2014


sesso sulle scene


Posted By on Apr 24, 2014

Francoise-Gilot-Sono-l-unica-amante-che-si-e-salvata-da-Picasso-lasciandolo_h_partb“Niente di te discosto/ La poesia nella sintesi/ Il sesso nella recitazione/ Gli attori non potrebbero/ Fingere passioni docili/ Fingere d’esser bravi…”

©Robert Capa

Più di questo sole è il senso dell’acqua, che riposa. Le onde e i secchi straripanti per pulire le croste di sabbia lunare. Guardiamo gli amici sulla barca a sfidare. Dobbiamo accordarci sull’uso di verbi transitivi senza oggetti. Ci mancano luoghi in cui riposare le azioni delle quali i verbi transitivi (che implicano di compierle) costantemente ribollono. Abbiamo in mente le azioni sospese nel corpo dei verbi di pertinenza. Il pensiero ribelle sa far uso inappropriato di sé, e questo è scrittura quotidiana: incantare in gelatina di sguardi i pesci tirati su dal fondo della barca dove guizzano stanchi da che li abbiamo pescati, o ripararsi il sole che brucia gli zigomi con le vele delle mani aperte sulla fronte. L’indifferenziato impatto energetico dei raggi ultravioletti brucerebbe torrenziale fino dentro la preziosità degli occhi e tutto ciò che incontra se non lo riparassimo. Il sole contro una nave di legno troppo dolce e secco. L’indifferenziato impatto addosso alle navi e ai marinai brucia tutto: è il fuoco dell’ideale inesistente del pensiero ‘puro’.

Appena appena contro questo sole il senso freddo curativo dell’acqua. Il freddo che risulta dalla differenza. Stare nell’acqua fino al collo, galleggiare, essere ammalati e fantasticare: vincite alla lotteria, tempo disperso, strusciare al muro, alcolismo minore, scommesse, senza il tramonto l’odio dei climi medi di non essere nati e fare finta. Rifletti: i bravi attori protagonisti si baciano e finiscono a far l’amore. La macchina rumorosa del set non molla: cerca, stringe -spremendo- l’arancia di lei sotto la forza muscolare del ragazzo, e poi lei afferra lui, con dita ardimentose più di quanto lui sia stato pieno d’ardore: e allora lui splende di nero e violetto come una prugna sottomessa alle ‘sue’ labbra.

E a quella cima d’albero d’ogni frutto conosciuto una luce sprizza dalle loro mani, e finta non potranno fare più. Dopo, avvolti nelle lenzuola, ridono felici che la verità non li ha travolti. La bellezza dei naufraghi e dei naufragi si misura dove non parrebbe il caso. Nel fuori scena della recitazione d’amore che ha l’umanità assoluta. Semmai saranno i vezzi quotidiani a confonderci apparendo spettacoli e finzione. A questo si oppone ‘sto Scrivere Quaderni e Quaderni di Ricerca in Psicoterapia come azione di lotta. E’ che il setting, come il set, costringe a non fingere e insomma alla imprevista coerenza, divenuta ineludibile, tra parole e contenuti, tra ‘affetto’ e ‘conoscenza’.

Sotto le luci del palcoscenico fisiologia felice del tuffo è la nascita perché è massima stimolazione. Questa estrema variazione è ricordo dell’aria e della luce del primo momento fuori dall’utero. Inconscio/fuoco in aria e fiamme dagli occhi chiusi di passione. La finta che sia ‘tutto questo’ soltanto, e soltanto ‘questo’ sia, non è finzione: è l’unico modo di procedere. È una scienza il linguaggio e dunque, appunto, come s’era iniziato, ti ripeto e ripeto ripeto come un’onda  il senso che ho dell’acqua:

“Niente di te discosto/ La poesia nella sintesi/ Il sesso nella recitazione/ Gli attori non potrebbero/ Fingere passioni docili/ Fingere d’esser bravi…”

