tempo


Sketch 2014-02-21 17_10_43

“GRAFFITO”
©claudiobadii

Mi prenderò la libertà di confidare in noi. Tu ci hai descritti. Definiti. Io, senza neanche una parola di avvertimento disporrò di te. Tu sei la presenza intellegibile. L’amore, voglio dire, è quel tipo di capacità che si può avere di porsi di fronte all’altro che, improvvisamente, si sente capito, di non dover spiegare nulla. Si può non averla questa capacità di alleviare, intanto, tanto di quanto prima pesava agli amici ai commensali agli ‘altri’. Gli altri, alle persone dotate di una certa capacità appaiono comprensibili sempre. Questi che hanno la capacità hanno uno spazio intimo nel quale i cosiddetti ‘altri’ possono riposare le loro ossa rotte. Quando siamo profughi dagli scontri di piazza contro la polizia del dittatore e quando siamo profughi dalle torture della polizia segreta dei rapporti privati. La polizia segreta dei nuovi strumenti di controllo poliziesco, i Facebook, i WhatsApp, i socialnetwork, come si chiamano i moderni luoghi del narcisismo collettivo.

Serve una qualità di grandiosa modestia. Far sentire gli altri legittimi. Il grande male, la tragedia diffusa, la polvere di gesso che copre tutti… è la ‘certezza’ della propria illegittimità, il senso di precarietà, i numerosi sospetti a proposito di sé nel momento che si comincia a riflettere su noi stessi.

E’ stato necessario studiare, prepararsi, essere previdenti faticando quando erano grandi le forze. Abbiamo studiato lungamente. Abbiamo scovato, traversando dalla teoria psicoanalitica freudiana disperata e parziale alla nuova scoperta della nascita, poi guadammo la prassi terapeutica il fiume dello Stige, l’interpretazione della realtà psichica, l’annullamento della realtà materiale, il rifiuto delle scuse coscienti per il sapere dell’inconscio che, però, faceva dimenticare tutto. Dunque troppo. Gli analizzandi mangiavano le focacce di pane dolce per dormire e non uccidere più. Ma non era ancora il tempo della loro vita, perché il transfert era idealizzazione e loro -nel sentirsi ‘bene’- invece erano ancora fragili, ipersensibili, irritabili, neuroastenici, deboli, impauriti, isterici. E non essendo ancora il loro tempo di vivere restavo fermo anche io nella relazione di scambio, senza nessun margine di ‘resto’, senza nessuna altra possibilità. Non era, voglio dire, nemmeno il tempo della mia vita. Il contro transfert risentiva dell’obbligo di accordarsi sapientemente al transfert. Era impossibile, di fronte alle loro evidenti difficoltà (a capire a vivere a trovare la forza a superare l’isteria a superare la fragilità a superare il loro odio verso di me che li rendeva nevrastenici) che io potessi avere la calma per vivere ‘normalmente’ … ed il contro transfert era solo disciplina di lavoro, difficoltà, inquietudine, paranoia… “Poi ce la fanno a farmi fuori…”

Decenni di parole e di pause, ogni volta sette giorni. Avevamo fatto tanto per dividere il tempo in frazioni non decimali per accordare il ritmo delle pause e degli incontri alla luna alle mestruazioni alle fasi calanti e crescenti. Al sangue. Trovavamo con le mani cieche quel sangue secondo un sapere che veniva dal nomadismo delle dita sul seno materno profumato dei primi momenti. Fasi crescenti e calanti. Le imposte aperte e poi accostate per fare giorno e sera secondo il sonno reciproco del neonato e della donna. Lontano dal mondo della produzione del padre. Abbiamo studiato per trenta anni. Aprire il libro. Chiudere il libro. Fase crescente, gli occhi sono saracinesche, persiane, che calano si serrano fanno il buio artificiale per sognare una comprensione, per chiudere le braccia attorno a te e fare l’amore. Per chiudersi a te e lasciarsi succhiare il latte come non ci fosse altro.

Lo studio dei libri, delle teorie, della scienza fisica, della scienza letteraria, della critica sociale, della politica, erano il setting: la sistemazione delle cose nell’universo esistente. Non ho ricordi differenti da quel procedere, ogni giorno, avendo intuito contro/intuitivamente ‘qualcosa’. Non ricordo niente altro. Come un amore di passione che non ragiona anche se non diventa bramosia e, pur volendo la carne e la saliva, tiene la distanza e l’idea di desiderio come certezze inestinguibili.

