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la migrazione delle api


Posted By on Set 17, 2011

la migrazione delle api

Sono giorni di persone cattive e tristi, di arnie svuotate dalla migrazione delle api. I nostri corpi comunque lanciati nel tempo -ad inseguire con audacia le premesse sussurrate- fanno un rumore insopportabile ai sacerdoti. In più bisogna rivelare che specialmente il naturale ancheggiare delle femmine viene perseguito come sovversivo. Arnie silenziose rischiamo di diventare anche noi. Al fuoco e al fumo che non promettono nulla di buono. E ci si sveglia non sempre  in una buona disposizione.

Cercavo qualcosa di oscuro per individuare il tono della mattinata: un giorno di sole e umidità ma senza luci. Ce ne sono. E’ la proiezione di stati d’animo personali – mi dico – e addio la conoscenza. “Biancaneve” dei fratelli Grimm in una edizione illustrata da Benjamin Lacombe. Metto una riproduzione per illustrare il foglio con uno spunto di colore isterico e patetico, commovente se mi intendete. Chi mi intende stabilisce subito l’amore come forma di accordo, determinando inevitabilmente l’esistenza di inquieti diavoli neri per tutti gli altri.

Nelle pagine il rosso ciliegia delle labbra e dei cuori è quello rutilante del sangue ma ha una tonalità che riconduce alla diagnosi dell’avvelenamento da ossido di carbonio quando l’emoglobina trova affinità deviate e non veicola più l’ossigeno che consentirebbe il fuoco della vita ed è di un rosso ciliegia sgargiante che annuncia la morte, se il medico non accorre ad arieggiare, disperdere i fumi invisibili, rianimare, supplire il respiro, restituire. Restituire. Aspettando.

Le parole nate dall’immagine del rosso velenoso di patetici avvelenamenti tardo ottocenteschi diventano riflessione “Capita che non ti uccidano – come progettato – perché si tengono le mani pulite confidando nella ferocia delle belve del bosco e della tundra. Ma la pietà di un viandante pastore in genere o di donne di malaffare senza fissa dimora e di cuore tenero -tutto questo ben di dio- arriva prima del compiersi della disavventura malignamente auspicata.”

Eccomi dunque ancora vivo e guizzante, da anni a chiedermi dove risieda l’organo della vitalità che mi ha sempre consentito di essere ancora al mondo all’arrivo del viandante e della puttana di turno. Io nella buona sorte penso l’anatomia dell’encefalo come la vidi la prima volta magistralmente ritratta a colori irripetibilmente suggestivi o in rigorosi inchiostri di china.

Ho in me quei disegni che svelavano -col tempo dell’osservazione- la precisone dell’occupazione degli spazi e, a vedere bene, la meticolosa passione dell’anatomista pittore. Ora -mettendo precisamente a fuoco la ghiandola ‘pineale’ sulla sella ossea che sostiene anche il chiasma ottico- riponevo in una sede profonda e protetta le parole per chiarire la collocazione del mistero.

La realizzazione d’essere medico. Sempre la ricreazione di un mondo fantasioso che la mente ha cercato, rappresentato, riprodotto, battezzato centimetro a centimetro associando forme a funzioni e disegni a mitologie. La ghiandola è suono di una idea sintetica che reperisce in cunicoli di inferno e foresta incantata una somiglianza adatta alle gesta epiche del misterioso pensare degli esseri umani.

Il mondo della medicina è rigoglioso: non ha perduto mai del tutto la fantasia di indagare nella materia senza porsi limiti. E’ un mondo sfrontato di cercatori di tesori che mettono l’allegria addosso quando entrano nelle stanze. Sorridere, intuire, scoprire, sapere, chiedersi la conferma, domandare solo alla fine- è metodo d’ingresso alle cose, metodo degli scampati al disegno della disperazione.

“Mettiamo  sempre le mani addosso al diavolo, noi…”: sorridendo ebete al tavolo di un bar. Io so che in quel sorriso c’era tutta l’allegria d’un essere sapiente perchè riesco a trovare le parole corrispondenti all’idea della mia storia senza la fatica della narrazione noiosa degli eventi. “E’ l’azione della ghiandola al centro del disegno colorato”. Ora è ghiandola anche il tavolino del bar.

