fisica


sangue e miele


Posted By on Mar 9, 2011

sangue e miele

È che non sempre colgo il senso nelle successioni temporali. Come se la storia non avesse alcun interesse. Non capisco il tempo come gli altri. Una concessione felice, il tempo. Disapprovo che si porta beh, che si porta davanti i fantasmi.

La riflessione sposta con forza l’incrociatore dalla banchina dell’ozio. L’anomalia determina una festa di libertà. Non devo condividere alcuna prevalenza statistica di senso. Non perderò tempo ad accordarmi sul colore degli occhi che amo. Sappi che t’ amo.

Per ingannarlo, il tempo, leggo qualcosa, certe volte. Il tempo non si inganna: mentre leggo distrattamente o appassionato lui, il tempo, mi mette le mani addosso. Legge il mio d.n.a., scorrendone i grani di rosario, tra le dita. Così io conosco le mani del tempo.

Il tempo non passa. Semmai passeggiamo insieme. Quando mi soffermo. Anche quando le cose vanno malissimo e con il tempo non mi accordo. Non con la sua velocità relativa, per lo meno. Allora devo mettermi al passo. Non ci sono parole. Proprio no.

Il fascino del colpo di pistola alla partenza. Gli omicidi rituali e la rappresentazione di quanto finisce. La morte del padre e della madre nelle parole di una canzone popolare. Una serie di avvenimenti inapparenti creano legami ignoti indissolubili.

Il quasi niente di massa infinita esplora il tempo. Il quasi niente di massa infinita è il pensiero. E’ il pensiero che esplora il tempo: secondo la forme di passione specifica dei cercatori. La forma specifica della passione dei cercatori è l’acqua del fiume.

La forma specifica della passione con la quale il pensiero esplora il tempo sono i movimenti involontari delle mani nelle tasche: nell’imbarazzo della prima volta di fronte alla bellezza. Nel freddo dell’ultima volta al cospetto di te, quando non ci fu più tempo.

Non ci sono parole. Bisogna esserci passati. Dopo si sa che non si deve più necessariamente condividere alcuna prevalenza statistica riguardo al senso delle parole. Il tempo si perde, ad accordarsi, inutilmente, sul colore del ricordo degli occhi.

Il tempo è una realtà fisica dell’immagine e la figura corrispondente è sangue alle dita. Righe rosse sui polpastrelli. Argomento d’amore per la forma che tiene insieme i suoni che corrispondono alle figure. Le figure sono il tempo che non vuole passare.

Le figure -il tempo che non sa trascorrere e ci resta sul palmo come miele- diventano persuasione di una possibilità e cura di una disperazione. Che il mutismo non sarà per sempre. Alla fine il tempo diventa anche parole. Non sempre.

Il tempo che va via è immagine. Incerta conoscenza. Colore degli occhi di chi ritorna e tornando -imprevidente- rischia di nuovo il disaccordo.

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cross dalla trequarti di campo


Posted By on Feb 25, 2011

cross dalla trequarti di campo

Certo vorrà giocare ignorando tutto quello che si frappone. Un rapporto con la realtà delle cose straordinariamente moderno. Ha una realtà fisica di pensiero che usa perfettamente le cose- fogli matite le sue mani delicate. Usa me. Una bacchetta magica.

Poche righe molto estese. Arresta la mano appena prima di finire con la matita sul piano della scrivania. Io mi faccio quasi niente nello spazio che rimane tra il taglio della carta e l’incisione della linea nera.

Ha suggerito la ricerca assoluta di una migliore comprensione. Stando insieme. La festa delle ore intere. La realtà materiale le cose concrete i fogli i corpi abbracciati. La realtà del pudore ruota il viso prende i baci di lato ‘fa’ la grazia dei segni sul foglio.

La natura dei fiori che copia, gli elementi di casa -tavoli sedie scrivanie cuscini. Fogli e matite. Abbracci al mio corpo di legno inadeguato alla delicatezza. Il suo corpo che volteggia composto e ‘fa’ la danza del gioco e del grido. Io lento, accorto.

