incontri ravvicinati


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“The Reproductive Revolution: Selection Pressure in a Post-Darwinian World
www.reproductive-revolution.com/index.html

“È una negazione la parte preponderante delle nostre affermazioni, se esse sono espresse senza bellezza”(… su queste pagine pochi giorni fa)

Allora la bellezza è un parametro per individuare il grado di umanità del pensiero dal momento che l’evoluzione è caotica e opportunistica e che improvvido e approssimativo e casuale si pone nello spazio/tempo ogni suo risultato. Che è un gradino e un passo di una condizione di non linearità. Mi siedo sulle ginocchia, sulle ginocchia mie. Con tenacia torno un ragazzo coi muscoli elastici e i tendini che restano increduli. L’atletismo ormonale della contrazione a sedici anni è resistenza, pazienza, attesa, e scatto contenuto. Insomma so, meglio di allora, che la mimica silente del sorriso ha la stessa qualità della potenza muscolare annidata nella promessa del sesso e del coraggio, prima dei tuffi dagli scogli. Seguo lucertole e api sui fichi dell’albero estivo. Finisco la lettura de “I SIGNORI DEL PIANETA” di Ian Tattersall. Il linguaggio, forse, potrebbe essere stato generato tra i bambini. Per via che essi pensano in modo differente dagli adulti. Il linguaggio, con la potenza contrattile che esplode da un silenzio che ne conteneva la potenzialità: è quella l’idea che viene giù, di un tuffo dagli scogli. Che gli esseri umani non sono provvidenza ma disordine. Che il linguaggio non serve per comunicare ma per pensare. Alle soglie mentre escono dal primo anno i ragazzini, ricordando un sogno…. potrebbero aver effettuato un tuffo evolutivo. Copio il testo di pagina 249:

Personalmente sono molto affascinato dall’idea che la prima forma di linguaggio sia stata inventata dai bambini, molto più ricettivi rispetto alle novità di quanto lo siano gli adulti. I bambini usano sempre metodi propri per fare le cose e comunicano in modi che qualche volta lasciano i genitori disorientati. Seppur per ragioni ESTRANEE ALL’UTILIZZO DEL LINGUAGGIO, i piccoli ‘sapiens’ erano già provvisti di tutto l’equipaggiamento anatomico periferico necessario per produrre l’intera gamma di suoni richiesti dalle lingue moderne. Essi inoltre dovevano possedere il substrato biologico necessario per compiere le astrazioni intellettuali richieste e anche la spinta a comunicare in maniera complessa. E quasi certamente appartenevano ad una società che già possedeva un sistema elaborato di comunicazione tra individui: un sistema che implicava l’uso di vocalizzazioni, oltre che di gesti e di un linguaggio del corpo. Dopotutto, come nel caso di qualunque innovazione comportamentale, il TRAMPOLINO FISICO NECESSARIO doveva già esistere. (…..) è facile immaginare, almeno a grandi linee, in che modo, una volta creato un vocabolario, il feedback tra i vari centri cerebrali coinvolti abbia permesso ai bambini di creare il loro linguaggio e, SIMULTANEAMENTE, I NUOVI PROCESSI MENTALI. Per questi bambini, ciò che gli psicologi hanno indicato come ‘linguaggio privato’ deve aver agito da canale, favorendo la trasformazione delle intuizioni in nozioni articolate che potevano quindi essere manipolate simbolicamente.”

Il sorriso si svolge rapidamente nella distensione delle fibre del procedimento di pensiero. Intuizioni, nozioni articolate, manipolazione simbolica. I bambini creano i nomi delle cose e il ritorno in sensazione di felicità è la via neurale di feedback che conforta e conferma. Ma anche richiama ulteriori dati compositivi dalle regioni sinaptiche prospicienti il vortice virtuoso che si è innescato. Nel segreto delle grida dei giochi i piccoli ‘sapiens’ -restando protetti al di qua dello stupore dei grandi- producono forse -più che ‘senso’ del mondo- la propria consapevolezza di sé medesimi, almeno per cominciare. La nominazione delle cose, l’attribuzione ad ognuna di un suono attraverso comportamenti fonetici appropriati, recluta e abilita nuove vie neuronali di consenso e guadagno. La sostanza dei mediatori implicati nella trasmissione lungo le vie nervose è l’esperienza del piacere endogeno che chiamiamo, oggi, il sé libidico. Esso non si serve dell’altro essere umano per il proprio godimento.