Ha qualità estremamente sofisticate questo delicato accostamento di realta fisica dei corpi e di dura materia costruita in spigoli e inclinazioni: al tavolo di ferro e marmo di un bar sto al centro degli artifici luminosi del giorno, trai palazzi e le strade: costruiti, ricostruiti, cambiati, fusi e rimodellati in centinaia di anni, in mezzo alla palude malarica, dalle mani forti degli operai. Le api.

Al centro di un mondo è tempo rappreso la trasformazione. Farsi sicuro di me, aver imparato a dire le qualità dell’azione di una ricerca senza coscienza “…essa è opposta allo sfruttamento del lavoro che è fatica muscolare muta sottomessa alla velenosa leggerezza di un progetto di dittatura…”- “…è la passione di gettarsi in caduta libera nel tempo alle spalle, dentro la certezza dell’intelligenza dell’altro.”

E’ ghiandola il tavolino del bar cui sto seduto un poco flesso, col busto inclinato sui disegni di questo diverso libro che evidenzia una anatomia differente: che è un arnia ronzante da cui cola il profumo del miele nuovo. “…la mente è lavoro nella sfera della attività mentale non narrativa, arte differente dall’arte nota….” Trovo il linguaggio senza figura per la biologia corrisopndente a specifiche attitudini dell’uomo: una perplessa condiscendenza.

“… perplessità che non diventa confusione perché si ha la conoscenza medica che consente la cura, e condiscende alla fisiologia con la terapia…” Così racconto il pensiero di chi non è stato ucciso dall’ignoranza, neanche questa volta. E realizzo nella mente il pensiero verbale che scrive certe forme di odio “…veleno di affinità fatali…”

Seduto inclinato appena sui fogli stupefacenti impigliato ad oscuri desideri risalenti muri d’aria dal piano di marmo. Sono alla base della piramide sulle pietre dei sacrifici. Esploro su per il naso delle divinità alla radice simbolica del pensiero – su in alto al centro del sentimento platonico, nel cuore aereo dell’idea-in-sé – e atterro sulla groppa di Giove.”

L’allegria adesso costruisce il giorno molecola su molecola mentre l’odore del caffè sale verticale dal tavolino rotondo del bar annebbiando la vista con una trapunta di vampe di emozione che salgono dalla griglia sotto di me. Le figure degli organi cerebrali ammassati nell’atlante di anatomia si sovrappongono alla camminata di persone in fuga tra tavoli e strada e gli spigoli delle edicole.

Il mondo è rosso ciliegia sgargiante e odore denso di caffè e uno spunto di colore isterico e patetico, commovente se mi intendete. Il mondo è uno sciame amico di api che sale a coprire gli occhi. E’ fantasia luminosa di tanti anni ad occuparmi di non disperdere quanto di stupefacente c’è sempre stato nella medicina.

E’ stato bene aver studiato da medico per scoprire il linguaggio che nomina la propria storia che sono tutti questi uomini e donne a correre rapidi tra tavolini edicole portoni e porte scorrevoli e cemento e asfalto. Dire “.. noi dispersi lontani attraversati da tutti gli altri, semidei narranti…”

E appoggiare il viso sulle palme delle mani e riposare gli occhi, rifiutare la visione fisica delle cose, per scoprire se alla sparizione degli oggetti del mondo ci prende il terrore oppure….

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il rosso e il nero


Posted By on Ago 11, 2011

l'intelligenza delle forme nelle forme

il rosso e il nero

Comincia con una canzone e fotografie una vita quotidiana dimenticando mettendo da parte tutto altrimenti sarebbe impossibile: l’indifferenza stare ad occhi bassi sui propri interessi che sono esigenze respirare cercare la religione di mettere insieme le cose che si erano disperse immaginando la relazione d’amore evocando con le parole che si pensano disporsi in fila sulla pagine – poi si disegnano mentre compaiono volti che ci scelgono oppure ci rifiutano – sapendo che quanto pensato alla coscienza è stato prima misurato nell’abbraccio accalorato o terrorizzato delle cellule del fondo dei nuclei antichi delle emozioni – che sono sempre pensati ‘animali’ neanche si sa perché dato che nessun uomo mai è diventato scimmia neanche quando è stato ‘un animale’ – poi alcuni dicono che amano gli animali e non più gli uomini ma io non ho mai capito cosa significasse – perché avevo memoria di aver amato il sorriso e le parole intelligenti di lei appena superata l’adolescenza.