Studiare i contenuti. Poi si arriva alla linguistica, alla neurofisiologia, alla neurobiologia, alla certezza della origine materiale della vita mentale. Le dita sulle pagine fanno sempre il nomadismo come si era cercato. Le dita tracciano, muovendosi sulle pagine, il disegno del reticolo epidermico della cute sulla ghiandola mammaria che è irrorata dal calore. Lo studio ha questa sua legittimazione di desiderio, ma non c’era più, in quel tempo, la madre vista stando in piedi di fronte a lei. Nella regressione che doveva togliere l’isteria che è irrealtà, si perse la visione della madre intera. Si andava ai milioni di anni. Alla paleoantropologia. Se non avessi studiato anche quella branca della scienza dell’uomo avrei temuto che fosse una regressione pericolosa. Le parole che nominano le aree pulite del sapere mi rassicuravano che era possibile.

Dalle teorie mi sciolsi per arrivare all’impotenza assoluta del pensiero non razionale. Persa la visione della madre intera tornato ai milioni di anni dicevo parole senza senso. “Veglia senza coscienza”. (Dove altri dicevano immagine inconscia non onirica, che forse intendevano tutt’altro da quello che io credevo volessero esprimere..). Ma io non volli scomodare più la seta usurata dei discorsi altrui. Mi facevo le ossa con le carezze alla voce delle donne sconosciute. Fisica, scienza sociale, paleoantropologia, linguistica…. Per la pazienza di altre donne. Che concedevano le infrazioni e non si fecero mai ‘legge’.

Grazie a molto di questo che è solo sabato pomeriggio torno fino all’antropologia ultima, quella dell’evoluzionismo attuale. Ecco la mela rossa che, vada come vada, lascia affondare i nostri denti bianchi. L’evoluzione non ha un andamento lineare. Le mutazioni vantaggiose crollano. Mutazioni controproducenti emergono e progrediscono. Gli ominidi, lenti nella savana e appena sufficienti sui rami, sono riusciti. Saranno due milioni di anni fa. Imprevedibile. Non ci si sarebbe scommesso. La legittimità figlia della improvvidenza. Il successo di non essere annullati e spazzati era steso ad asciugare sulla via della resistenza (c’è un articolo e un disegno in proposito nel blog..). In equilibrio precario lungo la linea confinaria. In equilibrio precario di un sabato pomeriggio di due anni fa. Per un sorriso.

Il controtransfert adesso è una scelta di marginalità a presidiare i confini solamente, a controllare nulla. A guardarti telefonare certamente ai tuoi amori senza voler sapere. Tanto lo so. L’ho sempre saputo e ti ho amato comunque. Diversamente, senza quella bellezza che ti rendeva orgogliosa, silenziosa, misteriosa, traditrice, non avresti avuto nessun fascino. Io lo so che voi donne considerate amore solo questo coraggio che si deve sapere, e saper immediatamente dimenticare, la vostra bellezza. Di saperla solo quando ci offrite di succhiare il seno in silenzio. Poi dobbiamo essere stupidi e lasciarvi. Io ero fatto per questo. Perché avevo sempre tenuto in segreto la necessità di pensarti dentro il miele dell’universo appartenente al buio dei tuoi segreti luminosi. Così ti ammantavo. Così ma in modo che tu non vedessi. C’era una probabilità minima di riuscire. Una ‘vita migliore’ è un’ipotesi contro intuitiva nel migliore dei mondi possibili che l’amore pretendeva di esaudire. Resto come ero, abbastanza povero, con te sulle dita. Ti lascio scivolare sulle falangi. Sei un’Araba Fenice che scompare nelle aree cieche degli spazi nascosti e ricompare sull’orizzonte dei polpastrelli. Io sono una specie di prestigiatore. In verità mi muovo lentamente attorno ad un atomo d’elio fissato al centro della visione per non lasciar cadere fuori del campo del mio interesse neanche una delle scintille che spruzzi. Mi avvito sul perno di te, che inchiodi le mie mani in un punto non casuale in aria.