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Dunque eccoci a cena per scegliere quanto escludere. Cosa non ordinare. Per osservare quietamente il mondo della cucina da sale apparecchiate. Dove sediamo insieme e me che ti osservo respirare su giù su giù. Me che ti leggo le pietanze che non ascolto le mie parole. Sei testimone che è questa la verità della cena. Il mondo condiviso delle intese invidiate. Ci sarebbe assai da rivelare ma, no, è infatti in evidenza, e che vuoi rivelare. Sono decenni poco raccontati. Personali. Ininfluenti. Nessuno conta più così tanto. Anche se poi si sceglie di mettere in evidenza…. però mai la diffusa qualità. Semmai il genio. Non il cobalto né il mare né il cielo verdazzurro di Brasilia: si mettono al sole dell’osservazione le isole, i fenicotteri, il primo piano e, in poche parole, le rarità. Io, superbamente, alle cene, come un vescovo osservo altezzoso dall’impietosa mia altezza, seduto sulla pietanza al timo. Spargo i miei occhi stralunati dalle ciminiere dei vasetti delle marmellate di pere fichi pesche mele cotogne. Mentre scegliete scegliete mangiando già con gli occhi e consumando il dopo cena che invece dovrebbe essere, della cena, il piatto forte (salvaguardato sappiamo tutti perché…) sfamo gli affanni con la fantasia pseudo-aristocratica in realtà snob, solamente e miseramente snob (se sai l’etimologia): fantasia che lotta contro i morsi della fame. E con te accanto e gli altri sorridenti sopra i piatti bianchi e tiepidi si ergono sull’agora delle palme di tutte quelle belle mani ben lavate e profumate eroi-guerrieri stravolti dagli orgasmi con le ‘madri’. Fantasia sovversiva di incesti inevitabili per la penuria di vettovaglie nell’assedio, per la carenza di alimenti cui mi consegno anche oggi circondato dalle linee asciutte che voglio per me. Stecchi di gambe magre così che palustre è l’aggettivo che meglio si adatta alla mia cena. Palustre acqua smeraldina lascerei sgorgare con ruscelli di parole nel verde di erbette e ramoscelli. Poche parole, strette come mani impaurite. Così strette da far salire nella mente qualcosa che frigge il disegno di un fulmine di fortunale e mette insieme energia e tempo: direi…. “ostinazione”! La ricerca ostinata. Composizioni di persone su divani e seggiole antiche e cuscini in terra. Giovedì composero una scala di clavicembalo ben temperato. Do, do diesis, re, re diesis, mi, fa, fa diesis, sol, sol diesis: se vedi è nella grafica del disegno illustrativo precedente ad oggi. Vuol dire: una ragazza, un ragazzo, una ragazza, un ragazzo, poi accanto due ragazze ancora che si succedevano (mi e fa) secondo l’intervallo di un semitono e poi avanti fino al sol diesis. Legami di sangue. Intrecci di pensieri intravisti oltre il fumo profumato che sale dalla matassa succulenta dei tagliolini. Anche il pranzo della festa nel brusio e nel vapore richiama i fasti del laboratorio di chimica e elettrofisiologia e le cucine, si può anche aggiungere, come io credo sia il pensiero dei fisici contemporanei. Istrici e volpi ribelli della scienza. Penso, mentre ceniamo, alle cose meravigliose che mi mancano ancora da conoscere. Perdo appetito e mi viene l’orgogliosa umiltà che è il tempo che mi mangerei. In fondo, da ora in avanti, il poco di comprensione, quel tanto in più di quanto sarebbe stato normale aspettarmi, non sarà che provocazione anoressica. Offesa di  bicipiti deboli, e quadricipiti esili: sottili segmenti acuti attaccati saldi alle ossa in risalto, come le cavallette appese alle canne sulla curva per il mare, l’ultima prima della duna che va perennemente a fuoco ogni agosto e cuoce i piedi e la fronte.