Ascoltando la musica di stamani so che posso scandalizzarmi e non capire di fronte all’odio e alla depravazione tuttavia non vedo altro che uomini i peggiori e non vedo gli animali in essi – vedo che quella cattiveria e quell’odio non sono proprie degli animali perché forse molti di loro non hanno la capacità ferma di tracciare mappe di senso tra cose volti avvenimenti e dopo un certo tempo non sono davvero più in grado di ricordare una identità nella continuità temporale. il che non significa che ci sia un migliore tra uomo e animale perché sono due regni separati per sempre oramai – e che se noi possiamo porci il problema di creare un mondo migliore anche per gli animali è ovvio che per gli animali non è possibile tutto questo progettare e comunque essi non hanno potuto creare la civiltà della comunicazione delle pretese e delle esigenze della distinzione. Non sono peggio. Sono altro.

Stamani la relazione si pone come pazienza e come indifferenza di fronte a certe cose che non vanno come dovrebbero andare – in questo mondo altro dalle successioni logiche e razionali degli animali tutti tesi alla riproduzione ed all’amore fatto di sola dedizione e fedeltà e silenzio – che non è mai stata una scelta. ricordo e mi ripeto che ci siamo inventati la parola ‘indifferenza’ -(1)prima per condannare quello che -(2)poi si è capito è ‘anaffettività’ – e per lasciare libera la parola ‘indifferenza’ nei casi in cui – siccome spesso le cose non vanno come dovrebbero andare – noi stabiliamo di restare per un poco indifferenti e ricreare una situazione di possibilità e stamani come capita spesso di riuscire si fa entrare il sole la musica si imposta la giusta apertura delle quinte delle finestre e tutte queste cose nella stanza modesta fanno il giorno l’inaugurazione della storia improbabile: “c’era una volta…”

Tra poco sarà altra musica -penso- e non penso la malattia e la debolezza del corpo. il pensiero turbina adesso creando universi imprecisi di momenti tra le passioni vicine e la catena forte dei volti sconosciuti. ci metto anche il profumo delle notti di adesso e le canzoni che si susseguono secondo un ordine di gusto che si ripete sempre nella scheda grafica del display senza mai annoiare – sorprendendomi continuamente – che è quello che mi serve sempre – sempre serve sorprendersi sempre – anche con poco e a volte devo andare via o mandare via le persone – perché sempre so che le persone alla fine non capiranno esattamente – come alla fine sempre ci saranno altre persone che sembreranno capire e questa è la musica penso – è l’indifferenza che si fonda sull’interesse egoista per la propria individualità che forse fa capitare a noi ad uno sguardo superficiale qualcosa di simile a quanto potremmo pensare sia quanto capita anche all’animale che non sa e rifiuta – ma bisogna dire non è rifiuto perché è istinto che non può fare altro – perché l’istinto è costrizione. rifiutare non è un istinto è una invenzione di un mondo differente – a noi capita di dover rifiutare seppure istintivamente ci parrebbe di non doverlo fare ma controintuitivamente – e continuamente rifiutiamo per salvare il pensiero e forse quel rifiuto perderà ogni salvezza della nostra specie. così noi distruggiamo la specie forse per salvare il pensiero. siamo esteti che amano finire in bellezza.