Eco senza Narciso, il linguaggio inventato dai bambini non è comunicativo ma espressivo. La nuova alleanza cui si allude nel testo di paleoantropologia, situata fuori di metafora in una società plurima e non più di soggetti neonati ma di personcine aurorali e capaci, sta nella condivisione dello stesso sistema di segni. Però è forse ancora, all’inizio, appartenenza implicita, non socialmente pubblicata, non riconosciuta forse, se non nella cerchia dei giochi. Quel pensiero privato sviluppa la nuova attitudine mentale verso scogli alti. Il mare che scintilla non attira al vuoto giù sotto e in basso, ma al cielo respirabile. Solo dopo, una volta maturata la fine attività di modulazione della mimica facciale coerente con la coscienza di sé, i ragazzini si fermano, guardano giù e, tenendosi per mano senza più pensare, dimenticando la coscienza ma senza perderla, volano lontano preparando il tuffo nel galleggiamento del corpo nel vuoto. È un sogno che si sveglia nel sonno dentro il quale si cade ogni notte.

Ora parlo dello svegliarsi. Di stamani. È la mattina di domenica un momento sensibile alla misura della qualità della vita. Ragazzini e adulti sfilano dalle camerette alla modesta superficie del soggiorno comune che è anche cucina e guarda il giardino. Di tempo in tempo, quando tra le otto e le una è concesso dalle distrazioni amorose, il pensiero ripercorre al contrario gli eventi evocati dallo studioso dello sviluppo dell’umanità dalla dis-umanità precedente: manipolazione simbolica, simbolizzazione, nozione articolata, intuizione…. Nessuno si occupa di questo che scrivo. L’espressione verbale della nozione articolata si pone perfettamente in una silenziosa ‘inutilità’ ed essa, l’inutilità è l’evento simbolico che protegge l’attività della mia ricerca intellettuale mattutina: il silenzio è una coltre di cotone profumato costellato di ricami, dei piccoli impegni di preparazioni di cucina, di disegni sui fogli bianchi delle due bambine, della apparecchiatura -coi tesori della pasticceria di fronte- di colazioni di gusti variabili.

E poi ci sono in aria i messaggi televisivi e c’è la richiesta se per favore qualcuno può (vuole) prendere il limone all’albero della vicina (quasi centenaria essa è perduta nelle regressioni della biologia che scompone l’integrità del pensiero e fa a pezzi il mondo e non sa più protestare contro noi innocenti ladri al suo giardino). Scrivo e intorno si ride si chiacchiera si aprono getti della doccia e si fa il disordine necessario a scaldare il mattino. Ai margini disegno questo deserto silenzio. Sopra sorge la notte, che non è il sole nero avventuroso del non cosciente salvifico, ma di certo il parziale declino delle norme verbali ragionevoli come esclusiva forma di espressione.

Ogni tanto grida di ribellione infantile tingono la scrittura del necessario senso di lotta contro la stupidità, volteggio nel vuoto prima della caduta del tuffo, e il vuoto è il paradosso incorporeo di questa disperata fiducia che con i miei simili potrò essere, alla fine, comprensibile in questo modo di scrivere, vivere e insistentemente cercare, da quando la coscienza mi permette di ricordare.

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lei…


Posted By on Ott 27, 2013

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DALL’INCONSCIO ALLA CONOSCENZA
©claudiobadii

Fa gli esercizi. Studia a memoria le definizioni. Una scala di assiomi porta alla montagna. Un sottomarino sfila verticale e istantaneo addosso ai coralli. Un epidemia: la funzione del pensiero è virale. Sono tuo schiavo e la mia mente riproduce te. Non c’è più un argomento da questo lato. Solo l’asimmetria della fermezza e il lume dell’inerzia possono chiarire. Nelle foto satellitari la stella è una regina solitaria. Potrebbe essere una allegoria dell’ideazione. L’agglomerazione alla base del pensiero fotografata con il fisioscopio a emissione di sogni. In sciame mi affollo su di te per ricomporre i quadranti atomici del disegno. Il pensiero verbale non esaurisce tutto della consapevolezza. Altrimenti chiunque sia sveglio sarebbe un buon interlocutore. Il linguaggio del pensiero non verbale è infantile. E’ un linguaggio di chi nella veglia non ha coscienza. Per questo studia a memoria. In modo che anche le cose più romantiche divengano definizioni. Le più appassionate il letto di cartone degli homeless. Per capire gli altri bisogna aver cambiato il nostro rapporto con il linguaggio verbale. La ricerca la conclusione la scoperta il riposo il non riposo l’inquietudine il sonno lo spreco energetico il risveglio l’avventura del tacere. Il braccio violento della legge della conoscenza arresta l’ingenuità. L’ingenuità è invidia. Dall’annullamento non si arriva alla conoscenza con le buone intenzioni. I bravi compagni di scuola si perdono. Bastasse, essere volenterosi, invece è addirittura un ostacolo. Imparo a memoria così alla conclusione della giornata passata sul libro ripeto tutto distrattamente. Mi sono riposato poche ore fa su una fetta di pane burro e marmellata. Nella mia voce che ripete parola per parola le tre pagine della teoria non c’è quasi più recitazione sentimentale. Ho perduto ogni sfumatura. La scoperta detta nel discorso scientifico è uno strato di suoni noiosi ripetitivi un tappeto di pioggia. È meno bello di prima. Ma se bastasse la coscienza chiunque fosse sveglio sarebbe un ottimo compagno.

