entomologia

Posted By claudiobadii on Feb 21, 2013 | 0 comments


storia naturale di una famiglia

storia naturale di una famiglia

ESTER ARMANINO – “STORIA NATURALE DI UNA FAMIGLIA”- EINAUDI -2013

(pagine 3 e 4)

“Ha ritagliato un quadratino di carta per me. L’ha ritagliato da un articolo di giornale. Mi ha consegnato il quadratino e ha versato la colazione nelle tazze. Leggo le parole dentro il quadratino. C’è scritto che i figli sono le frecce scoccate da un arco. Fuori è inverno, in cucina è primavera, la stagione più indicata per la muta.

Immergo un biscotto nel caffellatte e dico: tu devi essere l’arco. Mia madre fa un mezzo sorriso e chiude la rivista. Vuole vendere la casa, questo ha in mente quando si alza e sospira. Le forbici cadono dalla sua mano, colpiscono il pavimento e restano lì, nessuno le raccoglie. Una scheggia di piastrella è saltata. Lei fissa la scheggia, è piccola ma riesce a vederla. Poi si aggrappa con le mani al bordo del tavolo, stringe forte la presa e chiude gli occhi come si chiude una casa prima di uscire. Respira piano. Rallenta le funzioni vitali. Si ferma.

Da qualche parte ho letto che la muta è la fase più delicata della vita di un insetto, il momento in cui è maggiormente esposto ai predatori. E alle cadute.

Mia madre si è irrigidita e il suo corpo spoglio e odoroso di bagnoschiuma si erge immobile dalla pozza di spugna dell’accappatoio scivolato ai suoi piedi. Solamente la pelle si muove. Fibrilla di piccole contrazioni, scosse nervose che tentano di sfilarla dall’interno. A un certo punto la testa si piega in avanti e un brusco strattone spacca la schiena in due. Tra i lembi del taglio balena un corpo nuovo. Roseo, pulsante, bisognoso d’ossigeno. Da quell’apertura mia madre viene fuori lentamente, un pezzo alla volta. Per prima fa uscire la testa. Ciglia e capelli intrisi di liquido esuviale, labbra non ancora del tutto pigmentate. Poi libera torace seno e braccia, e si ferma ingobbita a cercare altra energia. Allarga i gomiti fino a scoprire i polsi. Le mani guantate di vecchia pelle rimangono ancorate al tavolo. Si solleva sulle punte dei piedi e con piccole oscillazioni del bacino libera i fianchi e le gambe. Allora sfila via anche le mani, si allontana cautamente da ciò che è stata e spalanca gli occhi. Li stropiccia con le nuove mani strette a pugno, porta via il liquido rappreso sulle ciglia.

Rimane a guardarsi. E’ scossa da un brivido di freddo ed eccitazione. Ciò che è stata non le appartiene più. Ciò che è stata non appartiene più a nessuno. Si stringe tra le braccia. E’ nuda, ha freddo. Abbandona l’esuvia ed esce dalla cucina.

Guardo quel corpo vuoto, ha le sembianze di mia madre ma non si tratta più di lei. E’ solo un involucro modellato a sua somiglianza in ogni più fine dettaglio, che ormai contiene solamente aria e pulviscolo. Mi alzo, l’appallottolo tra le mani e lo spingo nel cesto dei rifiuti. Raccolgo le forbici e le appoggio sul tavolo. Conservo in tasca la scheggia di ceramica e il quadratino di carta. Poi lei ci chiama in soggiorno, ci consegna degli scatoloni vuoti, dice: riempiteli con le vostre cose. E dice: crescere è abbandonare. Dice: possiamo soccombere, oppure possiamo rinascere.”

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