Ogni mattina tornano le cose lette nella sera e sognate e ascoltate con un orecchio alla radio mentre intanto i progetti e le speranze e le riflessioni coesistevano per ore senza la regola della stanchezza – che è rispetto per la legge biologica delle contrazioni muscolari – ma anche senza alcuna confusione – che sarebbe rispetto per le regole della logica formale – che dovrebbe impedire la sovrapposizione dei processi contraddittori e invece non siamo fatti così siamo fatti in altro modo. ogni volta basta quasi nulla a riflettere sul quasi nulla che fa le differenze vere tra una vita e un altra. tra chi ti ama e chi ti sa amare. tra chi vorresti amare e non sai e chi sai amare e ti ama ma poi tu non ‘vuoi’ sembra. sembra che si possa non voler amare anche se si dice che non è possibile e che gli affetti non hanno regole e sono passioni animali e invece si deve indagare che le persone più affettive potrebbero essere le persone più tenere ed educate e disciplinate le più distanti dalla apparenza della soddisfazione costante dei desideri le meno attratte dalla sopravvivenza della specie. persone assai speciali che realizzerebbero la appassionata dedizione che si rivelerebbe tutta nel volto ritratto in una foto degli anni trenta di una sposa vista in chiari scuri delicati attraverso mimose: imbronciata consapevole e libera di non sorridere solo proporre. proporre è una scienza – una forma di amore dichiarato per il quasi nulla – una indiscutibile fiducia per l’intelligenza probabile di qualcun’altro nelle vicinanze. noi così creiamo l’idea dell’altro e dello spazio abitabile che è la distanza tra costui o costei e noi medesimi lì sotto l’albero delle mele.

Gli anni a venire per lottare contro tutte le conformità distorte degli arti anchilosati – per l’abbraccio di una ragazza giovanissima ad una vecchia – poi la postura aristocratica di un insegnante di lingua africano secco come una penna biro chino su un registro tutto ambra ed ombra e chiaro e rosso – e una donna palestinese assorta verso la finestra – un ragazzino di Capizzi che attraversa la strada e la linea delle astine delle ombre di invisibili personaggi in nero di controluce -e una ragazza che affonda lieta sotto la magnificenza di un grande volume di non si sa che – e un padre giovanissimo con una figlia che sono ambedue neri come la pece – e tu ti chiedi che diavolo ci sia di così specialmente umano nei volti della razza nera che sono sempre ‘belli’ e dignitosi e provocano l’invidia degli altri per quella loro eleganza e sei certo che si ha un bel dire il razzismo esiste – è una forma di odio per qualcosa che ‘la natura’ ha dispensato siccome dio non è giusto davvero e a noi è toccata l’arroganza della sapienza – ma ad altri è toccato avere tutti i risultati di chiarezza dello sguardo e di coraggio delle vite distrutte per amore e salvate per disperazione e l’armonia dei movimenti anche nel pianto funebre – figurarsi nella gloria dell’orgasmo e del tragitto dei corpi affannati di splendore che all’orgasmo ci conducono con passione densa nella melassa del sogno. ebbene a noi la sapienza che dio ci ha regalato in cambio di tutto questo aveva il difetto di lasciarci ben essere certi di tutto quello che avremmo solo potuto arguire.

Descrivevo sopra figure e pensieri fusi insieme di stamani che guardavo – mi bevevo con gli occhi – i portfolio fotografici delle pagine dell’Espresso on-line – neanche le più belle credo. forse il risveglio mi aveva lasciato con quel sogno di una donna che mi conduceva all’orgasmo nella densità di una sera di musica che era intelligenza pura e forse posso provare ad interpretare – adesso che nessuno mi ascolta e che nessuno c’è nella stanza e che forse ho dimenticato i volti cui dovevo essere riconoscente – posso rischiare di interpretare a me stesso – avendo rischiato da solo tutta la vita nella ricerca personale – e interpretare subito che forse l’orgasmo era la bellezza che vedo spesso e che la bellezza che mi pare di cogliere spesso sempre più spesso è un riflesso una proiezione di tutta questa ricerca di anni da solo di cui vado fiero – non fosse che mi fa diverso dall’inizio e questa è già una ‘storia’ perché è una trasformazione e forse l’orgasmo potrebbe essere il segno di una trasformazione ed è per questo che certi sogni paiono più reali della vita vigile. volevo che fosse parte del vero e al risveglio ho desiderato che accadesse e chi lo sa. forse dopo trent’anni a smentire che i sogni non sono desideri per opporsi alle ‘fregnacce freudiane’ stavolta vuoi vedere che avevo fatto un sogno che era un desiderio forse desideravo la sapienza di un amore.

Non si sa. Devo chiedere ad un geniale collega. Intanto metto la foto di stamani. Si chiama  il rosso e il nero.