Volta appena il viso per prendere i baci di lato. Una rotazione improvvisa -così il bacio le arriva come un cross dalla trequarti di campo.  Io rido per nascondere la felicità che capisco il pensiero. E’ pudore e sapere. Che è presto per fare amore dei baci.

Io posso capire il (suo) pensiero come realtà fisica astratta non materiale. Amarla. Ho la certezza che l’astrazione -che chiamo comprensione del (suo) pensiero- non è irrealtà di una non-esistenza. E’ una azione dell’intelligenza alle prese con la meraviglia.

Certamente troverò anch’io -ignorando tutto quello che si frappone- un rapporto con la realtà delle cose straordinariamente moderna. Idee estese. Quasi-nulla evanescenti nello spazio tra il taglio della carta e l’incisione della linea scura delle parole.

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indisponenza della scrittura


Posted By on Feb 16, 2011

indisponenza della scrittura

Bisognerebbe scrivere sempre di ciò che non si conosce affatto. Ciò di cui al massimo si ha una idea assai vaga. Per essere certi di dire qualcosa di sensato a proposito dell’ oggetto della scrittura è necessario non averne una idea precedente, cioè meglio averne nessuna idea. Esempio:

Storia degli incontri mancati tra la Corteccia Cerebrale ed il Tango.

Non si deve scrivere nulla se una cosa è ormai definita. Le cose completate sono morte alla scrittura perché sono indisponibili al pensiero. Si può aver qualcosa da dire, a proposito di quello che ancora si svolge e che non sembra finire: il nuotare inarrestabile dei delfini, l’evidente antipatia di Beatrice per l’Alighieri, la fama di Shakespeare.

Scrivere di metamorfosi, sebbene sia già più volte accaduto.

Il che significa scrivere i-nin-ter-rot-ta-men-te ! Realizzare onestamente l’incompiutezza. Il pensiero non si arresta, non ha necessità degli oggetti per esercitarsi e gode di una sostanziale immunità dagli stimoli esterni. Si racconta di una rete di sottili iridescenze che  si originano, via via nel tempo, dalla notte oltre la retina.

La scrittura è disperatamente soggettiva e dunque gloriosamente indisponente.

La scrittura contiene i segreti del pensiero. Anzi: è il pensiero segreto che non sa dire. A causa della picchiata della rondine si può ferirsi le ginocchia cadendo nel prato. Si camminava, infatti, con il naso all’insù. Un inciampo non racconta la pietra di traverso al sentiero perché non l’ha potuta vedere.

Scriviamo: gocce di sangue sui sassi e la distrazione fatale tra le nuvole.

Ci siamo immaginati l’universo più o meno sferico. Un’arancia o una pesca – popolato di perle luminose e opache. Contenente la pazienza: il vuoto non inutile. Il progetto urbanistico universale è sferico per via che ci servono due poli dove sistemare l’assoluto: amore e scienza.

Ma, ai poli, la ricerca raggela su bandierine di varie nazionalità, per la follia degli aghi magnetici!

Lo scrittore, la scrittrice sempre più spesso, hanno l’aggettivo qualificativo di ‘instancabili’. La scrittrice o lo scrittore, ma gli scrittori maschi sono di meno ultimamente, non si spaventano. Loro ‘trascorrono’- se li si mette nella condizione. Cercano aggettivi, cappelli a cilindro, a punta, sghembi, elmetti, da fata, da zar, da cuoco, panettiere…

I suddetti aggettivi si susseguiranno fino ad un ronzio d’alveare.

Farti caldo. Farsi addosso reciprocamente. Suscitare diluvi su metafore simboli e giudizi universali. Starti vicino. Ascoltare. La realtà fisica del suono stimola i timpani, muove gli ossicini, dilaga per le vie dei neuroni, bolle mediatori, scioglie grovigli, fonde le ultime notizie dei telegiornali. Il brodo biochimico cerebrale sfrigola.

La scienza della conduzione dell’impulso nervoso è qualcosa di sfarzoso.

