“C’est une chose beacoup plus profonde que l’inconscient, si vous voulez!”

Posted By claudiobadii on Dic 4, 2012 | 3 comments


“C’est une chose beacoup plus profonde que l’inconscient, si vous voulez!”

\ L’idea dell’oggetto manufatto che diventa opera d’arte solo in quanto scelto dall’artista prosegue il suo cammino e nel 1914 Marcel Duchamp designa con il nome “readymade” la prima opera ufficiale di questo tipo: un porte bouteilles, un égouttoir, un sèche-bouteilles. La domanda chiave era naturalmente quale motivo avesse portato avanti l’idea: ad essa Duchamp rispondeva: “C’est une chose beacoup plus profonde que l’inconscient, si vous voulez!” (E’ una cosa molto più profonda dell’inconscio!) / (Marcel Duchamp – Bompiani – 1993 – introduzione di Pontus Hulten)

Dunque vado sviluppando la ricerca intuitiva (certa) a proposito del non cosciente che lega la clinica all’amore e all’ingigantirsi dei dati singolari e irripetibili. Invece di essermi garantito che non andrò a finire male (non farò una brutta figura) cercando prima dove fosse andato poi a finire Marcel Duchamp ripeto il coraggio di trentasei anni fa. Il 1976 quando sceglievo una certa teoria appena accennata. Per necessità la cura e per passione di politica e scienza il tentativo di comprensione delle proposizioni scritte in un libro.

(“Da sempre chi non è donna non è bambino e non è operaio domina chi è donna chi è bambino e chi è operaio. Da sempre il non-essere domina l’essere. Tutti lo sanno e tutti nascondono accuratamente il proprio io“) (“Istinto di Morte e conoscenza” – M.Fagioli – ed. L’asino d’Oro – introduzione alla prima edizione)

Nello studio di psicoterapia e poi nella stanza dell’analisi collettiva e tutto contemporaneamente senza ancora una forma e solo grazie all’idea di immagine del tempo avvenire andavo insieme ad altri. Fantasia ricordo si ripeteva scimmiottando senza sapere che si fondava la possibilità di arruolare gli sbandati che saremmo stati dopo lo scontro quasi mortale … proprio trenta e più anni dopo: adesso. Dopo è adesso.

Dilungarsi c’è tempo e poi devo seminare i persecutori e le spie dell’io razionale. Senti dolcezza: Duchamp dipinge nel 1912 il “Nudo Che Scende Le Scale” con la magnificenza di tutte le favole dei saliscendi. Saliscendi dalla gloria all’irrilevanza, dall’apertura alla chiusura degli umani orizzonti, dall’apertura alla chiusura della forbice del desiderio, dall’estenuazione dell’aspettativa alla sabbia della delusione.

A lungo si è speculato sul motivo per cui Guillaume Apollinaire avesse incluso Marcel Duchamp nel suo volume “Les Peintre Cubistes” (1912). Marcel Duchamp aveva allora 25 anni e Apollinaire molto probabilmente aveva visto soltanto poche sue opere, e neppure molto significative. Quando lo scrittore terminò la prima stesura del testo, Duchamp non si trovava a Parigi, ma a Monaco di Baviera e potrebbe quindi non essere stato lui a mostrargli il “Nu Descendant un Escalier” che Glaizes e Metzinger avevano rifiutato di esporre al Salon des Indipendants nel marzo dello stesso anno. ( …. ) una ragione  ( … ) è che sia stato Francis Picabia a chiedere ad Apollinaire di inserire Duchamp nel libro. E il desiderio di Picabia aveva un peso notevole, dal momento che finanziava la pubblicazione del volume. ( …. ) Quel che è certo è che alla fine Apollinaire diede a Duchamp il posto più importante nel libro: (….) e conferì a Duchamp il ruolo del giovane artista fautore della grande arte del futuro. La frase conclusiva nella nuova versione del libro ha una forza enorme: “Il sera peut-être réservé à un artiste aussi dégagé de préoccupations esthétiques, aussi pré occupé d’éneergie que Marcel Duchamp, de réconcilier l’Art et le Peuple” (Sarà forse compito di un artista tanto distaccato dalle preoccupazioni estetiche, tanto pieno di energia quanto Marcel Duchamp, riconcoliare l’Arte e il Popolo) (Marcel Duchamp – Bompiani – 1993 – introduzione di Pontus Hulten)

