adesso

Posted By claudiobadii on Dic 18, 2010 | 4 comments


adesso

Con tenera goffaggine, poiché trascuriamo le cose facili, portiamo variazioni ai gesti. Diciamo  “..vale la pena parlare della neve che non viene..” e anche “...la neve che non viene è domani….”. Poi ” …domani’ – che ancora non è – è la firma affidabile a garanzia d’un prestito...”

Vale la pena parlare della neve che non viene. Dei fiocchi che si aspettano. Di quanto promette di cadere dal cielo perché l’essere umano è pieno di fantasia e inventa le cose. Sa le cose che non ci sono. Che non ci sono ancora. Siamo certi di domani. Possiamo immaginare le nevicate. Adesso, lontani, immaginare l’arrivo.

Immaginare consente l’accordo tra umanità e natura. La nevicata, nel sogno, dice che le cose senza pensiero sono morte e ci feriscono. Che la biologia è fragile senza la permanenza dell’attività psichica. Per via del dormire e perdere coscienza ci è stato possibile realizzare la condizione dell’attesa.

L’attesa è la goffa relazione della coscienza con il tempo. Per quanto goffa è indispensabile, perché la coscienza, senza l’attesa, non è capace a difenderci dalla brutalità di chi non sa aspettare. L’attesa è l’equivalente della pausa del sogno nella vita. Attendere è sognare da svegli, ma senza confusione e pazzia.

Dormire,  perdere volontà e movimento ogni notte, ha consentito di raffinare il comportamento. La storia dell’amore dice che il comportamento dell’abbandono diventa, in noi, prassi di figurarsi presenze e voci che torneranno. La prassi di evitare la morte. In più del semplice comportamento di sopravvivenza, che è lotta per la vita.

Bisognava inventarsi il coraggio prima del movimento. Dopo il movimento creare, solo per i genere umano, la probabilità della modestia. S’è scritto gli spartiti del nostro stare nel mondo premettendo affetti al movimento. E scrivendo, con amore, le note di quanto si era fatto. Nella mente si graffia, con le unghie affilate, la grafica complessa del nostro singolare ‘destino’.

A volte nell’incisione risalta la geometria inequivocabile della genialità. Che non ha altro che il suo stesso nome. Alla fabbrica del genio il resto del discorso è chiacchiericcio. E si vedono trappole di ortica al di là del muro. Il deserto il deserto il deserto si ripete sotto le onde degli sguardi. Facevamo la vedetta tutti, consumandoci gli occhi. Diventammo ciechi per simpatia con il sogno.

Ad un risveglio, dopo il deserto, la parola ‘tempo’. La clessidra, la meridiana, le fiaccole che si consumano sulla testa degli schiavi: ogni fiaccola un grido. Il legame del tempo col dolore. Crudeltà della conoscenza.

Il tempo è divenuto materia sottile, cascata di sabbia. Il giorno scende lungo il segmento della clessidra. L’uomo diviene architetto. Le piramidi e i palazzi verranno costruiti con la rigida geometria delle ombre. Il grido dello schiavo ferito dal fuoco, invece, è allegoria della carne. Che è l’uomo la misura del tempo. Che l’ora è un grido. La puntualità uno strazio.

Dopo queste scoperte il pensiero sono resti di resina e catrame. Le variazioni di intenzione sono angoli di luce al suolo. Il tempo è la parola che si ascolta all’altezza del collo della clessidra. Bisogna accostarsi bene. La sabbia sempre fa finta di non essere ‘cosa’.

Comunque: il tempo ha aggiustato la nostra relazione con le cose inanimate. Reso abitabile il mondo. Si può sempre “…tornare al tramonto…“. E quando parti è poesia della luce. Quando arrivi, per chi aspettava, è miracolo nell’oscurità. Il tempo, come si vede, ha incoronato il viaggiatore. Ma poi, con senso di giustizia estetica, nobilitato chi aspetta.