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la maturità di una persona nel rosso di una festa

Se devo trovare sarà sulla linea: non penso agli spazi. La linea è luogo di immaginazione dei limiti dello sguardo è anche alla conclusione della misura delle braccia dei bambini a mosca cieca brancolanti e ridenti. Scrivere letteratura non importa, quasi mai. Tracciare linee interrotte storte arricciate riprese ricomposte sganciate e messe in altre batterie e convogli tutto questo darsi da fare tra mano e immagine prima che la coscienza piova: conta questo. Scrivendo certificare la dizione muta, la discrezione indispensabile a rompere, forse, il silenzio con la lettura. Il deserto dei tartari contiene eserciti di onde luminose  lo sguardo occidentale perde la profondità. Il tempo si impone come misura dominante del pensiero e rompe i patti con le prevedibili attese. Il tempo nello sguardo è provvidenza e prospettiva ( soltanto ). La luce diffusa attorno è tumulto creativo persino presenza umana. Persino autorità di noi e diritto. Ci sono ombre e, addirittura, società di esseri somiglianti nelle parole, nei tratti della scrittura ci sono i tratti dei volti, delle pose indimenticabili e le sculture: tutte le sculture che verranno. L’esercito dei guerrieri di pietra a guardia dell’imperatore non è che tutta la luce che non si offre allo sguardo ma all’avanzata del pensiero e del mare dell’immaginazione da subito e senza altro. La guarnigione sul deserto è improbabile. È/sono cocci d’uomo sabbia e sole. I tartari il futuro di luce e desiderio. Se devo trovare non c’è che quel posto dove riposare sulle gambe  contare dormire ripararmi dal sole la luminosità ha altre idee è rivoluzione della relatività e la donna sognata ha il volto di un genio una mattina presto del 1905. L’anno mirabile del mondo occidentale crollo delle fortezze rinascimentali. Neanche il genio umanista avrebbe superato l’esame. La medicina deve capire la trasformazione della vitalità che fa umana la biologia del feto e consente la nascita come realtà dell’io alla nascita. La medicina deve riconoscere la linea del disegno delle differenti scritture che fondano e sostengono i regni nelle favole e separano le funzioni nelle narrazioni diagnostiche. Noi si sa che si rimane a lungo nelle fortezze teoriche costruite di frasi: si resta per la durata del regno di uno ma talvolta per la durata di una dinastia. La fedeltà scientifica è quella dei soldati. La musica nelle feste per il premio Nobel ha a che fare con l’orgogliosa intonazione delle marce militari. La rivoluzione scientifica ha il jazz che improvvisamente irrompe dappertutto con le sue infrazioni. L’improvvisazione ha l’idea di donne uomini foreste spiaggie sottoscala per la preparazione della rivoluzione: sessioni al piano e alla batteria, lune fumo, ombre, sabbie, cocci, la nave spaziale, i gemelli in migrazione sulle astronavi, i destini differenti secondo la velocità e l’intelligenza.

Un essere umano è pronto a tutto, nella sua maturità. L’ingiustizia. La realtà somatica. La dittatura estetica.

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‘La Tempesta’ di ‘Golconda’

