cinque anni e gli arcangeli

Posted By claudiobadii on Gen 15, 2013 | 2 comments


Gelsomina e Zampanò - La Strada - Fellini - 1954

Gelsomina e Zampanò – La Strada – Fellini – 1954

Mi devi offrire, regalare, uno sforzo di passione, un atto di compassione, un ascolto. Mi dicono che certe volte questa mia ricerca di base sul pensiero umano ha toni di bellezza. Allora perché, mi chiedo, dove sono le radici. Ho cercato come faccio sempre, e le radici sono in tante cose, nella vita come marmellata sul pane di tutti i giorni, nel gesto della mano che imburra le fette di pane caldo che può anche essere mesto, per raggiungere la misura giusta della contrazione muscolare adatta allo spessore dello strato di sostanza sottile da distribuire omogenea. Innegabile certa tristezza.

Ma le radici sono soprattutto nella progressiva riconoscenza. Nel pagamento che fa il ricordo, il coraggio di una versione della storia che non è sottrattiva. Non capisci?Peccato. Le radici sono le mani di qualcuno che toglie il cappio dal collo.

Le radici sono nei cinque anni, nel film La Strada di Fellini del 1954, sono radici musicali nella musica di Nino Rota, sono in Zampanò e in Giulietta Masina, in quel capire che ‘presto’  e ‘tardi’ è sempre nella vita di chi amiamo e non nella nostra, che il tempo non è la durata della nostra vita, è la durata della vita altrui. Il tempo non scatta all’inizio del tempo. Scatta nel momento di cambiamento e di rivoluzione. Il tempo scatta nel mezzo del tempo stesso, nel mezzo delle durate. Certe volte scatena il dolore perché scatta solo alla fine. Nella nostra comprensione tardiva delle cose degli altri: ed è la loro infelicità. Nella comprensione tardiva che gli altri riservano a noi: ed è quando è tardi per noi.

Speriamo che per te non sia tardi, ora. Che il tempo che è questo ‘adesso’ sia simultaneo al tuo ‘adesso’. Speriamo che il mio tempo stia nel mezzo al tuo tempo e così avremo l’amore la passione e la comprensione. Avremo le basi della ricerca.

Sono andato a vedere il 1954 che avevo cinque anni. Fellini per me, quando lo conobbi, fu insieme al mare senza divieti. Quando gli occhi non videro più i fili spinati tra me e il corpo femminile che ora disegno di bianco e di algebra febbrile. La radice delle parole che scrivo è in quei viaggi casuali per il mondo. E il mondo si estendeva tra la spiaggia e la città. E adesso non molto oltre.

1954 pone le basi per cui è venuto il tempo quando ho cominciato a pensare “ma che c’entra il destino nell’essere qui, dal momento che QUI è sempre la domanda legata al suo volto al suo riso e a chiacchierare con lei al sole e dirle una speranza di ripetere oggi anche domani…” Il destino un poco si sceglie noi, e un poco è quando gli altri ci scelgono. Il tempo sono lenzuola che si asciugano al vento, come avevo disegnato nei primi tentativi di scrittura su Operaprima. Ma avevo solo disegnato.

Per fare un esempio: nella scienza che regge la mia professione è fondamentale il concetto di vitalità. Ma non era destino che trovasi quella idea geniale che la vitalità è cutanea e non muscolare. E’ che nel trovarla io potei immediatamente capirla. E questo fu per via dei miei cinque anni. Grazie agli avvenimenti dei miei cinque anni.

L’avevo capita legando a me l’aria che trovavo appena uscivo fuori di casa ai cinque anni nei campi di periferia.. L’aria quando uscivo fuori di casa era il grigio invernale che splendeva come adesso è la geografia legata al linguaggio: mi serve nella psicologia, per determinare una azione fisica delle parole sulla fisica del pensiero. Ora dico: il freddo eccita l’aria che colpisce la pelle e suscita l’intelligenza delle balene quando, insieme nel setting, ci troviamo a guardare il mare di fronte alla veranda.

Perché il quinto anno di vita fu un promontorio, il Capo di Buona Speranza. Gli altri a cinque anni furono buoni con me, buoni verso di me, furono i compagni di gioco sulle scale del palazzo popolare nei giorni di pioggia che non si può uscire. E ora grazie a loro posso dire che un palazzo è un maglione azzurro: che serve, e dunque esiste, solo in inverno. In estate ci si toglie, correndo fuori per trovare tutti, come si leva il vestito prima di dormire.