Signora contessa…. vieni alla ricerca, stacca il biglietto con un morso uguale pieno di saliva di piacere quando affondi la vita delle tue labbra rosse attorno ai fianchi di quei fichi secchi che pochi rarissimi chef offrono, su tovagliette di lino, uno per ciascuno dei commensali arrivati fino alla fine: oltre il fiume dei caffè, solo per chi non teme l’insonnia.

È adesso l’ora buona di smettere di piangere per la ricchezza delle cose mai staccate via per sempre. Nella ricerca trascorsa fu sempre il futuro prima di tutto.

Mi sono regalato, in cambio di una serie di difficoltà e rifiuti, tutto quello che a tutti, quasi tutti, manca ad esser ‘pronti’ per la notte.

 

 

 

 

 

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“LA GIOVINEZZA ALLE ORTICHE”
copyright:claudiobadii

Dopo la crisi restano i bastoncini di legno a terra. Gli shanghai. Il reticolo anatomico dei neuroni della biologia cerebrale ha implicito che pensare non potrà essere comprendere, dipanando uno dopo l’altro gli elementi dell’intreccio, in un percorso lineare privo di eventi collaterali.

C’era la certezza di -non-so-dove- una ‘crisi’. Ho accettato di cedere alla ‘necessità’ di porre alla base delle foto le notazioni degli anni, (nascita/morte), che facevano risaltare la troppo breve vita di Francesca Woodman.

La sera di ricerca non si è riusciti a risolvere la crisi. Il modo non cosciente, che precede la coscienza, aveva colto qualcosa. Ma durante la seduta di psicoterapia di mercoledì scorso, la crisi, indicata, si era dimostrata generale: l’uno non coglieva la ‘cosa’ degli altri.

Le ore della seduta: le dita delle ‘loro’ mani passavano forti, tuttavia indecise, sulle corolle di fioriture immaginate, tirando via semi tinti di blu scuro elettrico, che erano nascosti nelle pieghe degli stami vegetali.

Erano i secondi, che fanno i minuti e le ore. E, quando ‘loro’ sono andati via, i semi sono restati a terra. E i semi erano di nuovo i bastoncini dello shangai che si gioca da ragazzini.

I punti e i segmenti, sparsi sui riquadri di cotto, componevano le durate su un’area: non più lungo una successione lineare. Il tempo appariva seminato sul pavimento, dopo lo stimolo improvviso e massiccio dell’assenza di persone che se ne erano andate via in pochi secondi che aveva attivato certi flussi sinaptici nel reticolo della biologia cerebrale.

Per quanto essa sia anatomicamente segreta e protetta, la fisiologia è quella di essere attraversata da onde bio-elettriche. In quel caso si trattava dello stimolo di una stanza improvvisamente vuota che in me ha determinato la ‘coscienza’ del dolore: percezione illusoriamente riferita (diffusa) su un corpo ‘fantasma’: la stimolazione centrale delle aree sensitive epidermiche può causare la ‘ricreazione’ di ustioni periferiche.

Una cosa della mente, inaccessibile ad ogni invasione di oggetti, diventava una serie di spine diffuse sul corpo. L’onda di eccitazione, percorrendo le strutture cerebrali, ha diffuso il dolore in un attimo. Ero insignito di un mantello nero di ortica, e il corpo si è sentito ammalato.

Dura nel tempo, e la durata e l’intensità, in modo opposto, sono proporzionali alla vitalità. Fino a che il nero diventa blu radiante e il dolore guarisce la mente: insomma in quel caso non era malattia biologica, ma azione della fisica del pensiero sullo schema corporeo.

Per cui, diciamo che il pensiero dava fuoco all’homunculus sensitivo come a una strega del seicento. In questo attualissimo caso dico che il dolore, così evocato e provocato dalle azioni mentali, era indispensabile ad evitare il suicidio della disperazione.