Trasmissione chimica. Scariche elettriche. La vita fa il pane. Osservavo incantato la lava della pasta che inghiotte le mani della donna imbiancata riflessa sul marmo del tavolo di cucina. C’è una dignità ignota della donna. Chi donna non è nato può amare senza capire. Essere certo che la conoscenza arriva solo alla fine. Dopo che la coscienza resta solo uno stato di veglia. Egli ha in mente cose ripetute che erano state imparate a memoria per trascurare il fatto che aveva sempre dormito tra i cartoni. Nutrito dagli scarti dei discorsi appassionati d’amore di scienza e di politica. Avevo succhiato a memoria quello che non capivo. Mi restava la nenia di endecasillabi senza più senso scientifico o amoroso. Gi scarti sono cose senza le loro presumibili qualità di fondo. Lei è un po’ come me: spoglia la comunicazione. La veglia senza coscienza è consentita dalla vitalità che toglie l’enfasi comunicativa. La possibilità di escludere l’ideologia della quotidianità. È quando esco dal lavoro e mi ritrovo sulla porta di casa di fronte a te senza sapere come ho fatto. Ma non importa che io ricordi la strada. Quella la so a memoria. Non è niente che conti. Così confondo te con la complessità delle scoperte. Parlando delle cose di tutti i giorni. “Inconsciomarecalmo” ha il ritmo di quello che ci diciamo sorseggiando l’acqua dai bicchieri. E in silenzio guardandoti gustare la salsa rossa di pomodoro mi viene in mente che la fisiologia del pensiero si diffondeva -appena stamani- sulla visione del mar Tirreno. Sono convinto -per l’amore che porto a quella infinita apparecchiatura subito oltre la linea della spiaggia- che attraverso la percezione ripetuta della sua imponente indifferenza e vastità il mare ha messo le sue mani nella pasta biologica della mia struttura cerebrale e alla fine ha influenzato il mio modo di essere.

Di certo il modo come viviamo le nostre giornate è la memoria di noi del primo anno di vita che si ripete ogni notte tra figure di persone e di cose e di panorami naturali. I sogni e le nostre giornate gli uni e le altre da sempre differenti e ‘incomprensibili’. E’ questo rispecchiamento tra realtà e sogno che la spinge a non smettere di cercare. Ultimamente, come dicevo, ha aggiunto di imparare a memoria quanto non capisce.

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la fedeltà


Posted By on Ott 17, 2013

arceribuono4

La Fedeltà
©claudiobadii

Sfida è una sfida già la corsa poi il trottare degli attuali anni di dinosauro accanto al correre di una giovinezza veloce cui si affiancano. A questo punto della ‘faccenda’ resto astrologia e giurisprudenza. Il cannocchiale inquadra il primo anno la ridondanza di figure che si muovono tra l’aria la culla chiara e le braccia di chi ci prese su. Il primo anno che è linguistica e glottologia sta tra Babele e la scienza, tra diritto medicina e stelle.

Un motorista unge i perni degli assi della seconda rivoluzione scientifica in cui la fisica arriva fino a quasi nulla. Le mani dell’operaio smontano l’orologio fino alla sua scomposizione in parti microscopiche fino all’anima di quarzo o alle minuzie dei bilancieri fino ai “Grumi Senza Struttura Interna” di maiuscola importanza. Ma al nulla l’indagine non arriva e si concludere su un minuscolo scalino.