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zero

Lo zero non è il nulla/ è la mancanza/ Per questo non fa angoscia/ Fa speranza/ Lo zero è adesso/ Cos’altro vuoi che sia?/ Dunque non è cha un attimo/ Invisibile/ Tra la speranza/ E un po’ di nostalgia/ Chi ne ha paura/ Fa per atterrirti/ Per chiuderti/ Tra le mura del castello/ Costringerti ad ignorare/ Il bello/ Ancora da cercare/

note: secondo me c’é un nesso (qui).

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invidia


Posted By on Mag 3, 2011

invidia

Quando mi confronto con i giganti non sto mai immediatamente male di invidia, come se avessi imparato, mi fossi sapientemente curato dall’alterazione immediata, diligente come uno scolaro mediocre capace di svolgere il compito in classe con le difficoltà programmate, insomma, per quello che posso affermare coscientemente, non mi viene alcun attacco distruttivo e così coscientemente comunque mi confronto coi giganti, lo faccio anche apposta per cura e verifica, per vedere se il cuore è sano e resiste allo sforzo come in una test un poco provocatorio sulla mia salute. Tuttavia lo so che non c’è verso di essere del tutto sicuri, perché la coscienza della propria sanità non è la nostra sostanziale sanità non quando si tratta di fisiologia della vita del pensiero. Altre volte sono gli amori che sono sparsi nella rete della geografia della mia storia non breve neanche lenta e inerte: a volte dunque questi ‘amori’ alternativamente successivamente o tutti insieme mi mandano canzoni e poesie e creazioni differenti dei giganti – e per aumentare il significato emotivo del senso e dell’impatto della lettera che porta la notizia il disegno le parole il riferimento al dato della creazione di un genio mettono le loro parole che spesso sono anch’esse bellissime e piene di intelligenza e assolutamente geniali per la bellezza la leggerezza la sensibilità come altri capolavori che accompagnano i capolavori che mi porgono – e docilmente e con sorrisi d’amore e gratitudine a volte mi pregano di accettare dare un’occhiata ( caspita dicono proprio così “ dai un’occhiata qui ” -di fronte all’enormità delle creazioni di una poesia o di un disegno o di una scoperta- con una lievità dolce e omicida per l’autostima di un io presuntuoso ) come a essere certe che io potessi -e dunque fossi addirittura secondo il loro eccessivo femminile criterio  felice di capire tutto quello – che poi in realtà nella maggior parte dei casi capisco davvero – e dovessi amarli quei giganti: amarli esattamente come loro li amano. E poi vogliono che io diventi così spropositatamente distante da me e dal mio umano tendere al loro apprezzamento di unicità e originalità tutto per me – fino a diventare identico a loro stesse. Nella migliore delle ipotesi penso che vogliono dirmi che potrei essere un genio almeno nell’oppormi alla disperazione di non esserlo – avendo avuto l’onestà – che non è genialità di certo – di non aver annullato dimenticato alterato e messo mai in secondo piano quella genialità di altri diversi da me. Allora io mi metto di fronte ai giganti e anche in altre occasioni diverse mi trovo di fronte ai giganti e accendo le canzoni guardo le sfumature dei capolavori riprodotti guardo attento i movimenti degli attori nel teatro mi lascio trasportare dall’inquadratura scivolo tra riga e riga dei versi e intanto tendo l’orecchio autocritico aspetto l’attacco di una mia osservazione minimamente acida una qualche sottovalutazione o una svalutazione tutta intera o un dolore – e se anche non vengono mi dico che la coscienza di sanità non è sanità nell’ambito della realtà della fisiologia del pensiero umano – e infatti ho imparato ad aspettare il sogno qualche notte che viene di seguito all’esposizione della mia anima ai capolavori dei giganti all’immagine dell’assolutamente difficile che i giganti realizzano senza fatica sembrerebbe -anche se non è mai senza fatica non è mai un cosa da niente anche se potrebbe essere stato ‘facile’ – e insomma aspetto il sogno o un mal di testa l’attacco di un virus della pelle o della faringe o chissà una piccola disfunzione – e aspetto le figure dei sogni aspetto dopo l’esposizione del pensiero e della mia anima sensibile ai capolavori dei giganti – aspetto che la vitalità prenda una direzione una forma eserciti una corrente determini l’esplicazione di una forza qualcosa un refolo di vento una traccia – di sapere che l’inevitabile invidia si è mossa ha preso campo ha scatenato la serie di avvenimenti per cui riesco a avere una notizia certa che ho una sensibilità una vitalità che si è svegliata e si esprime come negazione alterazione proposizione frettolosa imprecisione intempestività improntitudine! Per respirare l’aria limpida e leggera di una umanizzazione attraverso una mia normale reazione di odio una mia umana reazione ai miracoli che non provengono da dio. Accade o non accade come si fa a sapere – perché è perfino ovvio che per quanto uno stia sulle proprie tracce la distrazione legata ai giorni che ripropongono ulteriori bellezze costringe a non prendersi troppo sul serio o per lo meno a non perseguitare l’ipotesi della propria comunque sospettabile capacità di negare – alla fin fine- tutto. In modi diversi inapparenti e sottili e imperscrutabili come si dice sia la mente delle divinità e per giunta neanche per complessa perfezione ma piuttosto per inconfessabile capriccio.