Nel cielo sopra le strade della città figurine con lunghi cappotti neri in un tempo storico incerto di ricostruzione che creano la nostalgia di un acquerello dove si vuole riposare perché ci sono tempi al riparo e i capolavori ne sono disseminati. Il Giorgione dipingeva La Tempesta (*) stendendo sull’erba l’ombra profumata di pioggia lo spazio libero tra il prato e le nubi per le parole disattese ma oramai incipienti ancora adatte ai nostri giorni, per discutere assieme sotto gli ombrelloni dei bar: della società, della politica, delle prospettive, di noi, della mattina in gioco, della donna disponibile, dell’uomo arrogante. Sotto l’incalzare dei passi che si moltiplicano via via che il sole si innalza e si scalda l’umore ché stamattina non avremmo detto di poter contare tutte quelle buone ragioni che arrivavano dal fondo. Insieme agli omini di Golconda di Magritte (**) che salgono e scendono nel condominio celeste ci chiediamo dove sono coloro che sanno avendo letto le evidenze senza lasciarsi confondere, dove sono -che ora potrebbero farci felici togliendoci tutti questi brividi- le modelle nude di fronte agli occhi dei pittori ritratte negli studi disadorni ma immerse poi in una allegoria di panorami come mantelli sul confine della figura mantelli affrescati con le cose di tutto un mondo di natura che veglia da allora per sempre quelle figure bianche come uno sguardo filiale vigila il sonno di un vecchio. Dove si sono cacciati quelli che a buona ragione dovrebbero aver saputo capire e non lasciarsi turlupinare da asserzioni confuse, quelli cui ci siamo rivolti nei dibattiti introspettivi attorno ai tavolini dei Bar Della Nostra Inevitabile Solitudine, mille volte restando composti senza accennare nulla più che condiscendenti sorrisi al mondo intero che scorreva ‘…non fa niente basta sentirsi sulle spalle quel calore del proprio diritto alla permanenza alla inutilità alla salvezza immeritata…’ e si sa ci dicevamo ‘….l’amore arriverà a sanare…’ anzi tutti amori adesso paiono anche i blandi sorrisi che ci trovano assolutamente preparati perché anche noi siamo modelle nude alle tempeste alle colazioni ai prati di papaveri allo sguardo disadorno degli unici dei che potrebbero darci la vita che sono ‘gli altri’ subito oltre il limite dell’area sottoposta a tassazione che ci viene offerta in cambio di fugaci consumazioni per esporre senza pudore una imbarazzante ed altrimenti incondivisibile solitudine. L’odio per le voglie assertive dei vicini è una vera e propria espressione che inforco con gli occhiali da sole, poi  contemplo lo specchio della vetrina che mette in scena il film muto delle chiacchiere e delle consumazioni all’interno della pasticceria e tutto quanto mi resta estraneo e tutti coloro che dovrebbero sapere avendo letto attentamente quanto c’era da leggere senza farsi incantare dalla critica mi passano davanti come gli omini di Magritte che pur se certamente vanno su e giù alla catena di montaggio della fabbrica fordista del tempo -come percorressero trasparenti canne d’organo- ebbene quegli omettini si rivelano assolutamente immobili ed il loro moto è finzione, movimento illusorio e per questo nel pensiero di nuovo si apre la voragine tra la ragazza nuda e le nuvole, tra la donna nuda e il lago alle spalle, tra i fianchi e i seni della modella di Matisse e gli occhi attenti ma non proprio affettuosi del maestro all’opera. La vitalità dei testi non contiene quasi alcuna intenzione di significato. Ti scrivo ‘amore mio’ l’indecisione costante l’eterno sentimento di incompletezza lo sdegnoso silenzio da cui nacqui e tutto il frastuono della sciarpa rossa che capita di avvolgermi al collo quando ho voglia di cantare. Sono sfuggito alla pretesa di aver prima qualche cosa da dire che mi autorizzi a dire qualcosa. Evoco la tua appassionata pazienza come la vitalità indispensabile se proprio vorrò sfuggire la fine e agito la magia di letture bislacche e frammentarie dove immagino abbiano messo i piedi quelli che sanno e molto prima di noi traversarono il confine. Gli omettini compunti di Magritte vanno al suono delle fisarmoniche come è evidente dalla serialità con la quale sono concepiti mentre escono dagli sfiati delle valvole sonore dei mantici: vedi è evidente dalla precisione di garbo probabilistico con cui sono stati disseminati in cielo che sono note rondini e onde elettromagnetiche individuate come flussi altrimenti invisibili d’un aria elettrica di tempesta. Vedi oggi sono un ragazzo da marciapiede la vitalità stava tutta nell’arenarsi sulle palme delle tue mani sognate aperte come sull’ennesima spiaggia di una serie inarrestabile di possibilità di continuare ostinatamente una certa ricerca.

(*) Giorgione: La Tempesta è un dipinto a olio su tela (82×73 cm) di databile al 1505-1508 circa e conservato nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Celeberrimo capolavoro, si tratta di un appassionato omaggio alla magia della natura, oggetto di innumerevoli, e ancona non definitive, ipotesi interpretative e letture. (Ricerche: qui )

(**) – “Golconda” René Magritte Olio su tela, 1953 : 80,7×100,6 cm. In quest’opera Magritte moltiplica a “stampo” il curioso personaggio presente in molte altre sue opere, caratterizzato dal vestito e dalla bombetta neri. Il paesaggio, composto da case e tetti tipicamente belga e da un cielo opaco e senza nubi, è ancora una volta caratterizzato da un realismo elementare…..(continua qui il testo critico su ‘Golconda’ qui ) ( ricerche su Magritte qui )

