pittura


lo sforzo di essere bravi


Posted By on Dic 7, 2010

lo sforzo di essere bravi

Al cospetto di una voce color salmone cerco il disincanto la disassuefazione all’eccesso la linea di frazione poi un numero grande si diffonde si diffonde si diffonde più volte in altri numeri modulati vibrazioni minori di grandezza imprecisata per dire parole primitive arcaiche. Ricreare con la voce i chiaroscuri dell’immagine che si è formata per uno stimolo che ha determinato la crisi dell’indifferenza prenatale avendo ascoltato una voce che ha determinato la crisi dell’indifferenza attuata per nascondere la nascita.

Ho usato qualsiasi cosa della natura i grigi la fabbrica della neve la catena di produzione della luce invisibile che suggeriva solo pensieri senza figure l’amore per il verde che dice il miracolo della trasformazione della luce nelle cose tangibili. Ho usato tutto dalle croste d’albero dolce alla sensibilità puramente somatica che mi trovavo a disposizione per estrarre la ricchezza dal panorama che cambiava. Mentre andavo lontano per dire solo ‘avevo voglia di vederti’ tacendo il più, che era quasi tutto.

E’ grigio anche oggi. E’ il colore che più serve ora che è inverno mentre successioni di figure si accavallano nomi affetti richiami la neve che copre la foresta e i neuroni specchio mi si arruffano come le folate di neve che trabocca come il cielo fosse una fabbrica con macchinari instancabili una catena di montaggio di fiocchi.

Il cielo è una catena di montaggio che produce allegria stamani. Nel cielo oltre le nuvole una civiltà sconosciuta di macchine aeree realizza la prassi del lavoro della nevicata e all’idea di tanta lievissima fatica mi riposo. Mi riposo nel bianco del lavoro che non pesa nella mente di lei che penso sia una macchina celeste che organizza la catena di montaggio di piccole accortezze che arricchiscono la mia vita. Ci sono momenti in cui non si hanno sospetti.

Nel grigio di oggi, come allora, sotto la fabbrica celeste sottomessi alla civiltà di macchine avveniristiche non serve essere bravi. Queste macchine di nuova generazione fanno il colore del cielo e la sfumatura per arricchire di profondità il declivio del campo ai miei piedi. Si può avere la vita ai propri piedi quando il cielo è una macchina che produce imprecisate sfumature di stupore. Quando chi arriva non è uno specchio ma la il candore di una differenza senza la paura.

Dire solo ‘avevo voglia di vederti’ tacendo a gran voce il più, che è quasi tutto. Che sei una fabbrica celeste una macchina a tecnologia futurista la catena di produzione della luce che è invisibile ma sopravanza il tempo e toglie speranza alle parole.

Che la mia capacità di immedesimazione con te è sproporzionatamente vivace e non si scherza e mi vieni incontro e hai dei fiori alla mano a destra di chi ti guardasse avvicinarti come quando si guarda la nascita di Venere la Primavera le dame ritratte nei salotti e nude sulle pietre nei campi di verde muto.

Ancheggia la tua voce perché nella gola la vita si è concentrata poi ha trovato spazio e sì è arricchita di armoniche che dopo nell’aria danno l’idea del sesso con quel raschiare le pareti la ceramica del pavimento il soffitto i vetri luminosi lasciando inalterato il timbro della luce invernale solo che nevica adesso. Per questa tua voce ancheggiante penso

“…nel grigio di oggi sottomessi alla civiltà di macchine avveniristiche ben organizzate nello spazio della fabbrica celeste non è più necessario lo sforzo di essere bravi ….

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i giorni, non tutti, di un mese


Posted By on Nov 24, 2010

i giorni, non tutti, di un mese

La continua lotta di nominare chi amo che è quando la chiamo e non è solo nome e suona ‘si-amo’

Ho illuminato di nero la parte invisibile della luna, vado a dormire con le mani tinte di grafite, sono schermato dal fuori, di certo sognerò.

Un torpedone silenzioso scivolava nella campagna destinazione ‘matisse’.

Se solo sapessi sciogliere sete stirando, solitario, sentieri sinuosi: se se se…ma non evoco normalmente nessun nume. E t’amo!

Di nuovo incede senza intercessioni luminosa la sera e lingue nuove, soltanto a noi vicine, salutano questi amorosi silenzi.

Ingeborg sta distesa sulla scrivania e sorride. Malina e Ivan non permettono di più. Io che l’amo, lettore postumo, grido.

Mezzogiorno: tutto si piega alla volontà? No, non l’ infinito sorriso. Vedete? – dice. E si allontana. Gira il suo passo – sa d’esser capace – a realizzare la felicità.