Per contro non smetto mai di notare quante bellezze ci siano quante bellezze quotidiane anche genericamente inapparenti – e dunque mi dico che la mia capacità di odiare e negare le sfumature di bellezza di cui sono ricchi e affollati i complessi residenziali le piazze e le città che compongono l’urbanistica di lusso delle menti dei giganti – non deve mai essersi realizzata assoluta e definitiva – e questa deduzione mi calma e mi consola perché l’invidia è pericolosa soprattutto quando lede possibilità appena accennate invisibili perché ancora non sviluppate – e compie omicidi imperseguibili perché avvengono lontani dall’oceano del mondo delle celebrità dell’arte – lontano dai teatri dalle gallerie dai musei dalle sale degli affreschi dalle piazze delle cattedrali e dei palazzi – e so che l’odio è pericolosissimo quando si rivolge contro le cose che ci mettiamo vicine per rendere meno brutte le nostre case meno scure le nostre giornate più musicali le nostre parole – quando rompe la delicatezza e la fragilità e uccide i pesciolini rossi infrangendo con una disattenzione fatale la conca di acqua pulita in cui nuotavano con la armoniosa assenza di intelligenza propria della loro natura non umana sulla scrivania di una ragazzina per il suo divertimento – o distruggere il futuro negli occhi ridenti di una ragazzo che si è appena svegliato ha deciso che da grande farà qualcosa che nessuno in famiglia ha mai fatto e che per questo sarà un poco più felice del padre e della madre seppure il padre e la madre siano moderatamente acquietati e il futuro in cui avrebbe realizzato quella possibilità viene distrutto perché proprio quella mattina il padre e la madre hanno dimenticato il miracolo di quel figlio e forse anche per quella dimenticanza si sono lasciati prendere dalla disperazione si sono detti cose terribili e la madre piange e il ragazzino è preso dall’odio per il padre e non sa più se potrà essere mai migliore e sa che se non potrà esserlo il futuro non c’è più – o si oppone alla completezza delle cose pensate che riuscivamo finalmente a tacere come segreti della nostra identità che dovevamo tenere per noi per restare sani e che invece ci siamo lasciati sfuggire in una clamorosa emorragia per un terrore che qualcuno ci ha suscitato apposta per farci morire di dolore perché sapeva che il modo di farci morire era farci tradire il segreto suscitando in noi il dubbio a proposito dell’onestà che non dice le cose del pensiero perché sa distinguere il valore delle cose e rifiutare la delazione dei propri sogni.

La coscienza della propria sanità non corrisponde alla sanità della fisiologia della vita mentale perché la vita mentale ha una complessità che non è contenibile tutta nella concettualizzazione di coscienza e se non si deve negare il riferimento al concetto di ‘tempo’ come forma implicita nella realtà del pensiero – pure si deve poter supporre anche un tempo differente che sia una creazione e realizzazione del pensiero che avviene e rimane indipendentemente dalla percezione del mondo.

La coscienza ha la limitazione di essere legata ad una dimensione temporale che è una certa modalità di coordinare le azioni consapevoli della mente umana secondo la successione delle percezioni e dei fatti ricreati nella memoria in un ‘ordine’ che – poiché ricalca il proprio legame di corrispondenza descrittiva con le cose percepite e accadute fuori dell’uomo – pare la forma lineare causale consapevole e finalistica della natura del pensiero.