Le gambe oscillanti sul molo della terra scavata -” … è un illusione che la distruzione sia una diminuzione di materia fino alla sua scomparsa ed estinzione… per via della relazione tra materia e luce la minore compattezza non è un grado inferiore di esistenza ma solo una variazione tra lo splendore e il nero… il nulla non esiste…” – mi aspetto. La conoscenza è evoluzione e corsa verso la morte.

Lui grida cacciando via gli sterpi. Ha odio per l’inerzia, per il fatto che sia energia. Anche le spine dei fiori hanno un’inerzia. Lui ha il sangue dei giuramenti e i tappeti di brace su cui convalida l’innocenza di specie. La civiltà gli domanda perché differisca da tutto e non abbia mai il freddo e il caldo che ‘ci si aspetterebbero’ da lui.

La civiltà gli dice che se le cose stanno così tanto varrebbe che sulla scala delle temperature egli si desse il nome. Lui unità virgola una frazione di unità. Lui cifra corrispondente alla misura della propria sensazione termica. Lui: “Appena nati siamo agenti

Uccide tigri eleganti per mezzo di fragili rami acuminati e le cuoce sul fuoco dentro un cerchio di sassi. Geometria chimica e termodinamica sono là a tenere unita la sua tribù come una seconda trincea arrossata intorno al fuoco di legna.

Nasconde trappole nel bosco. Legami tra cose differenti nella mente. Abita con sfarzo. Muore a causa di frequenze elevate. Rinasce immaginando l’essere. Sa trarre dalla anatomia macroscopica certe invenzioni per riversarcisi dentro di nuovo con quelle risultanze a togliersi la malattia.

È di troppo per l’universo per la sua natura antipatica e scontenta. L’universo gli risulta uno sparuto intralcio. Lui lo piena con note di Fughe Inni Sacri e Offertori per il Natale. Gli Stabat Mater che ha composto elevano ciascuno la propria versione del sublime.

Lui e lei hanno modi aggraziati di sistemare le loro cose. Fanno case con più stanze. I figli raccontano i sogni del sonno.

Lei dice: “L’assenza di coscienza non è assenza di pensiero“. In due lavorano con attenzione attorno alla brace dorata che sono quei figli.

Dicono “Più che nel prendere i giorni è nel lasciare l’inutile che cresciamo e t’amo.

Disegnano dentro la casa la fisiologia dell’incantarsi a vicenda: a sinistra hanno messo i cacciatori tutti fame e valore e a destra gli animali tutti eleganza e spavento. Tra i due eserciti uno sciame di frecce. Un recinto che protegge la mente dall’invasione degli spiriti.

Le parabole delle frecce sono relazioni fulminee tra cose differenti e danno vita a un oggetto che prima non c’era. La velocità della comparsa del nuovo è accompagnata da lampi di luce simile agli incantesimi. Ma nessuna cosa viene da “nulla”.

Lui studia i fenomeni di reazione alle apparizioni. Sa che l’assenza di terrore è la qualità indispensabile per comprendere la natura degli sconosciuti e degli ospiti. Cerca in lei la fedeltà per curarsi l’esperienza di un abbandono.

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la distanza tra Roma e Algeri


Posted By on Ott 1, 2013

Pontecorvo “La battaglia di Algeri” 1966


Rossellini “Roma, città aperta” 1945

Non so perché il benessere perdurante e la gradevolezza del pensiero portino ribellione come sapienza, rivolta come possibilità, rivoluzione come sanità mentale. Sono “Roma città aperta” e “La battaglia di Algeri”. La differenza tra un maestro e un genio. Forme di rappresentazione. Storie di differenti popoli. Forse Anna Magnani era inciampata. La scena venne accettata perfetta insieme all’esplosione dei colpi dei soldati. Trasformismo e opportunismo se non era nella mente del regista quel preciso cadere rovinoso del corpo. La tragedia acquista una forza che va oltre l’immaginazione del clown. Non era clownesca la caduta della nostra nazione già allora.  Eravamo noi adesso prefigurati nella sua (nostra) disperata rincorsa a causa di una perdita o di un tradimento o di una trascuratezza?