Sono ventiquattro ore, poi trentasei ore, circa, da mercoledì sera. Il dolore ha focalizzato la percezione di una imbarazzante inabilità che si accentua fino a sembrare fatale. Poi ha lasciato, poco a poco, che la mente realizzasse l’idea di una gravidanza a termine, e un parto.

Rapidamente è scivolato, sollevandomi dalle ambasce, il pensiero per cui, se ricordo bene, doveva essere maggio del 1982, quando scrissi la lettera di addio al mio incarico universitario. Poteva forse essere fine marzo o metà aprile quando l’invasione della luce, per la strada del mare, mi aveva inclinato a prendere la decisione? Non lo saprò mai.

Saranno stati i rami dei cespugli selvatici fioriti lungo la strada, coi loro intrecci bizzarri, che forse mi ricordarono il gioco degli shangai, e il tempo di catrame sotto le ruote che vibravano impercettibilmente ad evocare le autostrade sinaptiche dell’anatomia cerebrale?

Non sapremo mai neanche questo. Può comunque essere stato così nella mente di un giovane medico alle prese con la anatomia, la fisiologia, gli amori, le intemperanze dell’ignoranza. Tutto alle soglie dell’estate.

C’erano:

-potenza e incoscienza.

-la giacca azzurra della giovinezza.

-la neutralità impossibile.

-uscire dal gruppo dei clochard aristocratici.

-buttare la giovinezza alle ortiche.

Butto alle ortiche questi anni di ricerca. Cambio ancora. L’intreccio bello del cespuglio come un nido di cicogna sui cammini accesi per scaldare la nascita dei bambini. L’intreccio della fisiologia del pensiero porta con se il profumo dei fiori lungo la strada.

La vita mentale ha origine materiale. La frase “realtà non materiale” è una locuzione scientificamente fuorviante a proposito della natura fisica della mente. Quelle parole hanno un indubbio fascino letterario, per il resto rappresentano un’idea ed hanno l’esistenza di un fremito sfrigolante.

La scintilla dei treni su e giù per la penisola. Freccia rossa del risveglio e, precisamente, una scintilla. Le scintille ogni istante sono più numerose delle stelle visibili e dello stesso numero delle invisibili. Miliardi di miliardi di eventi elettromagnetici. L’unità di tempo è mente cardiologica e meccanica.

L’azione permanente del pensiero sa, in genere, comporre cuori e cronometri. e si può scrivere che la fisiologia umana delle attività cerebrali ha un’esistenza poetica, dunque solida e per niente letteraria. Una poetica esclusiva delle scienze esatte. La sua bellezza è non avere alcuna necessità di validazioni filosofica d’essere ‘realtà’.

La modalità relazionale della psicoterapia, grazie alla consistenza fisica dei processi ideativi, può operare sugli stati funzionali corrispondenti agli affetti di rapporto. Essi furono nominati, durante gli anni di sviluppo della scienza psichiatrica, transfert e contro/transfert.

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evvabbè


Posted By on Apr 9, 2014

“Prodotti chimici”. È così che generalmente si dice, come sapete. “È una intossicazione da chissà che schifezza…” E poi fiumi di rabbia di sfoghi contro il potere. Cioè contro i potenti. Poi chi ha il potere, quello di rovinarti la vita spesso è, al contrario, senza potere. Ma è di cefalea che parlavano stamani. Una cosa che non si sa. Prima non c’era. Poi eccola. Prima di cosa però? Non si sa neanche quello. Prima di esserci non c’era. Poi c’era e non se ne è andata più. È venuta su come una fontana di punte di spillo che ora scorrono dentro le arterie fino ai capillari e fanno male. Una sorgente di dolore. Di dolore e di mistero. Per fortuna stamani non c’erano che 1)questo sole e 2)la solita serie di 2a)incontri di 2b)pagine profumate e 2c)caffè: che sono tra le pochissime cose nelle quali posso vantarmi di aver avuto successo. Dolore e mistero diventano dunque, in queste mattine, 1)la breve contrazione delle palpebre fuori dall’androne di casa sul sole, e 2)il ritorno al fascino silenzioso dell’ombra del bar. Là, in fondo alla sala, come nella caverna di Platone, figurine avvolte negli sbuffi di vapore della miscela di polvere di Nepal si agitano desiderabili e ignare del mio desiderio.

