con quegli abbracci imbronciati d’amore, ma era passione, che faceva paura a tutti perché sfidava la ragionevolezza, non lavoravamo quasi più, eravamo uomo e donna delle caverne. Le linee sottili contenute nelle figure di noi scrivevano la parola ‘realtà’ diversamente dagli invidiosi che auspicavano ignoranza e confusione seppure è vero che lo studio che facevamo insieme riguardava il movimento caotico del volo degli uccelli e la descrizione delle curve del seno e del pene nella galleria dei miracoli pulsanti. Deciframmo non so più quanti geroglifici al buio perché le canzoni ci costringevano a chiudere gli occhi e tacere. Ricordi. Eravamo insoliti amanti, simili – nell’insolenza delle cose mirabili – alle carezze che alcuni sanno trarre con maestosa calma dal dorso della mano e alla curva delle ascelle quando volta rapida all’aria marina circondando l’articolazione della spalla. ‘..Il filo, il trattino spezzettato della linea è immagine…’ sentivamo dire, ed ora la frase galleggia alla ricerca dell’ennesima adozione, è una slanciata mezzosoprano in pellegrinaggio, in cerca di audizioni, in ansia di acuti strabilianti tra il ventre e la gola, con un filo d’amori quasi dimenticati e un prorompente egoismo, tutto colorato, nella delicatezza degli apici del suo profilo. Siamo silhouette storiche adesso incomparabili. Le figure sui fogli del ricordo cosciente dei sogni diventarono linee quando ci allontanammo e – se fosse stato possibile realizzare il senso troppo doloroso del tempo definitivamente precipitato nel burrone acustico del nostro reciproco ‘…  mai più…’ -saremmo stati in grado di rifare la scoperta del pensiero che tace perché è nascita. Rimase il  ‘ … per sempre…’ , la ricerca, il filo dei segni della parola ‘noi’. Resta tutto da fare ora: gli avverbi di tempo circolano nel torrente sanguigno e le parole che abbiamo amato e assimilato nelle fabbriche dei materiali metabolici delle cellule sono a nostra insindacabile disposizione e giudizio e verranno ripetute nei sogni ogni volta. So scrivere delle cose che mi hanno persuaso quando da un certo momento non ci fosti davvero più e posso ricomporre sul foglio il tuo movimento, il battere dei tuoi passi sulle scale, il sorriso nelle foto, le trasfigurazione degli orgasmi, il silenzio di sacrestia del cielo bianco invernale la domenica mattina… Ed altro ancora.

Quando la vita mentale corrispondente al tempo passato insieme agli esseri umani che abbiamo amato, trova il presente della coscienza, diventa figura del ricordo, poi la figura del ricordo cosciente determina una complessa situazione affettiva che origina il pensiero verbale, e nel silenzio della solitudine il pensiero verbale diventa creazione di una corrispondenza delle figure con i suoni appropriati e linguaggio. Nella azione conseguente della scrittura la figura del ricordo cosciente diventato pensiero verbale si allontana progressivamente dalla coscienza grazie al movimento della mano perché la vitalità porta il pensiero al movimento che spezza opportunamente la linea dell’inchiostro nei trattini che danno vita alle parole allineate. Così la figura svanisce e viene sostituita dalla scrittura dei pensieri. Sul foglio resta per sempre l’immagine delle cose accadute nella loro forma originaria e definitiva: la forma del pensiero del primo anno di vita senza coscienza e senza parola che si può solo  indovinare e che ora si manifesta nei tratti essenziali di una linea discontinua elegante inarrestabile e muta.

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cominciare a dire


Posted By on Mag 21, 2011

cominciare a dire

La poesia non ha nulla a che fare con la versificazione. Consiste in ciò che si trova nel mondo, al di qua di quanto ci è permesso di osservare.(Magritte)

Per quando ci saranno luce e tempo lampadine e chiarori, per allora metto via le cose senza consumare fino in fondo la bellezza e la musica, per questo, e per quello che è differente da ora e che non conosco che passa frettoloso. Ci saranno luce e tempo per mettere a fuoco la macchina dell’espresso di alluminio lucente che mi viene incontro quando cammino a piedi scalzi nel quadro surrealista del risveglio con movimenti e arresti cigolanti tra il margine del letto, lo spigolo netto e pulito della cucina, la fiamma blu che eccita il luna park delle molecole d’acqua che fanno salire il caffè. Fisserò gli occhi splendenti nella penombra che si determina ogni mattina quando dalla finestra la luce attraversa sottili fessure della persiana e come latte intorbida l’amalgama di buio profumato di sogni nascenti e pane tostato. Non si è pronunciata una sola parola per un tempo lungo perché si è rivelato inutile e si butta giù silenzio e muta aspettativa mentre l’inclinazione dei raggi di sole fa un angolo via via crescente sul foglio da disegno del pavimento e trascorrono inesorabili deserti nella ripetizione prima che movimenti accurati inaugurino traiettorie che traversano il disegno variabile dell’ombra determinando la caduta sbuffante della mongolfiera come una locomotiva in picchiata ma al rallentatore quando le giunture delle ginocchia scricchiolano musicali e si va via dalla stanza ed è oramai giorno e per un bel po’ potremo continuare a tacere. Da quando cerco di realizzare i contenuti della vitalità ho ristretto gli esperimenti a successioni brevi, a durate impensabili a registrazioni di attimi instancabilmente riproposti, ad abbracci fugaci, a baci inattesi, a sfioramenti a misurazioni di singoli gradi di variabilità dell’umidità delle labbra sulla pelle. Sono sulle tracce dei pensieri a venire e non mi do pace perché darsi pace mi appare una rinuncia mentre nessuno ha tuttora definito gli aspetti della vitalità come si fa avendo accettato definitivamente che essa è una funzione della biologia cerebrale un parametro che definisce modalità funzionali dell’attività della mente ed ho acquisito la sicurezza che sarà una capacità di risolvere la vitalità dentro una formula linguistica a costituire un primo risultato per riproporre ulteriori ricerche a proposito della realtà psichica scrivere definitivamente l’equazione tra norma e sanità. Vitalità è una funzione che può essere pensata come ciò che consente  alle azioni mentali di produrre effetti sulla realtà materiale della biologia attraverso variazione degli assetti biochimici cerebrali ed è così che non è magia se arrossisco quando ti vedo mentre realizzo il tempo e la luce esatti che accompagnano gli stimoli visuali e termici della tua apparizione e poi della tua presenza. Ed è così che tempo e luce variando in mille combinazioni mi restituiscono l’idea di te che adesso non ci sei essendoti molto allontanata per certe occupazioni e la cucina e il letto e la sponda del piano di marmo antico del tavolo delle colazioni sembrano muoversi per comporre  attraverso la ricreazione della tua figura un argine all’assenza e al vuoto che si è determinato per la tua sottrazione. La vitalità è la funzione del pensiero che genera l’immagine di una possibilità ulteriore di essere e la continuità dell’identità di fronte allo stimolo dell’assenza: la scoperta medica della vitalità è l’invenzione di un farmaco nuovo che agisce attraverso l’attivazione di una chimica sottile che ha come stimolo elettivo l’irrealtà del nulla. Senza sarebbe la morte del pensiero e l’impossibilità di essere certi dell’esistenza del mondo durante le nostre traversate solitarie e silenziose di ogni confine. Senza sarebbe l’impossibilità di ‘noi’ tutte le volte che non ci sei che sono il pane quotidiano del nostro amore.

(L’immagine di questo articolo:Magritte ‘La Condizione Umana’)

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