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quello che vorresti sapere di me

“Rimanete nelle vostre cabine: così, aiutate la tempesta. Che importa a queste ondate il nome del Re? Alle vostre cabine! Silenzio e non c’impicciate.” ( Shakespeare – La tempesta )

Ciao ombra danzante! Ero in mezzo alla ‘tempesta’ con William che sparava le sue bizzarre parole – ( lui birra, niente caffè) – e tu sei sbucata sotto il sole rigido di stamani e gli ho regalato le tue labbra e ora va meglio. Buongiorno!

Non so se qui e’ un poca della mia vita dislocata, o solo il misurato contrappeso del resto, che gli sta addosso, e non so conoscere ancora. C’è la successione degli ‘avatar’ e ci sono prevalenze statistiche di affezioni. Amori a margine. A sinistra dell’universo.

Ci sono riflessi di genialità multiple. Quelli cui ti rivolgi -senza risposte generalmente- sono icone, sono ‘te’ come ameresti essere: e questo è disinteressato amore. Perché loro non lo sanno. Qui la vanità non si spinge mai fino a qualche vana dichiarazione d’amore.

Semmai, qui, abbiamo questa silenziosa lettura dell’io intimo e ironico di ciascuno – che il nostro sorriso pronunzia conosce e svela. Esistiamo in ore traverse, tra il letto, la cucina, il caffè, il libro, l’orologio, la finestra. E il buio.

I twitter sono iper-comunicativi e non sprecherebbero una parola. Qui si contano i singoli fonemi, ed è una contabilità da taschino: centocinquanta unità per risparmiare lingua e fiato. Qui, soltanto qui voglio dire, si possono misurare accuratamente l’aria e il volume dell’insonnia.

All’inizio del giorno le ragazze diventano aureorose. Durante il giorno poi, le ore libere ci sbocciano sul palmo delle mani, lungo una linea della vita verticale. La domanda nella mente è -inutile dirlo- : ” Come devo pormi tra il sole e il suo sguardo per restare invisibile? “

Scriviamo parole d’amore copiando le nostre parole d’amore. Dichiariamo travolgimenti appassionati alle ragazze. Il loro silenzio potente ci travolge come piloti di guerra. Ammaccati dalla concretezza ripariamo spesso ali e carlinga, per volare ancora.

Leggiamo tutto il tempo, nel ‘frattempo’ della vita. Scopriamo che imparare a vedere è “cogliere le figure spaziali come lettere di precedenti sentimenti corporei” (Atlante delle Emozioni-pg227). Adesso dunque ti suggeriamo che potrebbe valere la pena.

Proponiamo tre sfondi plausibili: -il cielo sopra la linea di orizzonte dove si arresta la pianura -il tavolo fotografando dall’alto -il cielo, una volta che siamo distesi in mezzo al prato. Per incastonare tutto tra adesso e domani proponiamo il contro-luce.

Vorrà dire che ognuno, prima o poi, si troverà dalla parte opposta alla trasparenza dell’obbiettivo. Un peccato di opacità, immobilizzato in un momento casuale che gli era sfuggito. Ecco una vecchia bellissima musica , uno sfondo, dove andare a riprendere le cose.

Stamani tre viole. Poi un fading di viole su busta di carta chiara. Poi febbraio su carta antica. Poi sistemazione delle viole. Poi il grigio maestoso, che è stata una scoperta. Che fa un contrasto vivo con l’idea di rosso che ho di ‘lei’.

Le scoperte: il grigio maestoso si intona al rossetto indelebile, alle lavanderie a gettone, ai lanciatori di coltelli, alle fisarmoniche, a Lou Reed e alle enumerazioni. ( Là -peraltro- si perdono le tracce dell’origine delle seduzione e degli addii compassionevoli. )

Forse è quello che volevi sapere di me. Ma è solo stamani. Dovrai rassegnarti a cambiare il tuo modo di essere e di pensare. Io sono un twitter e faccio miracoli per restare a galla tra geniali espressioni di disincantato amore. Puoi immaginare.

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