Vivo in pochi metri quadrati. Il mondo non si mostra a chi non lo interroga continuamente e ossessivamente. Io non chiedo e il mondo non mi si mostra. Mi si mostrano volti che amo senza avere, per quanto sia in grado di comprendere, alcun interesse ad una personale riconoscenza. La capacità è anonima, la medicina è una scienza. La mia professione si occupa di un umore profondo che resta vicino ai mitocondri dentro il citoplasma, nel vulcano delle energie cellulari. Sono secrezioni di amminoacidi e proteine, di molecole e rotazioni di molecole, secondo attività continuamente variabili in un universo che sfugge all’indagine volenterosa. Costringendo la curiosità della coscienza a diventare tempo di lavoro, passione e definizioni di chimica, biologia, fisiologia, fisica, osservazione dei comportamenti, studio clinico del pensiero, relazione comprensibile dei risultati, studio e sintesi personale, e -alla fine- ritorno sul soggetto, interesse alla vita.

Verifico dunque fenomeni ‘segreti’ che non sono storie indicibili (le storie sono sempre uguali) ma pensieri articolati su piani innumerevoli, superiori alla pur elevata complessità linguistica della specie. La maggior parte delle cose restano dunque segrete. Per la gioia di perdenti generosi che guariscono del loro precedente controllo compulsivo. Vivo, qua, di sfrigolii vellutati delle dita sui braccioli delle due poltrone e dei due divani. Sebbene, anni fa, avendole trovate nell’arredo abbandonato dagli antichi proprietari, abbia arricchito la stanza di alcune seggiole. Riciclate, niente di nuovo. Uguali a quelle di modeste barberie di quando avevo cinque anni. Come sia rimasta conservata qua questa mobilia di legno poco pregiato e di foggia delicata, un po’ ‘francese’ mi piace pensare, non so. Risulta comunque adatta a me, al mio contro/transfert verso il mondo la vita e le sue forme. Sono mobilia essenziale e assai ben costruita, adatta all’unico modo di accogliere le persone che trovo pieno di stile. Deve essere oramai evidente come io, per stare così sempre solo, mi ritrovi assai spesso a vivere di atmosfere.

Le persone sono il vento che entra. I colori del mondo, dicevo una volta. Perché io il mondo lo sto trascurando e, se non lo tartassi con tentacolari filamenti di verifica e non lo interroghi ossessivamente, il mondo ti dimentica. So dunque che se resto isolato nessuno ce l’ha con me. E’ che sono io che non frequento balere, aperitivi, mostre, premiazioni, prime di spettacoli, presentazioni, incontri diversi insomma tutte quelle che con distacco supponente definisco liturgie sociali. Preferisco così. Non ha alcuna utilità, a mio parere, per la conoscenza, essere presenti a quasi tutto. Alla conoscenza è utile restare appartati e studiare. Niente di tutto quanto è spettacolare o vuole essere spettacolare è utile a niente.

Curo il risveglio: il mondo inquadrato nella cornice della finestra che da sul giardino- E curo la conclusione delle giornate: negli aloni delle luci elettriche che si sciolgono come un gelato nel cono ovattato del sonno.

“Un individuo si vantava del proprio successo di saper restare solo”.

