friggitorìa in un posto di mare

Posted By claudiobadii on Gen 17, 2016 | 3 comments


So che era per me. L’esplosione. Le parole messe insieme nella frase breve. Erano per me. Si sa quando una cosa è per noi. Non si sbaglia. Come la foto che è arrivata folgorante e inattesa. Come lo squillo del telefono con un nome che lampeggia verde sul blu acuto del display tra le dita.

Per noi era il buon pesce fritto rosolato caldo. Il pasticcino bagnato di caffè. L’occhiata sulla superficie formicolante di piccole onde. Per noi immediata la certezza di un benessere essenziale. Un sasso asciutto asciutto. Seccato -nero al sole che evapora l’acqua in piccole pozze di superficie- in pochi secondi.

Per noi è il tempo. Attraversa le case e le strade e l’aria, il tempo: va per il suo verso declinando come una curva che tende all’infinitamente lontano dove dovrebbe congiungersi alle case alle strade nel punto di fuga. Il tempo -come fosse una cosa discreta- sembra dirigere convergendo su noi.

Ma siccome non è una cosa discreta non ci toccherà mai davvero. Ci avvolge sussurrando leggi e teoremi. Ma, a conferma di quanto detto, non potendo fermarsi sulla pozza di sudore delle nostre attese, già turbina e, turbinando agitato, soffia oltre noi e alza nuvole di polvere.

Il tempo in tempesta porta soltanto una flessione modesta sulla retta del racconto. Vibra. Suona. Ma raffredda le cose e le disordina. Noi allora per contrastare il fenomeno ci serviamo delle parole in frasi brevi per tenere insieme il calore delle anime, la consapevolezza delle coscienze, i legami emotivi del discorso.

E ricordiamo. Anche le cose che devono ancora accadere. Il pesce rosolato caldo, il caffè, i pasticcini, un bicchiere lucido di liquore scuro, la pressione dei profumi della cucina della friggitoria sulla spiaggia, la dittatura ceramica delle sue insalatiere bianche e azzurre. Noi. Noi. Le foto ineccepibili di te al ristorante e dopo.

Le foto di me impacciato di qua dal tavolino, con una risata addosso imprevista. Io nelle foto infilato dal tuo sguardo curioso. “Chi…? Io…?” Sta scritto sulla mia faccia. Nemmeno sembra, nei file dell’archivio fotografico, che già tra noi si fosse trattato di anni di passione….

3 Comments

  1. La prospettiva accidentale, il mondo visto dall’angolo diceva il mio professore.
    Prospettiva accidentale, due parole capaci di gettare nell’ansia chi si appresta ad eseguire un disegno con questo metodo, perché implica grande precisione e meticolosità, implica di capire a priori dove posizionare il quadro ed i punti dell’orizzonte, per evitare l’anomalia prospettica.
    Eppure “accidentale” vuol dire semplicemente imprevisto, casuale. Perché è proprio quella prospettiva che si ottiene quando ci si pone davanti alla scena senza fare attenzione a porre il quadro prospettico parallelo alla parete frontale.
    Ne viene fuori una prospettiva dinamica e naturale come le cose più spontanee. Niente a che vedere con il solenne equilibrio della prospettiva centrale rinascimentale a cui ci ha abituato Leonardo.
    Pensieri tridimensionali aperti e scavati, una metamorfosi cubista. La sentenza medica di un utero impazzito ha fatto sì che la quarta arrivasse a toccarmi. Il tempo è stato impietoso rispetto ai miei pensieri allungati nel futuro, mi ha ricordato che non c’è più tempo da perdere.
    Le déjeuner sur l’herbe si era detto, una donna nuda con due uomini vestiti, un’opera straordinariamente anomala per il tempo.
    Convergono le linee di un quadro accidentale verso i due punti brunelleschiani dell’orizzonte, i fuochi. Distanti ed accesi i due fuochi. Un uomo da amare ed uno da cui desiderare un figlio.
    Forse una prospettiva di vita accidentale di cui temo l’anomalia prospettica.

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