Ma quando la attività fisica della materia non è più -temporaneamente- in grado di ordinare i dati mentali in relazione all’ordine e alla successione degli oggetti ‘esterni’ – sembra emergere una caratteristica più profonda e più specifica della fisiologia della vita mentale dell’uomo: la capacità di generare il tempo come una modalità costante e inarrestabile del  pensiero che persiste senza attributo ( né necessità ) di ‘figura’.

Devo avere il tempo di esistere un attimo prima di coinvolgere le persone che amo nell’avventura della mia vita e ‘avere’ quel tempo sembra corrispondere al ricreare in me le condizioni originarie di un pensiero non aprioristico che può accettare l’esistenza di te come realtà di scommessa ulteriore sull’amore a venire.

Nel tempo generato dal pensiero umano forse l’odio della negazione può essere fermato ‘prima’ della distruzione della figura.

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il silenzio della parola


Posted By on Apr 6, 2011

il silenzio della parola

Esatte scenografie delle intimità ostinate del pensiero. Programmi di mondi perfetti e differenti. Il risparmio delle parole. Le moltiplicazioni dei volumi muti del mondo di dentro perfetto senza spreco. La fontana di sabbia. La ridefinizione delle identità nella prova vocale della recitazione. Noi. Il senso della preferenza d’amore nella dialettica delle marionette oltre la balaustra. La guancia accostata alla spalla. Il riposo sulla pietra azzurra affacciata sui vulcani. Il pensiero verbale muto che splende. Il crollo sfolgorante di una civiltà intera. Il travagliato operare chirurgico per ricostruire l’esattezza del margine. La pulizia. I calcoli attenti dei metabolismi dell’anima affascinata. I piatti di luna. Le dieta ipercaloriche per l’amore. Il colore indicibile degli astri durante la luna di miele. Tu ed io a camminare sicuri  in mezzo ai campi  coperti dalle ombre degli anni avversi. Certi giorni. Il mutismo del pudore.

‘ ….sei quella che ha scelto di tacere…’

La tua ostinazione programmatica a tacere. La tua ostinazione programmatica a tacere che fa il niente delle parole. Io che al cospetto della tua ostinazione programmatica a tacere divento diverso. Tu che di fronte a me che divento diverso alzi gli occhi al cielo. Tu che alzi gli occhi al cielo e fai cambiare il cielo ai miei occhi. Tu che pronunci il mio nome ed io che cambio se pronunci il mio nome. Tu che guardi il mondo in silenzio con un sorriso misterioso e pieno di commozione. Il mondo intero che cambia sotto il tuo sguardo di tenerezza. Il mondo bambino. Il tuo sguardo silenzioso sul mondo. La tua ostinazione programmatica a tacere che ogni volta fa il niente delle parole. Quel numeroso niente che fa la tua comprensione femminile del mondo. Il mondo coperto dal tuo silenzio. Il silenzio che è progettare mondi.

‘….sono la fontana di sabbia al centro delle città…’

La fontana di sabbia al centro delle città costruita con tenerezza e compassione quando volti gli occhi al cielo di fronte a me che cambio troppo lentamente e preghi dio di darti la capacità di aspettare fino a quando saprò raggiungerti nelle piazze piene di sole. Una costruzione che tiene la mia idea di te al riparo. La Città del Riparo ha acqua che gorgoglia e canta nella piazza al centro della mappa del progetto di noi. La costruzione perfetta del Grande Riparo. L’urbanizzazione della tenerezza che ti prende nel guardarmi mentre cambio al cospetto del tuo silenzio. La Città del Silenzio e le città infinite del mio silenzio. Le mie reazioni alla tua perseverante tenerezza e la proliferazione del tuo silenzio ostinato. La moltiplicazione dei miei progetti di città perfette, di hangar necessari ad ospitare intere flotte di aerei di pace. L’esatta pressione che piega i pennoni d’acciaio e crea le convessità della volta alle cupole dei Magazzini degli Imperatori. Io tutto un progetto di me nei tuoi confronti riparo motori scassati nelle piazzole di sosta.

‘…confidiamo che l’identità possa essere il silenzio delle parole mai pronunciate a proposito delle nostre reciproche intenzioni d’amore…’

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onestà e rivoluzione


Posted By on Mar 10, 2011

onestà e rivoluzione

Quando persino gli amici più cari vengono a raccontarmi il loro dolore per un immeritato disavvenire perdo ogni superbia, se ne avevo. Forse dovremmo darci da fare per mettere le cose per il loro verso. Penso all’onestà come ad una favola rivoluzionaria.