Nella playstation di ultima generazione gli anemoni di mare -invidiosi- esprimono una cauta irritazione. Si narra infatti l’ultima edizione della favola di un pensiero nuovo. Gioia del rinascimento e fisica della diversità. Telepatia da delfini è dormire nuotando. Metà dello scibile, la coscienza, dilegua, nel sonno, nella più totale interezza.

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retorica del paradiso


Posted By on Feb 6, 2011

retorica del paradiso

Veniva su una figurina di luce tutta da immaginare. Era ciò di cui non eravamo mai riusciti a parlare. Sebbene fosse proprio ciò di cui volevamo parlare. Fu ad un certo punto dell’amore ma non è una cosa retorica.

La probabilità è un foglio disegnato che avevo fissato alla trave del soffitto. In assenza di uno sciamano mi ero improvvisato, da me, d’essere me. Il rito è una prassi. L’arte è la rivoluzione elegante di rendersi incomprensibili.

Tanto il disegno dei due corpi abbracciati poteva non cadermi in testa -così fissato al soffitto- quanto era probabile che potessi farcela. Nel calcolo di quella probabilità c’era una certa retorica. Oltre alla sicurezza di una rivoluzione culturale.

La bellezza è i conti che tornano prima della fine. Il misticismo sono cinismo e disincanto. Vedessero te ! La bellezza dittatoriale – la figurina di luce tutta da immaginare! Avrebbero pudore della retorica dell’invenzione del paradiso.

La reazione della mente -che crea l’idea di dio, per il terrore della natura- è un riflesso. Il paradiso dantesco è letteratura di una negazione colossale. L’atto mentale di creazione di dio, non è propriamente ‘pensiero’.

Una figurina di luce tutta da immaginare, non è riflesso di niente. Non segue al terrore. Misura la dignità della difficoltà di pensare. Realizzare che la prassi deve essere distinta dalla prassi retorica. La distinzione sarà una rivoluzione culturale.

Bisogna fare il rito -la prassi- delle parole insieme. Restare ad un punto del meridiano di Greenwich. Nel passo che si ferma a ‘cantare’ la latitudine. Anche se c’è una retorica reazionaria del pensiero come riflesso al ‘nulla’,

Quando ti sei addormentata, all’altro capo del mondo, per me era già domani. Stanotte mi sono svegliato prima dell’alba. Ti ho pensata che stavi attraversando l’area scura del mondo. Ho deciso di dormire di nuovo, prima che fosse troppo presto.

Volevo evitare, sai, la retorica del paradiso.

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strumenti a corda


Posted By on Gen 17, 2011

strumenti a corda

Gli strumenti a corda. Il giorno. La competenza d’un farmaco. Costerà niente. Strumento a corda il suono gli assomiglia a ciò che si può trascurare. Voce della vibrazione uguale proprio del tutto a tutto quello che ci può augurare chi ci conoscesse bene. Voce suono vibranti e sentimentalismo si fondono attraversando la strada fino nel marciapiede di fronte. Le comari e i filosofi sgranocchiano noccioline e pistacchi. Sputano ai piedi dei cani bastardi gusci indigeribili. Corriamo amore a rubare l’inutilità ai piedi degli altri. Gli strumenti a corda fanno una cortina di canti.

Non come in Apocalypse Now che piovono bombe e frecce.

Gli strumenti a corda hanno una simpatia per le voci umane. L’estensione a corda pizzicata a tendini secchi scorticati, ad archetti tesi sulla memoria rimasta della nostra pelle. Che disponibilità è necessaria! Che pazienza. Gli strumenti a corda appoggiati al muro pronomi personali. Uno può parlare accanto al contrabbasso che lo aspetta sul pavimento. I legislatori scrivono il diritto alla memoria, la donna si lega al maschio, concilia di addormentare quando è cominciato il sogno prestabilito. C’è una evoluzione nella tensione. Una rivoluzione e la resistenza la corda che non si rompe. Un ‘io ’ sotto il sombrero messicano che – è noto a tutti – è pazienza al sole e fedeltà alla notte.