Riconciliare l’arte con il popolo. Mah, dolcezza, che dirti, forse ci sono leggere sfumature d’ombra, imprecise e imperfette relazioni. Il non essere che domina l’essere. L’estetica del potere simmetrico e rigoroso e poi un attimo di asimmetrica disattenzione per l’estetica comune. Chissà. Ti scrivo, copio cioè per amor tuo. Tu che non hai mai voglia di leggere tutto quello che sarebbe necessario. Copio qualcosa sul cubismo che certamente -capirai al volo- era meglio non aver trascurato, che era meglio che tu avessi saputo da venti anni. Ora conti gli anni che hai perduto. Venti anni perché non hai voluto conoscere. L’amore critico che ti regalo mi stanca. Scrivo dolcezza. Copio.

Sembra evidente che l’idea del collage introdotta da Pablo Picasso e da George Braque nel 1912 abbia suscitato un profondo interesse in Duchamp, anche se non ne realizzò mai. Nel collage cubista un elemento della realtà, per esempio un ritaglio di giornale, viene prelevato al materiale presente nello studio dell’artista e introdotto nel dipinto come parte integrante. Il trasferimento indica che lo spazio dell’opera è equivalente allo spazio dello studio. La prospettiva ‘inversa’ del cubismo aveva già affermato che lo spazio del dipinto era nello spazio dello studio sviluppando quest’ultimo al di qua del dipinto e non, come nel caso della prospettiva rinascimentale, in uno spazio più astratto dietro la superficie della tela dipinta. La costruzione dello spazio del dipinto che si apre nella stanza, nello studio, sembrava meno illusoria, più ‘vera’. (Marcel Duchamp – Bompiani – 1993 – introduzione di Pontus Hulten)

Dunque tutto per suggerire ipotesi di ricerca: un blog che allinea materiali còlti e tolti nella stanza del rapporto di cura e ricerca ha caratteristiche cubiste. Anti-rinascimentali o inverso-rinascimentali. Pensa a tutto quel voler capire di tutti. Invece di fare un’operazione glottologico\ acustica di lettura esclamata. Invece di curarsi l’ugola muta e sentire al fondo della gola la carne pulsante di un capo del discorso da cui potrebbe scaturire uno sgorgare di gomitoli lattescenti di materia di realtà non illusoria. Non irreale. Ma per questo devo leggere tutti i libri comperati oltre le mie stesse possibilità economiche. Capirai che solo investendo l’impossibile posso sconfiggere l’invidia, dolcezza. Il libraio dice che non devo avere il tempo di leggere tutto. E io il tempo lo trovo. Poi ho l’intellgenza per supplire a quanto non ho la pazienza di leggere. Come ho avuto l’intelligenza di rifiutare consolazioni quando erano facili. Scambio il rifiuto delle consolazioni di un tempo con la attuale capacità di leggere poco riuscendo ad immaginare il resto.

Se pure tu (che hai sempre detto “t’amo t’amo t’amo t’amo non sai quanto t’amo” lasciando vibrare l’apostrofo come un pezzo di carta sgrammaticata o come una virgola sovra-posizionata o come un frammento di pensiero senza forma definita con cui facevi un collage di atti di erotica provocazione coi sospiri d’anima che sottraevi alla tua vecchia avidità di ragazza pigra per farmi sognare) se anche tu, dunque, non ti eri messa nella condizione della nudità intelligente di sapere senza aspettare se valesse la pena. Allora ho scoperto che era in te, seppure insospettabile (perché in te no! in te non può esserci pensa sempre l’amante invidioso) l’avidità dell’invidia. Era nella negazione di volerti, tu come molti, assicurare prima se -quanto sempre potremmo anche saper fare e sempre comunque riuscire a sapere- varrà la pena d’essere fatto e saputo. Io, diversamente da te, m’ero inventato che fosse bella la denuncia del non essere che domina l’essere. Non fu per tutti vero. Seppure fecero finta di aderire. Molti sono ancora là per incredulità. La mia credulità mi è costata trenta anni di prigione. La prigione mi regala una ruota di bicicletta e posso dire:

Capisco !”