La poesia e il miracolo non hanno estensione. L’estensione è l’ambizione di chi resta determinato a recitare il teatro. Il tempo allora complicò le intese  Non avendo estensione escluse molti. Creò una massa di sopravvissuti soddisfatti. Realizzò i propri simboli. I simboli di dei eterni. Permettendo l’errore che l’idolo sia fatto di promesse: tempo a venire. Ma l’idolo, di fatto, è una irrealtà, falsa rappresentazione di legno e marmo.

Del tempo si intende l’architettura. E la scultura. L’architetto e lo scultore disegnano il sogno della trasformazione. Costruiscono all’improvviso nella mente. Poi ammassano le pietre senza vita. Toccano, indifferenti, la morte, la natura che non ha immagini. Lo scultore e l’architetto hanno il progetto che, alla fine del disegno degli incroci di linee, resta a placare la diffidenza: gli esseri umani non sono cattivi.

La creazione del palazzo e della forma scolpita costringe alla piazza e all’inclinazione. Il tempo inclinato – e il ‘luogo’ – fanno l’appuntamento, il movimento collettivo e l’accordo sociale. Attorno: i confini. All’interno del tempo della costruzione: la differenza. La bellezza. Il discorso. L’arte, lo sporgersi, la fondazione. E la comprensione della realtà psichica, che è fatta delle cose pensate che ancora non sono. Opposta all’idolatria.

Ultimi, nell’evoluzione della vicenda in questione, vengono il rapporto, l’intimità, la rappresentazione. La figura, il disegno. La virgola il punto e l’accento ultimi tra gli ultimi. Caddero dalle dita insieme e senza suoni. Fu quel ‘cadere’ ultimo il loro ‘venire al mondo’.

Non c’è invece notizia – o figura –  del primo bacio. Si nascose subito, forse per proteggersi. Al centro tra il coraggio e la calma. Inaugurazione e fine del mondo. Del bacio si sa solo che è goffo. Che lo è sempre. Nel bacio ci si aggiusta. Non ci si rassegna mai. E solo capitolando si è eleganti. Tra le braccia. Sui fianchi. Appesi alle labbra dell’altro. Il bacio è tutto ciò che non si decide.

Siamo a noi. Siamo a adesso. Alla frontiera. Al linguaggio. Nel linguaggio, che non si sa che sia, sta la possibilità di scrivere la storia dell’amore. Quando il comportamento dell’abbandono diventa figurarsi presenze e voci che torneranno. La prassi di evitare, da questo presente, la morte. Qui, adesso, il linguaggio, che è tempo e frontiera, suggerisce la possibilità del tempo condiviso.

Di un patto sociale che è accordo irrazionale tra le persone.

4 Comments

  1. Aspettare la neve, aspettare qualcuno che entri dalla porta…aspettare che si colmi l’immagine di un’assenza ed anche se la coscienza sa che accadrà, quando accade, il pensiero consente comunque la magia della meraviglia

  2. mi facevo delle domande … mi riferivo alla questione se sia più il sogno o l’interpretazione a cambiare la vita ( di un analizzando )…non hai bisogno di essere perdonato, ma grazie per i trecento sorrisi!

  3. l’ansia non aiuta, e scrivere non è istintivo nè facile, non è abbandonarsi, ed è scomodare gli altri,
    ed è un poco faticoso specialmente se poi viene temuto come un esercizio di perdita di rapporto con la realtà
    ….trecento sorrisi per un perdono!

  4. Abbandonarsi è facile quando c’è il pensiero che sognare è più bello e facile del vivere…è in qualche modo preferibile… può essere il momento più bello della giornata…ma sei solo con te stesso …o è possibile sviluppare e migliorare i rapporti con gli altri grazie al sogno?…graffiando la grafica del nostro destino? O è l’interpretazione che gioca questo ruolo…o tutti e due…

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.