Racconta Pontecorvo che la vicenda di realizzare “Battaglia di Algeri” iniziò e subito ancorò la propria consistenza stilistica e addirittura di fotografia con la scelta di una certa versione della storia: la posizione della Francia fu quella di paese occupante. L’esercito francese è esercito di occupazione dell’Algeria. La presa di posizione corrisponde ad una immagine che poi guida le inquadrature della macchina da presa sulle vicende determinate dalla rivolta per la quale si ha una comprensione. Pare che invece cinque o sei volte egli decise di cambiare interamente la modalità della conclusione del film. Si doveva rappresentare nei movimenti collettivi del popolo contro l’esercito l’idea di una lotta che non si sarebbe conclusa fino alla riuscita. Egli scelse alla fine il canto tribale e dolce di una donna. Al perdurare della resistenza conferì il suono modulato delle grida di protesta e richiamo femminili e una figura di ragazza che agita uno straccio chiaro pretesto di bandiera. Il panno è segno di un amore per la lotta che nel bianco e nero della pellicola non qualifica altro che l’essenziale. la resistenza contro l’oppressione è legata al ritrovamento di un movimento altrettanto inarrestabile inarrestabile del pensiero.

Pontecorvo ha in sè l’idea di un differente pensiero da quello neorealista di Rossellini. Cittadino di una nazione tutta esattezza e rigore stilistico mi conforta in questi tempi. Dovessi scegliere un pedagogo ai miei ultimi figli, ai figli ritrovati che mi hanno ritrovato e tolto dalle ortiche della dimenticanza trascurata e scrivono sempre, dovessi scegliere come faccio fantasiosamente talvolta, è a un uomo di quel tipo che affiderei i necessari racconti. Le indispensabili inquadrature. Cerco oramai quella femminilità che è, come suggerito, un modo differente di essere uomini. Una femminilità differente anche per le ragazze, cerco. Pontecorvo avanza e grida con la propria bandiera. Ha tra le dita solo uno straccio di ragione. Ha la certezza del genio e non chiede. Il perdono estremo non gli appartiene. La lotta sembra finita nei calcinacci delle esplosioni dei nascondigli dei capi della ribellione. Ma essi sono capi transitori investiti di un potere leggero come una tunica di seta. La donna nella medesima seta ha la potenza di avanzare e riproporre l’avanzare medesimo. Sparisce va avanti è respinta sparisce ancora nelle sconfitte inevitabili, ricompare correndo e ridendo va avanti ed è ancora respinta dai gendarmi. Sparisce indietro ricacciata temporaneamente chissà dove. Torna ricomparendo dalla sinistra dello schermo. Fantasia Di Sparizione, avrebbe gridato un genio di grande levatura nello stesso 1965 o giù di lì.

I velluti della sala diventano pareti bianche di un interrogatorio cui ora potremo forse resistere. I soldati respingono la ragazza. Ci respingono. Come sempre. E lei torna ancora. Torniamo dunque al centro del vissuto. Avanza cacciandoli al loro posto. Avanziamo perché ‘siamo‘ letteralmente ‘lei‘. E avanzando respiriamo alla destra dello schermo. Respiriamo sospinti avanti fuori dello schermo. E’ quella la libertà? Lo sparire e ricomparire senza mai essere ‘nulla‘? Il pessimismo di Camus senza il nihilismo di Sartre. L’intelligenza che coglie la difficoltà e ci fa tristi per la conoscenza della necessità di dover resistere all’idealismo che toglie ai nostri oppositori il dolore del tempo e li rende cinici. Essi sono stati e sono ancora, ai miei occhi, tutti tra le file di intellettuali e sacerdoti. Chissà perché…

Chissà perché io debba aggiungere sulle pagine l’inutile amore. La passione per le cose sempre uguali. Ugualmente impossibili. Che Pontecorvo è un genio e Rossellini un maestro. Mi viene da pensare che il neorealismo nato con Rossellini in quel film del 1954 conteneva il destino di una donna che muore e poi viene lasciata tra le braccia di un sacerdote (ma ai miei occhi vale anche tra le braccia di un intellettuale) che ne raccolsero lo ‘spirito’. Ho diversa simpatia per Pontecorvo che mi appare riservare alla donna altra azione scenica e forse anche altra posizione nel proprio mondo intimo. Di certo io non faccio alcuna fatica a trovare in quello scontro della donna algerina coi soldati la mia vicenda di uomo che a volte è quella donna ma purtroppo altre volte è quest’uomo che non capisce e cerca di ricacciare indietro quella bellezza incomprensibile. Forse scrivo per manifestare e non nascondere. Per la necessità di non tacere i passi incerti di una ricerca della sanità attraverso il lavoro di resistenza e riproposizione.