Ecco, a me pare di capire ciò che mi si vuol dire coi sogni. Mi pare ‘naturale’ comprendere come sia che le persone che vengono con la rabbia e la disperazione nelle stanze per la cura del pensiero, possano intuire -bene e male- che un sogno è un modo di ‘reagire’ alla coscienza, di ribellarsi. In questo caso ho risposto che anche io mi vanto del mio successo nell’arte di saper restare solo. Che restare solo è anche quello un modo che somiglia al sogno, un modo di ‘reagire’ alla coscienza esasperata delle liturgie sociali. Ho detto che

“…la solitudine è come un sogno da svegli”…

La seduta è scivolata via, senza che io possa sapere cosa davvero quella persona ha pensato. Magari lo scoprirò nelle sedute che verranno.

Alla fine della seduta, poi, ero andato al bar, cinquecento metri da qui, (ma neanche saranno cinquecento metri forse sono meno)… ed è là che dicevano dei mal di testa, delle loro teorie sul mal di testa. La rabbia contro i potenti che spargono veleni. Nessuno si chiede se per caso siano gli impotenti a spargere puntine da disegno sotto le nostre palme, sotto i nostri fianchi, sotto le piante delicate dei nostri piedi. Da anni bisogna stare attenti ad evitare la confusione. Dicono che però così si resta soli. Me lo dicono sempre, come un deterrente decisivo. A me viene su tutto d’un fiato come quando risalivo dal fondo del mare nelle gare per le conchiglie

“Evvabbè”…

Poi, come se pienassi i polmoni d’aria prima di tuffarmi di nuovo per un tempo ignoto, aggiungo un altro superbo pensiero

“Resteremo soli”.

Per questo mi par di capire cosa significa questo sogno che mi viene raccontato, di vantarsi del proprio successo nel restare solo. Forse questa persona sta realizzando la legittimità di una propria esigenza. Si è vero che nel sogno c’è una ‘vanità’, una ‘negazione’: questo è perché vantarsi del successo di una solitudine che diventa plausibile, beh, in effetti, è una magra consolazione. A meno di essere arroganti e provocatori, non si può affermare che la solitudine abbia molto da offrire. Però, ora che ci penso, forse si: da quando ho imparato a star solo la cefalea se n’è andata. E forse anche la rabbia. E i tentativi nevrotici ben dissimulati di controllo su tutto quanto potrebbe sfuggirmi.

Un piccolo spunto per la mia ricerca. La certezza che esiste l’altro consente di lasciarlo vivere. Non è solitudine: è solo la cessazione definitiva del controllo sulla vita e la realtà dell’esistenza altrui.