Nel 1954 l’aria deve avermi colpito con grande forza. E deve essersi legata a quanto è accaduto nella mente quando ho definitivamente imparato a decifrare, una per una, le frasi alla radio. O le altre frasi, quando gli adulti parlano come se tu non ci fossi, di cose che non dovresti poter capire. Quanto accadde nella mente in quei frangenti non lo definisco più, adesso, un processo inconscio, quanto un processo inevitabile e necessario. Un processo fisico che adesso mi permette di scrivere: condensando storia personale e comprensione delle cose, linguaggio attuale soggettivo e universalità di teorie consolidate (IDMEC)

Dai cinque anni sono quasi sessanta anni che, ascoltando la composizione del linguaggio, la pelle vibra di intemperanza: salvandomi sempre dalla prigione dell’incomprensibilità del mondo -che capisco benissimo invece- e, al contrario e in contrapposizione, non riuscendo mai a sottrarmi da un certo imbarazzante senso del ridicolo.

Si inizia a  leggere e scrivere a cinque anni, quando la vita si stende davanti agli occhi, fino ad una camera ammobiliata in affitto ad aspiranti attori e cantanti. L’aspirazione è per tre quarti capacità di rappresentarsi il futuro. A cinque anni la realtà è un fazzoletto pulito di cotone blu. Bene mantenerli i cinque anni. Nel film “La Strada” Giulietta Masina interpreta una Gelsomina che è tante cose: un’invenzione certamente inattuale, non moderna, addirittura antimoderna: ma neanche allora lo era. Non c’è mai un tempo adatto all’attesa senza sfiducia.

Cinque anni, scommettiamo che tutti sono d’accordo, è l’età in cui si scopre l’esistenza di strani amori senza uno statuto perché compaiono in cielo, sopra alle nostre teste ispide, arcangeli luminosi e cantanti: sono i fratelli delle madri e dei padri. Essi, per quello che a cinque anni se ne sa, fanno il giocatore di biliardo in doppiopetto e, nella vita che a noi mostrano, sorridono sempre dopo averla detta grossa. Sanno trasformare in epiche conquiste ogni singola speranza di essere baciati. I fratelli delle madri e dei padri hanno un lavoro, e tu puoi toccarlo, mentre ti tengono sulle spalle, proprio come si tocca il cielo con un dito.

Non c’è il destino: l’idea che mi feci del lavoro ha il profumo di lavanda e di dopobarba del barbiere di uno zio e quel dopobarba fondava la necessità di studiare le parole per amore, per raccontare di che sa uno zio, di cosa può sapere una storia, di cosa può valere una ricerca. E poi sempre l’avventura e il sesso talvolta, e la libertà sempre, e l’amore quando lo merita…. sono rimasti come il suo sguardo quando mi veniva a liberare da tutti: fresco e bruciante. Un’ortica medicinale.

Per quell’amore il lavoro secondo le stagioni è gabardine e cammello. La vitalità è la pelle del volto di un uomo giovane che profuma di bellezza e racconta che si poteva dire di no. La storia sta sotto la vitalità: la storia sono I muscoli magri del collo. La fantasia di ricordare i cinque anni con riconoscenza dice che la storia non è destino. La ricerca scientifica mi ha sempre suscitato un sentimento di fedeltà. Nella ricerca comune si sta insieme senza fare economia. La fedeltà è una coerenza come l’io narrante del testo di un romanzo.

Così leggevo romanzi che lo zio leggeva, che non sottraeva e non nascondeva. Che leggeva solo lui. E che poi ho letto anch’io. E adesso dico che la fedeltà è a mezz’ora di strada a piedi. Non è irraggiungibile. Ho scelto i cinque anni perché studiando la vita di chi si è dedicato alle figure nel cinema e si è dedicato a rappresentare la storia della formazione di una idea narrativa che è anche etica e scientifica, attraverso il movimento dei corpi nella recitazione, ho trovato La Strada –  Fellini e il 1954.

E ho pensato che avevo cinque anni e che imparavo, cercavo di imparare a leggere e a scrivere, e che cercavo anche di capire il linguaggio dei grandi e stavo sulle spalle di un arcangelo. E ho pensato che certi miracoli tornano, e ho immaginato la realtà di Fellini che ha potuto fare La Strada perché, come negli anni ’30 il mio arcangelo adolescente sfidava il potere e il conformismo del padre, rifiutando la parate fasciste; negli anni quaranta Fellini restava a Roma sfidando la sorte, avendo rifiutato l’adesione al partito, e la sottomissione alla leva.