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inclinazione naturale


Posted By on Set 21, 2013

volo dorato

“Amare Tutti Gli Aeroplani Che Volano In cielo”
©claudiobadii
QUADERNI

Buongiorno. Una voglia. Mortificata risplendenza posata sul tavolino. Rosso a denominazione d’origine. Lettere. Un’idea addosso. Soggetto esile e vinomondo. Ti scrivo traendoti qui. Per l’angolo del gomito. Piega di grazia della giacca leggera. “Sapessi….” accenno, per sedurti una volta di più. Non rifiuti mai. Me. Vantaggi. Strada. Solitarietà solidale. Dal tavolinoterrazza. Ville come cubi. Inimportanza. Guarda la picchiata tu. Amare tutti gli aeroplani. Macché flusso di coscienza. Bio-logistica del pensiero. Volumi. La mente al cemento. La nobiltà pionieristica. Carrozze leggere della medicina campagnola. La missione dei dottori sulle mulattiere, che grazia dentro la scienza il fango!

Carrozze voluminose. Con la compagnia degli attori le fanterie teatrali. Tutto ruoterà attorno ai fianchi della primattrice. Mattinate da impresari. Pianali del fornaio. Assi delle carrozze galleggiano sui solchi. I calcagni sopra il fango. Oggi l’acqua delle fontane. Pronuncia di soddisfazione. “Stasera… stasera…” promettendosi la recitazione. E dopo l’infinito nero. Prova a pensare. Gli ‘sperimenti primonovecenteschi senza rischio di fatica. Begli scienziati ai tavolini. Ménto ai palmi. Occhi al vento. Sopravvolano le incertezze. La scienza si libera dell’invidia. “Amerai più d’ogni cosa gli aeroplani in cielo. Sarai privo di follia di perfezione” quello che nessuno mi ha detto mai neanche provato. Nessuno che avesse il linguaggio somatico per esumare fiducia.

Negli hangar la prassi di sostentamento. Subito fuori Casablanca. Nel fumo del protagonista la diva ha l’impressione che il tempo si interrompa. Un pensiero irreale. Si tratta solo di spazializzazione. Trasmutazione frettolosa di natura. Bio-logistica differente da prima. Presidio del nulla e malattia. “Amare tutti gli aeroplani in volo. Azioni moralmente neutre”. Invece lo ‘sperimento del pensiero de l’esaurimento del tempo. La non rappresentabile velocità della luce è la conoscenza esatta da opporre allo spiritualismo della filosofia. Velocità proveniente dalle lampade del soffitto.

Il tuo sorriso possiede chi guarda. Perché possiede la piega aggraziata di un gomito ai boulevard. E’ lo spigolo acuto del cassettone di biancherie in dote contro la noia ossessiva delle preghiere, che ferisce il fianco nel viaggio notturno. Ho in me la sensibilità ai sorrisi femminili in vece di ‘dio’ cosicché subisco la sopraffazione delle scienze naturali.

Come tu involontariamente ma non inutilmente conservi dentro le fibre muscolari una elegante contrattilità che conferisce alla tua intera esistenza come una apparenza di camminare alla cieca. Invece arrivi a tentoni a chiedere. Le braccia avanti. Un sonnambulismo essenziale. Ecco. Capisci. Insonnia provocatoria. Mi fa felice la tua presenza che richiama sempre da quando ti conosco la ammirevole e coraggiosa vita di Madame Curie e lei aveva venti grammi di polonio sul comodino.

In relazione a questo dato storico nella compagnia dei girovaghi si tenta di recitare le seguenti parole appena sfornate dal capocomico: “Ebbe in dote luce e consunzione” cominciano a mormorare gli attori. Femmine e maschi. Fermi al margine di strada fiume e bosco. I cucchiai alle labbra. I volti illuminati dai passati di patate e cavoli. I passati di verdure che sostentano il mondo. Altro che! Un vero amore di donna vederti pensare. Fughe dalla morsa di Van Gogh. Campi a perdita d’occhio. Il rinascimento che cade ormai a pezzi.

Nelle case di Renzo Piano che hanno forma di foglia rintraccio il tocco delle mani sporgenti flessuose sulla spalla del vicino di sedia. L’amore è straripante come dato osservabile. Una distesa di amanti dovunque si guardi. Farne parte è stata una sortita non casuale. Lo devo ad una inclinazione naturale a studiare. Di cui godo la rendita. La morte dell’occidente si svolge progressivamente nel continuare a camminarti al fianco.

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