difficoltà assoluta della lotta

Posted By claudiobadii on Lug 19, 2012 | 2 comments


Questo libro a pagina 64: “Fino ad allora il fascismo era stato considerato conservatore o reazionario, mentre la realtà aveva ampiamente mostrato la sua forza rivoluzionaria distruttiva, che scendeva a patti con chiunque nell’interesse dei propri progetti di conquista del mondo. Da molto tempo il fascismo non era più un movimento fuorilegge, ma si presentava con il fine di sostituire l’idea di umanità con un sistema di menzogne, crudeltà e umiliazione. Katznelson, nel suo discorso, metteva in guardia principalmente nei confronti del pericolo di diventare, nel corso della lotta, sempre più simili al nemico, poiché (….) si stavano diffondendo la fascinazione del potere (il “culto del potere”) e l’idea che si dovessero soppesare l’uno contro l’altro i principi umanitari. “Può essere che noi, aspri nemici del fascismo, abbiamo molto in comune con loro, dal momento che nella nostra società attribuiamo un valore tanto alto alla capacità di realizzazione e al potere dei fatti?

Qui, noi, da molto tempo. Qui come si vede bene poesie, sogni, libri di scoperte. Per anni senza far male a nessuno poiché non si è chiesto mai a nessuno: “Vieni”. Ora alcuni giorni di attesa dopo altri due anni quasi interi di pagine continuamente aggiunte a quella del settembre del 2010. È venuta una tristezza che ha impedito di far altro che attendere. Le parole che inaugurano queste altre difficili pagina tuttavia, per quanto inquietanti e accorate, non appartengono alla cultura che chiamo nihilismo pericoloso. (Faccio affermazioni con una superbia che sono certo vale da sola a squalificare ogni valore critico a quanto dico e salvarmi dall’indignazione dei professori.)

Siamo qui non per apprendere a non far più male bensì perché qui in genere non facciamo cose di cui pentirci. Quello che é fuori in realtà resta diverso da qua dentro. 

Qui nessuno alza la voce. È sempre stato così. Qui siamo abbastanza certi che pur non imparando niente pure si riesce ad evitare il peggio. D’altra parte non c’è di più da dire. Come si fa ad assicurare, a chiunque sia, che la frequenza assidua di questo posto possa fare in modo che nessuno di noi poi compia mai più alcuna cattiveria, alcun errore? Non sarebbe onesto dichiararlo possibile. Dunque non possiamo presumere, o costringere altri a presumerlo, di essere qui per nessuna lodevole ipocrisia. Non per diventare incapaci di future stupidaggini ai nostri ed altrui danni. 

È una buffa vicenda intorno a motivi poco studiati. Forse siamo sempre venuti qua soltanto perché era quasi certo che nessuno avrebbe alzato la voce. Nient’altro. Siamo stati tanti anni qua seppure non si imparasse nulla che poteva servire in pratica, però presumibilmente -forse perché c’è sempre stata la prevalenza di un pudore o di uno spontaneo rispetto- perché si prevedeva che non si sarebbe ferito o offeso nessuno per tutti gli anni che avessimo voluto. Non eravamo per imparare. È stata frustrata l’ansia accomodante di una frequenza pedante.

L’intensità delle voci restava regolata attorno ad un volume delicato. Come se le voci fossero il diagramma di molti stati non completamente coscienti esse facevano disegni differenti e discordi rispetto all’ampia gamma dei significati delle cose dette. Il tono delle voci è stato la nostra cifra stilistica. L’immagine come può essere, dentro un museo, quella corrispondente al carattere dell’intera collezione e all’animo del curatore: alla genialità complessiva dei creatori delle opere conservate protette e mostrate. O come nel suono delle sale da concerti risiede la specifica prestazione acustica fornita dall’architettura dell’edificio.

Ho mantenuta, invecchiando, l’idea di un luogo e di un rapporto e non altro più di questo. Fuori c’è ancora la cultura di un tempo che ripasso studio riscopro riconsidero giorno dopo giorno con sofferenza e stupore. È l’umore nero di menti eccitate dal dolore e geniali al punto da legittimare la morte come una condizione. In seguito a certe conclusioni parziali esaltano il loro possesso del nulla. La conquista del loro speciale sentimento del nulla. La sua durata e la sua profondità. Fino alla deposizione, ogni volta, del marchio delle condizioni mentali corrispondenti ai suoi diversi stati.

Studio libri che mi paiono -spesso- trastulli letterari convergenti verso l’asserzione, in molti modi, dell’esistenza del niente. Legittimazione e imposizione del niente in molti modi. Leggo la parola nulla e poi proposizioni che ne esaltano la funzione palliativa. Corrisponde ad una bella trovata: una azione del pensiero che non ha la distruzione faticosa degli oggetti. È l’azione letteraria e filosofica al servizio della pulsione di annullamento ( direbbe Qualcuno…) 

Di fronte alla fine, negli attimi della separazione, nel momento della transizione irreversibile e di tutto quanto è irrimediabile (come la pioggia nelle scarpe) scatta un provvedimento argomentativo. Esso non va solo evidentemente contro la esistenza del mondo e delle cose. Il nihilismo a ben guardare si rivolge contro il mondo del pensiero. Contro la sua realtà fisica. Questo fa si che esso abbia conseguenze non soltanto sotto forma di diverse posizioni culturali. Ma anche e soprattutto a carico della realtà fisica del pensiero. Del quale dunque implicitamente esclude la consistente natura.

La letteratura che leggo sono buie citazioni, residui di un mondo progressivamente annullato. Cronache di una spoliazione. È pensiero convergente di tante menti davvero geniali. Però in realtà è un fascicolo di fogli autografi con conclusioni coincidenti contro ogni ipotesi di prosecuzione di qualsiasi ricerca. È un lamento sdegnato e un dolore pieno di disappunto.

“La durata di una ricerca difficilmente diventerà nulla”,  penso. La dimensione complessa del pensiero che da anni dilaga in questa stanza difficilmente può essere pensata niente. Conosco la persuasione amorosa e sessuale nel momento che spalancando gli occhi tra le tue braccia mi era parso di spegnere la coscienza e di deporre il peso e respirare finalmente per la prima volta: come era denso quel nientificarsi del mondo. E così ieri sono tornato a scrivere e pensare dopo giorni che avevo sperimentato il sole e i racconti. La crudeltà anestetica dei nihilisti. La genialità dell’illuminismo calvinista. La forma perfettamente quieta del rigore penitenziale.

Si prova un certo benessere mentre si fa strada la convinzione che non serva nient’altro. Si va al nulla lentamente. Certi scritti filosofici e letterari agiscono contro la vitalità dei processi biologici del pensiero, portando la depressione attraverso una lesione alla vitalità delle tracce di memoria. Nella etiologia della patologia psichica non si dovrebbe trascurare troppo insistentemente la complessità del contesto dei pensieri scritti da figure di grande potere culturale. E’ dentro quel contesto, tra gli altri, che la malattia si genera. 

2 Comments

  1. si, erano giorni di tristezza là come qua. di nihilismo, anche. e ne viene fuori un’ulteriore conferma di quell’empatia che è decisamente ‘qualcosa’, che non può essere ‘nulla’. qua ne siamo sicuri

  2. … e mi sono levata questa voglia di non lasciarti solo .
    E tornare , ogni volta , è come arrivare per la prima volta ed ascoltare , di nuovo , voci conosciute non sapendo dove ci porteranno. Il suono delle voci che raccontano ciò che non sappiamo… ed ogni volta è la prima volta. ” Può succedere ” … il racconto di una possibilità. Questo .

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