Noi’ oltre le linee nemiche una corsa a perdifiato e il fuoco nel respiro. L’amore per gli strumenti a corda è una qualità da maratoneti. La strada che sale stermina l’intelligenza. Prerogativa dei draghi bruciarci le spalle. Le note dopo il concerto che inseguono tutti.

Nel sacco che è rimasto in casa c’era la paura.

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gel


Posted By on Gen 15, 2011

gel

Il miracolo non è il sogno: è il sognatore. Ultimamente si cerca l’uomo nel sogno. La direzione andrà invertita. Per ora si capisce l’operazione della cultura dominante. Si vuole l’artificio di erotizzare la parola. ‘Sogno‘ cosparso di crema a specchio e gelatina di annata. Le creme però non agiscono sempre. E ‘sogno‘ – ultimamente – ha preso un cattivo odore.

Gli esseri umani ci hanno lasciato la pelle dietro ai sogni. Famelici di erudizione. Ammalati di scorbuto. Sfiniti di sonno tra libri compassi candele e telescopi. O scorticati vivi. O abbrustoliti nella traversata. La corona di rughe sulle fronti assorte. Una per ogni passione definita.

Ai confini della galassia l’orizzonte degli eventi proietta il rogo di una strega. La donna ha un tatuaggio. Per questa evidente colpevolezza viene bruciata lassù.

La chiarezza del disegno non è erotismo. Dunque il tatuaggio è peccato. L’evidenza di una soggettività che guarda ‘fuori’. Dipinge il coraggio e manifesta il sé senza retorica. Dice che talvolta si è definitivamente senza spiegazione. La donna  tatuata sarà oggetto di futuri studi accurati. In quanto  poesia che dura sempre ed è l’incubo dei distratti.

L’umana sensibilità non ha la poetica d’una definizione. Chiede. E’ specificità di genere e genera la capacità di non dormire. Realizza ciò che non si sogna. Dice che i sogni  non contengono segreti. Si scandalizza delle versioni della storia. Non impara niente definitivamente. Continua. Continua.

Sarà ulteriormente necessario uno studio accurato della caparbietà. Capire – una per una – la vita di ciascuno. Che siamo al sole subito. Che è l’erotismo sulla parola ‘intuizione‘ che fa la letteratrura del venire al mondo. La narrazione salottiera di uno scandalo sommesso. Ma bisogna anche dire che non basta attribuire un timbro di azione oltraggiosa, a quel che non sa d’amore, per nasconderne l’inefficacia.

Che l’esistenza non è ‘riducibile’ ad una figura retorica. E certe cose non si prestano alla poesia. Che l’ intransitività è bellezza in sé. Che le cose che non si riesce ad attraversare col simbolo e l’esemplificazione siedono agli angoli di strada. Che il miracolo quasi sempre resta nella parola miracolo. Che è sempre esistita una cultura dominante.

Da tempo non sono più solo. Posso parlare per altri – dire che siamo compagni di viaggio di un cercatore d’acqua. L’acqua è questione di vita, perché non si inganna chi ha sete. Perché la sete è fedele e perseverante come l’orizzonte. La sete è impoetica è ci ricorda la verità: che siamo sempre sotto gli occhi di tutti coloro che disprezziamo.

Donne e uomini prendiamo volta a volta gli eventi per comprenderli. Attribuiamo sentimenti ipotetici agli eroi. Pensiamo con scarsa penetrazione. Esprimiamo pareri con compiacente disinteresse. Si ottiene così il piacere erotico del pensiero. Un balsamo di componenti in eccesso. E ci si asfaltano le strade di accesso alla fortezza volante della Morte Nera.

Cerchiamo dunque – come si deve – il sogno attraverso l’uomo. E’ ineludibile accorgersi, immediatamente, che i poeti, che scrivono di noi sui muri, sono quelli che non ci amano perché li abbiamo disprezzati. La poesia senza erotismo è quella trascrizione di noi. Il ‘sempre’ della nostra potente antipatia che ritorna.

….aiutami a diventare più adatto a me ….

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