Oggi la tua generosità segna un rinascere. “Grazie!” e poi – “Tu!.. non farti mancare niente!” Allora io: ” Disegno oro: se riesco ti dico.”

Prevalenza della consonante “S”. La stabilizzerò nella mente con riccioli. Virgole alate ai lati. Inquadro il senso di un suono con amorose ali. Come quando penso il suo nome.

Il sorriso – e la pietà – di chi vorrebbe, sempre, evitare di amarmi è un tipo di regalo tra quelli che ricevo. Differenti anche ne ricevo. Come se oltre il sorriso e il disamore invisibile ci fosse una promessa. Come mi si volesse persuadere ad essere capace.

Mercoledì, oggi. Vado a capo. Vado a capo. Faccio spazio al candore della riga non scritta.

Qui manca un inizio come si deve. Ha la natura di un sogno al risveglio che non ci dice la propria origine. “… più spesso camminiamo su pietre dolci. Spingono verso l’alto come se camminare avesse dignità di pensiero forza fascino e domani.”

Tu sei più di me e sei prima di me. Tu sei pensiero non pensiero di te. Questa è una delle cose che, sono convinto, l’amore ci induce a pensare. Potrei recitargliele qui, standole accanto. Sotto gli alberi che proteggono la casa.

Questa è un’altra delle cose di cui sono convinto: “Bisogna cercarle le parole,  non c’è alcun dio a offrircele su mani accese. Una parola non vale un’altra.

Dunque la terza di molte cose di cui mi sono dovuto convincere è: “Il linguaggio è ingiusto perchè è tanto più potente quanto è capace di mettere insieme parole disuguali. Condivisione di specie è, anche, avvicinare i dispersi.”

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in costruzione


Posted By on Ott 28, 2010

in costruzione

Henry ( Emile Benoit ) Matisse nasce a Cateau-Cambresis  nel 1869 : il 31 di Dicembre. Realizza “ La Gioia di Vivere tra il 1905 e il 1906: ha 37 anni e, seppure il quadro susciti stupore e forse anche riprovazione, egli sosterrà, poi, che con quest’opera ha inizio la sua attività. Oggi, provare a riprodurre la “Gioia di vivere”, comporta che uno si chieda del coraggio dell’ artista, non fosse altro per l’imponenza del titolo. Oppure, semplicemente, il titolo dell’opera non è imponente: imponente è la perdita che l’opera deve risarcire. Risarcimento di senso, attraverso una giostra di parole che andranno  pronunciate senza enfasi. Proviamo:
gioiadivivere
poi
giò-iàdi-vìve-rè
e poi
giooo-iàaaà-diiivìiive-rèèee

E’ il 1906, e il secolo fermenta alle coste d’Europa, nella parte alta del Mediterraneo dove la terra piega verso lo stretto di Gibilterra. Il rosso bruno, la sabbia delle fortezze d’Africa, si succhia tutto il colore dal tropico e lo spande ad oriente, e tinge Spagna e Francia e, in ogni caso, feconda le femmine di lassù.

Loro, accaldate, in vesti forse, talvolta, meno che disadorne, coi loro occhi attirano le attenzioni di maschi sensibili. Si accoppiano in amori, certi, ognuno di sè: ma disordinati, se presi in considerazione tutti insieme, ciascuno accanto ad ogni altro. Da quegli accoppiamenti deriva una prole in cui è evidente una selezione innaturale, una ingiustizia: la creatività e il coraggio della ricerca della bellezza sono stati tutti addensati in quelle regioni della terra, e spenti altrove.

E’ evidente che la nascita dell’arte nuova si fonda su una spartizione del mondo disuguale e ingiusta. Quell’area di mondo, assolata e colorata, è un campo esteso sulla tela di Matisse e di moltissimi artisti, di quasi tutti. Attratti tutti, e senza esclusioni,  dalla fecondità del ‘luogo’ pittorico. I maschi, probabilmente sensibili e distratti, le ragazze certamente nude, e spudorate.

Tutti che s’erano allontanati da casa per voci di possibilitò, senza certezze, promesse tanto meno. Perchè la musa era alla sorgente del pensiero a sussurrare.  Nei prati disegnati, e dipinti, il focolare penso che fosse il vento colorato d’ Africa. L’acqua non mancò quasi mai nelle stesse pitture.

Lì su una tela, una di quelle che si facevano alle rive del mediterraneo settentrionale e alle rive del secolo, è nato Henry Matisse. S’è guadagnato il sipario -da scostare per  il suo inizio- gli anni ‘prima’, con la ricerca tra le correnti dell’arte. L’arte che c’era, che s’era trovato. Poi l’ha mosso verso il fuori -quel sipario- con la propria potenza.