Il tendone degli artisti costeggia la biblioteca tra pile di libri come palazzi. Io immagino torrone liquirizia storia e idee alla panna. Vado là a cercare la maturazione dei nomi di ogni cosa, da leccare, poi, sulla punta delle dita di una trapezista.

Indispensabile la sensibilità, perché il tumulto e’ corpo alla crema, e stanotte contiene la sorpresa di un travestimento. La sensibilità è attenzione e cioccolate da scambiare. Uno sfoggio di nobiltà a buon mercato? Ecco qua: “Riconoscere i propri limiti nell’ordine delle cose e’ una benedizione.”

In realtà ero qua già da un pò di tempo. Tu eri l’indubbio pensiero di adesso. Intanto ho lucidato il tendone dalla parte scura della luna. Ora avanzi sul piano della mia emozione. I tuoi fianchi. Io -se provo ad alzare gli occhi- il tuo viso e’ linee. Linee. Di nuovo.

Da una modesta ma dignitosa tempesta, arriva l’aria delle parole mosse dai tuoi passi sul filo. Le parole sono molto meno certe, nel gioco. Eri la’ : alla speranza, all’incrocio, sui tacchi alti da artista di strada. Il tendone? E’ lucido della mia allegria. Tu.

Ho nascosta, eccola qua, una memoria di tulipano per inaugurare il varo. Colpire il fianco alto della caravella in odore di altro e pepe. Per quello che posso pensare l’emozione e’ una generosa garanzia e una pretesa. E allora, adesso, doppio salto mortale, sorriso e alla fine a te gli occhi.

Io seguivo tracce nel mare. Abbi cura della mia deriva, che mi porta sempre un poco a sud del dovuto. Mi affascina lo spettacolo delle tue dita alle prese con lo scorrere delle ore. A volte ti offendo provando ad immaginare. Poi arrivi.

Si nuota sotto la mano di un tempo voluminoso e pieno: scivolando sotto il palmo facciamo muovere il mondo. Io devo scoprire molto più di quanto la mia superbia autorizzi. Il bilanciere è la linea dei tuoi occhi per resistere in equilibrio sul vuoto.

Indietro non si torna non e’ dis-significanza. E’ una licenza impoetica, la scoperta della rana toccata dal destino. L’incantesimo che il principe era un ranocchio e le parole solo pensieri. E parlare è tacere con armoniose alternanze. E tu ed io singhiozzi muti.

Se io sapessi appena un grammo, di questo impegnativo monte di cioccolato che e’ leggere le tue parole, sarei re del Vicolo Principale. Mi esercito: nell’universo prismatico del tempo apprendo le durate. Quella della parola ‘notte’ per adesso.

Sulla sella delle parole eccomi. Senza comando l’equilibrio si acuisce. Se poi tu. Possiamo di certo. “Se Poi Tu” : una buona linea di fondazione per le rimesse degli alianti. Capannoni grandi di legno e sabbia per ricoverare i dispersi. Poco più che ali smisurate.

Il tempo sempre attimi ma ora con meno indecisione. I rimandi diventano un po’ più di niente. Le frasi erano scritte. Tu. Avvenire. Una mattina nel buio dello spettacolo. Il nero dei caratteri è quanto resta dell’imprevidenza. Il bianco e’disporsi a te.

Il tempo e’ una traccia addosso che spinge le dita di panna a percorrere un idea sulla pelle e creare nella mente il profilo di ‘ridere’ e ‘cantare’. Leggo le tue parole e imparo. Puoi non crederci. Confido che mi lascerai rubare.

All’inizio ‘non capivo’. Ho messo in atto frasi brevi della durata di un respiro. ‘La mia misura’ ho pensato. Non voglio capire tutto. Voglio il cappuccino con la nuvola di panna con un ombra di casta ignoranza. E che tu sia il caffè. L’insonnia eccitata.

Non c’eri già più e con un inchino soave ho finto d’averti comandato io di sparire. E’ allora che ho realizzato il pensiero senza corpo della parola ‘onestà’. E’ rivoluzionario non trasformare in odio le vertigini della solitudine quando te ne vai.

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