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pensiero gravitazionale


Posted By on Mar 22, 2014

Compito affascinante. La natura della realtà umana. Charcot e Türing avevano domande sulla realtà umana. Volevano forse vedere poco più in là del proprio naso dietro la fronte dell’altro? Beh sembra si. Türing passa fogli con scritte da computare tra macchine e persone. Le persone scrivono domande e di là si compilano risposte: come saprà l’uomo sperimentatore esser certo se risponde l’uomo o la macchina? Charcot per altro verso si sarà messo, cent’anni prima, a schioccare le dita e indurre la crisi pubblica nelle “isteriche” che rapidamente e per un tempo discreto assumevano atteggiamenti posturali (e non solo) di una “patologia misteriosa” che non era più parsa -nelle ricerche di anatomia patologica- riferibile ad alterazioni grossolane del parenchima cerebrale. Intanto che si pensa questo, poco a poco, la crisi si risolve in una indifferenza definita ‘bella’ per dire impensabile improbabile imprevista ma, soprattutto, ostinata e impenetrabile. T. e C. li lascio come cilindri di un motore a scoppio, portali dell’ingresso tempestoso ad un buco nero, per raccogliere energia di rimbalzo e compiere una scampagnata poetica sul ponte dell’irrequietezza…. oggi che è primavera. Hai sognato un regolo di misura, una freccia nell’occhio. Aaàah urla il pensiero nel cominciare la relazione. E devo capire il dolore e sorridere, per trasformarlo, come sempre, in eleganza. Io stesso avevo scritto di un acuto dolore al polpaccio, ma ‘lei’ ha detto -interpretando amorevolmente il contro transfert- che allora ero Frida Kalo alla ricerca del medico affrescatore, l’amante bambino che mi togliesse il senso del dovere che da sempre mi tiene ad essere bravo di fronte a chiunque. Per questo dunque avevo tolto la poltrona di fronte, fanno oggi tre settimane (o quattro forse). Non sapevo perché. Spingendo via la poltrona pensavo che avrei potuto farlo anche prima. Ma mi viene detto adesso che addirittura, fossi stato più ‘sano’, avrei dovuto farlo mooolto prima. Perchè chiunque si sedesse là, senza alcun suo ‘volere’ avrebbe evocato la mia tristezza come la traversa di ferro aveva infilzato una ragazza di diciassette anni appena innamorata un giorno in Messico. Non si sa perché viene questo legame profondo di conoscenza tra me e gli analizzandi. Viene comunque oggi che è primavera, per operarmi, liberarmi, lasciarmi sanguinare e vivere le conseguenze nella cura e riabilitazione. Sarà che ricordano che il 21 marzo 1986 consegnai loro il manoscritto del primo capitolo de ‘Lo psichiatra innamorato’ e fui ferito e adesso è la primavera del ricordo, è il risveglio dalla malattia provocata dalla ferita. Questo ‘amore’ per la ricerca è un risveglio continuo insomma è vita che non passa ogni giorno che passa. La vita di cui devo parlare da medico lasciando nella tasca calda il tuo anello nascosto agli invidiosi. Lasciando il romanticismo delle aspettative ma tenendoti come un talismano scientifico, come un antibiotico sicuro che mi salverà la vita, uno di questi giorni. Lontano nel tempo, come gridava il mio cantautore più amato. Lontano domani, domani lontano da oggi che mi salverà la vita una pasticca un preparato galenico estratto  sentimentale delle tue mani. La passione per il metodo dello studio la solitudine la marginalità le traversate la sabbia le strade sabbiose le ombre estive sedere sui gradini delle scale (e molto altro) è l’acquisito che non passa…. e perché dovrebbe poi? Che puoi non interpretare ma poi le cose vengono da sole. Vengono gli amori non cercati come sempre sono venuti. Io avevo quella fermezza del ferro dei binari che traversa la vita ma ora resta un acciaio lucido non più orizzontalmente disteso. Ho avuto la fortuna di comprendere che il non cosciente ha una logica non lineare, e una volta dicevamo che dunque somigliava a comportamenti quantistici. Però mi sembra più proficuo se alla concezione di un invisibile sub-liminare e irrazionale, di natura un po’ filosofica, avvicino il modello di una fisiologia gravitazionale, per avvicinarmi a stati fisici della mente nel suo spumeggiare continuo dal mare cerebrale. Forse è solo la ricerca di formule e linguaggi sempre differenti che mi paiono scivolare più agevolmente nell’universo delle reti neurali. Di fatto la ricerca pretende d’essere più vicina al vero di altre prassi. Più della costruzione di ponti e dell’arte della scultura. Derivare dal rapporto che il dolore acuto al polpaccio era -più che una tristezza -l’accadere improvviso di una attivazione sensoriale per la luce gialla che esplodeva (così avevo scritto) nella sala. L’esplosione portava l’idea di una deformazione della trama spazio/temporale. E le deformazioni di quel tipo sono fonti di energia smisurata tanto che fare il nesso con la vicenda di Frida Kalo non è una esagerazione! Ed è come dire, contemporaneamente, che il dolore può portare, con l’energia di trent’anni insieme in un punto, la genialità di una attivazione massiva del pensiero in un tempo quasi privo di durata, e insomma una irrimediabilmente nuova comprensione delle cose. Come è irrimediabile questa primavera. Ho cosparso la strada di fiori e parole per fare regali a più di un amore. Senza vergognarmi di avere tante persone in mente e sulle dita. Speriamo che restino, che non siano gelose le une delle altre tutte queste persone. Perché sono sentimenti forti che mi riguardano e senza queste relazioni d’affetti intensissimi non saprei esistere e non so come sia che gli amori non vengono mai soli.