Ha svelato una scena complessa, disuguale, spensierata: senza zone oscure, nonostante il disordine. Il disordine, si legge nel cielo sopra l’orizzonte, è confusione apparente.  Il quadro è interiorità pura, che non realizza una distribuzione prevedibile o sensata nello spazio perché -l’interiorità che è ancora il soggetto- non avendo natura di materia, non sa l’uso razionale di masse ripartite. Non ha la materia delle cose del mondo percepito e non può fare l’allegoria il simbolo e la metafora.

Solo la coscienza sa fare metafore simboli e allegorie : che legano il senso, che è pensiero, col volume, che è mondo. Solo la coscienza ci illude che quel legame sia una realtà inconfutabile: ma è una nuvola mal disegnata: se quel legame fosse un modo della realtà ciò che lega il pensiero al mondo si porterebbe fuori il soggetto: che è la pazzia.

Gli artisti d’altra parte, a sentir loro, hanno sempre avuto tra i lenzuoli sogni indicibili: per esempio vocali, consonanti, lacrime, gocce, grida dolci e insensate, grida forti ma non moleste, impercettibili tracce ma non macchie. Povertà spesso. Mancanza assoluta di ironia sognano gli artisti. E un prendersi sul serio. Per quel loro prendersi sul serio, la povertà, negli artisti, non è disadorna, e l’indigenza  non è mai miserevole. Quando ebbero il danaro per i colori povertà e indigenza divennero, anzi, misteriosamente, opere d’arte.

Dopo queste precisazioni diciamo che “La Gioia di Vivere”, rarefatta come  il pensiero, ha -dunque- natura di tempo e non suggerisce legami o riferimenti al mondo delle cose. L’interiorità  che propone è affetto originario, irresistibile del venire al mondo. E la natura ritratta è solo  natura  umana :  che è poesia prima di tutto e, dopo, tempo di luce e d’ombra.

La luce e l’ombra possono stare insieme sulla tela come stanno  nello sfumato della luce obliqua appena la tela è esposta . Rivelazione di un capolavoro, l’opera, alla luce, dice il sogno: “…. l’uomo ha l’alternanza,  per non morire…. ha l’amore per gli istanti felici…. ha la asimmetria del pensiero per amare i suoi simili disuguali….ed ha la donna: per non disperarsi nella ricerca -impossibile e inutile- della gioia di vivere”

Per imparare a scrivere compongo la mia frase. Per imparare a scrivere ma anche  per consolare il pensiero, che guarda la riproduzione della “Gioa di Vivere” sulle pagine 43 e 44 del libro d’arte profumato di inchiostro colorato, che ho comprato ieri : “Il 31 dicembre del 1869, a Cateau Cambresis, Henry Matisse nasce! Nasce ….uguale. Rinasce nel 1906, con  “La Gioia di Vivere ” perchè nel tempo, per la sua natura, Henry Matisse, ha trovato qualcosa, che l’ha reso disuguale,  altro, diverso: rinasce  più bello.”

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mancanza di garbo


Posted By on Ott 26, 2010

mancanza di garbo

non c’è niente di meglio –  ….niente di peggio, in verità !  – che misurare l’altezza della genialità altrui con la nostra goffa mano aperta , per percepire immediatamente la propria mancanza di garbo.

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il confine del mondo


Posted By on Ott 22, 2010

il confine del mondo

” Cosa credi confino con il mondo da ogni parte e anche se volessi sono immagine vedi nel disegno tutto sfuma e un quakche punto non son più io non sono più tutta per te prova a colorarmi la pelle arriva al dunque dove non vorresti arrivare. L’inconscio segreto è in superfice ed è ‘non cosciente’ alla coscienza  perchè la coscienza è  inadatta e vanitosa. Tu prova a colorarmi la pelle ma trascura la linea di divisione con lo sfondo.  Lascia che si immagini, il profilo. Semmai gli occhi, quelli si ! E il sorriso, anche quello lascialo. E fai in modo che il freddo lasci qualcdosa di te per me.  Per la notte prima dei sogni. Per costruire nel buio il limite che non si vede quando vicinissimi smettiamo d’essere modella e pittore e abbracciati confiniamo reciprocamente con il mondo.”

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mio padre era la torre eiffel


Posted By on Ott 15, 2010

libera !

bello divertente inospitale

scuro indistruttibile ridente

si poneva sempre tra me e la luna

e mi ha salvato una stella all’orizzonte

sotto l’arco basso della torre.

Là, adesso, si affollano

i pretendenti al mio cuore di ragazza

ed io allora disegno la torre

fingendomi artista visionaria

ne cambio i tratti la deformo un poco

per raccontare la verità su mio padre.

Loro se ne vanno, con il disegno tra le mani, senza capire.

Mio padre era la torre Eiffel

perchè io potessi – alla fine – essere libera!

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