Due miracoli: uno nella mente che è riconoscenza del profumo e della lucentezza della brillantina, si fonde  all’altro: quello di una figura che posso realizzare come idea perché mai io l’ho vista, alta asciutta: e con andatura dinoccolata essa traversa Roma cinematografica e filosofica, bellissima e pericolosissima. Come gli arcangeli traversano la mia mente costringendomi a scrivere i motivi di una comprensione.

Guardavo Zampanò che spezza le catene, ma non capisce la potenza di una figurina di donna, che ha il miracolo della fedeltà. Avevo pochi anni, appunto, diciamo cinque. Allora anche adesso ho cinque anni. Il tempo non passa. Lo spazio si volge, si gira, si avvicina e si allontana. Il tempo non passa. Il tempo ci avverte costantemente, continuamente, il tempo è pensiero. Il tempo esprime la fisica della funzione mentale. Delle funzioni mentali che passano dalla veglia al sonno e viceversa. Sono quelle trasformazioni i laghi di memoria. Dove si impara che le cose possono anche essere diverse. Sono arcangeli, figure create per riconoscenza.

Einstein dice che non avrebbe potuto scoprire la relatività se non avesse letto il “Trattato sulla Natura Umana” di David Hume. Che negli anni tra il 1902 e il 1905 si occupava di capire l’azione di Dedekind contro l’induzione nel processo delle scoperte o delle proposte di teoria nella scienza. Che era importantissima la visione di Ernst Mach. Pare, insomma, un certo modo di pensare il mondo sia sostanziale e inderogabile per migliorare la nostra intelligenza, il nostro amore. Nella scienza la riconoscenza è sempre una scoperta.

Ho ancora bisogno di un sacco di tempo. Per tutto il tempo che mi serve prendo l’amore degli arcangeli. Prendo a prestito l’amore degli arcangeli, per intanto… Il pensiero è gabardine e ortiche splendenti, è la guancia profumata di un giocatore d’azzardo che racconta, come fossero conquiste, tutte le speranze dei baci, tutti i suoni del proprio desiderio. Come fossi in un film di Fellini ho questo arcangelo circondato di figure femminili che danno un corpo ai concetti filosofici. Un arcangelo è l’idea di poter essere senza la perversione. Mi insegna a fidarmi. Il bello deve sempre ancora venire.

la foto qui

2 Comments

  1. Oggi ho chiesto ‘’Raccontamiiiii!!!!’’
    E qualcuno mi ha regalato questa immagine, che credo sia bellissima (sembra una filastrocca senza rima, magari lo è):

    allora
    siamo arrivati
    ci siamo seduti
    uno accanto all’altro
    all’inizio, una persona ha raccontato un sogno
    e tra un’interpretazione, un nesso e qualche immagine sparsa, siamo arrivati al secondo sogno
    il terzo è venuto facile, tutti e tre parlavano dello stesso argomento
    ed è scivolato tutto con semplicità (apparente) e bellezza
    la felicità ci ha sfiorati con un sogno
    quindi per ora è stata solo sognata
    provvedere al più presto a realizzarla
    il dottore l’ha prescritta
    e sessualità mi raccomando

    Allora io sorrido, sorrido… ve lo regalo questo sorriso!

  2. A cinque anni un ragazzo giovane, bruno, alto e snello mi rapiva dai miei (altri) parenti e sulla sua altissima moto mi portava verso un mare di rami e di profumo di resina e salsedine…e poi mi chiedevano perché tra tutti gli zii avessi occhi solo per lui!…pensieri e pensiero…gli anni che passano e che non sono mai passati, perché la felicità ha ancora quel profumo ed il rumore di una moto da enduro…ed io che dopo quelle corse in moto verso il mare, al liceo non sono mai riuscita ad amare la filosofia. Non capivo…perché si volesse dare per forza una struttura precostituita al pensiero, come se se ne avesse paura, come se dovesse essere rinchiuso dentro gabbie di prevedibilità, come se il pensiero fosse ridotto a mèro ragionamento…allora quale sarebbe la struttura del pensiero del neonato cullato da un mare di rami o di una bambina che dopo più di trent’anni sente ancora ha l’immagine di antiche fughe al mare? Non dovrebbero averlo finché non vengono resi edotti sulla relativa claassificazione secondo le categorie kantiane? Non lo so, magari non c’avevo e non c’ho capito niente io…ma occuparsi di ciò che hanno pensato alcuni della schematizzazione del pensiero altrui non sa di niente, parlare di pensiero e di nascita e di pensiero alla nascita sa di resina e salsedine…

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.