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natura della materia umana


Posted By on Mar 16, 2014

La potenza frusciante dell’ideazione si alimenta di fiumi succhiati traversando filtri di limpidezze dal fiume della pigrizia. I blocchi di coscienza sono affetti neutrali indifferenziati diffusi non ancora formati che restano accoccolati ma non fissati ai tratti logici (i segmenti rettilinei) dei legni della zattera. Blocchi caldi di giovani corpi naufraghi su isole pietrose. I frammenti verbali sono accenni di dita forti che rubano i granchi grigi e rossi sul nero della lava da portare ai denti che li immobilizzano per renderli inoffensivi alle labbra che succhiano via la polpa. La coscienza è un guscio disarticolato. Le parole si formano perché il vento di mare si insinua nelle vie della fortezza dove la polpa non c’è ormai più. Il linguaggio verbale ultimo corvo volteggia sulla testa del soldato nemico dietro il tronco a cento metri. Per l’amore il centro del torace è il bersaglio succulento di Cupido nascosto e Cupido è dunque un cecchino col becco d’aquila che strappa il cuore. Tanto parlarti è una pretesa di conquista perché ogni amore è il cimelio di un orologio cioè una pendola atomica per contare le ore che abbiamo disperse ma non scordate. Mi ero perduto sulla spiaggia del delta e contavo i tronchi grigi lisciati dalla schiuma. Si può non fermarsi più e chiamare solitudine Venere emergente dalle onde e allora chi guarda chiede come è possibile e non capisce che è la luce della spiaggia del delta la fabbrica delle armi di metallo per sterminare la noia in combattimenti isolati. Bontà, cattiveria, bravura, imperizia non consentono confusione di fastidi intermedi. Gli esseri umani soli non hanno la dialettica a causa di una indecifrabile contrazione del tempo che l’isolamento determina in loro. La densità necessaria a sostenere la solitudine rallenta ogni successione e gli scambi verbali si dilatano mentre le figurine degli attori divengono scure scure di puro carbonio. Nella ricerca in psicoterapia il linguaggio segue alla struttura fonetica delle parole. Si scopre che non c’è alcuna dialettica di istanze che garantisca una scelta coerente tra sinonimi alternativi per costruire il significato. L’ideazione varia tra scelte di amori ugualmente anarchici. È riflesso di come vanno le cose nella materia quando essa si assottiglia fino alla generazione del linguaggio. Il linguaggio che mantiene tracce della propria morfogenesi dai fonemi esprime la sensibilità dei fasci di sensazioni immanenti al suono delle frasi che si dicono. Forse nella relazione umana il latente invisibile è di esseri che hanno resistito alla disperazione della solitudine. Conoscono luoghi dove nessuno ascolta o guarda, dove non ci sono ancora mai stati quelli che ti guardano sorridendo non a te, ma solo alle proprie future aspettative nei ‘tuoi’ confronti. Si esce allontanandosi piano dalle sabbie dorate del delta. Dopo tanti passi, che quasi sprofondi ogni volta, non sono importanti le leggi di uguaglianza e libertà: nella solitudine non c’è uguaglianza e la libertà è fin troppa. Si esce piano verso una ricerca di base, ci si scopre diretti, non si sa come, ad uno studio accurato del fenomeno di generazione del pensiero, come se non fosse importante, adesso, la critica dei contenuti. Ci interessa la sua natura. Questo implica nozioni di estetica della scienza della materia, ed una certa resistenza all’attrazione delle abitudini normative della morale. In sintesi: si esce dalla solitudine che non ci ha disperati con una differente comprensione della natura della realtà umana. Potrei dire dell’intuizione che le ‘cose’ umane non sono come appaiono, sono migliori.

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