Adesso fuggo sulle ali dei geni. Con le loro ali. I geni depongono le ali fuori della camera degli alberghi che li ospitano. Insieme ed accanto agli stivaletti delle eroine con le quali trascorrono la morte delle luminarie. Niente di scontato mai. Figurati che può valere la condanna della colpa all’infedeltà che per me è un destino. Dolcezza, c’è qualcosa di più profondo dell’inconscio. Oh sì. Finalmente ci si libera con la sapienza vetusta di uno dei tanti anticipatori di figure. Duchamp aveva presentato quella ruota di bicicletta.

Cerchiamo di ricostruire la storia della nascita dell’idea di readymade. Marcel Duchamp rispose ad una domanda  in proposito dicendo che la ‘Roue de Bicyclette’, il primo readymade (1913), girando gli ricordava il fuoco di un camino. Dalla campagna si era trasferito a Parigi e gli mancavano le vampate di quel fuoco. Ovviamente la ragione profonda per la creazione dell’opera non è l’idea di sostituire faville, ma si potrebbe trovare una risposta più bella e poetica?” (Marcel Duchamp – Bompiani – 1993 – introduzione)

Ovviamente, dolcezza, il ricordo è fantasia. Le faville non sono il motivo della proposizione di una ruota di bicicletta. Il motivo è il calore della possibilità, il caldo convesso del seno. La certezza che ci sono amori per me. Questo è scrivere. Affermazione che non sarà nell’inconscio che troverò amori consolanti ma nel più profondo del presente. Nonostante l’eterna invidia. Mi farò gli occhi nuovi d’affetto. Dopo trentasei anni dall’inizio. Dopo cinquantasei anni dal primo giorno di scuola dove si va per imparare a leggere e scrivere. Per imparare a servirsi del desiderio della conoscenza. Poi si va da molte parti vagando. La ruota della bicicletta sta là a scaldare la vista con la qualità degli arcolai.

Un tempo senza figura come l’aria tra i raggi delle ruote delle biciclette ovunque fossero state dimenticate….

 

3 Comments

  1. Come Duchamp, voler portare l’attenzione oltre il nesso cosciente tra l’immagine e l’oggetto che la rappresenta e cercare di capire davvero la provocazione nella proposta di un’indifferenza visiva…sì, ci sto anche io, c’è davvero bisogno di curare la vergogna della propria pigrizia …

  2. oh! si!

  3. E allora dell’invidia mi curerò. Avevo letto tutto, e nonostante tutto, pure pensato che fosse bello, ricordavo com’era prima. Ma non serve perchè poi gli apostrofi sono di fatica e non di vita.
    Così la dolcezza, è evidente, resta forse in bocca per il vestito della fiammiferaia.
    Ciò che è cambiato sei te (sei sempre cambiato prima di tutti), che spogli dei vestiti vecchi tutto quanto, senza volerlo fare.
    Così ci si sente a volte. Spogliati.
    C’è da stare in silenzio. Arriva tutto.
    Ora.
    L’invidia non avrebbe senso senza prima aver visto/intuito.
    Si legge, si vede si intuisce e poi si nega. Non ci si capisce niente.
    L’annullamento? Non fossi andata a leggere.
    Ora. Cos’è peggio tra le due? Si sa… è la vergogna del proprio odio. E non ci sono stanze o pagine scritte che ne possano meglio stabilire le differenze. E’ quel ‘prendere rapporto con’ che conta.
    E sai che ci sto.
    Si diceva anche della passione per l’annullamento. Se tu ora leggessi e non volessi pubblicare questo commento, lo capirei: è per passione. Volevo solo dirti qualcosa. Che tu sappia che ‘’tutto arriva’’ volevo dirlo.
    Che mi piaccia o non mi piaccia, così ti ho conosciuto.
    Una vita intera per curarsi dei ‘’prima se’’. E dell’odio per il tempo perduto. Una vita per ritrovare l’affetto che renda possibile la comprensione di quello che è successo un mese fa e di tutto quello che sta dopo.
    La vergogna c’è assoluto bisogno di curarsela da soli così come la pigrizia.

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