due forme di testo

Posted By claudiobadii on Lug 14, 2013 | 0 comments


Ombra

“L’Ombra Della Parola”
©claudiobadii
per
OPERAPRIMA

Ci sono amori imbarazzanti che subisco, quasi. Sguardi che avvisano cedimenti rapidi, rese onorevoli più sono disonorevoli, me come una fortezza nella tormenta loro salvezza e rifugio. Amori imbarazzanti che partono da molto lontano, tanto lontano da non poter rintracciare i movimenti primi. E allora nessun orgoglio a causa dello smarrimento dello sguardo mio. Ricordo oggi il funambolo e il clown e la poesia abissale che frammenta la narrazione. Restare assieme a costruire corde di cotone per tenere le navi. Stirare cavi tra grattacieli senza ragionare gran che. Di peccato in peccato con il rimpianto del rapporto che si sapeva non avremmo fatto fisicamente per una serie di motivi la maggior parte inspiegabili. Abbiamo cucito confezionato i nostri paracadute da portare addosso. Sei tu il mio e la tua distanza da me è il corpetto protettivo. Adesso si sa delle cose ‘in noi’ si sa dell’immaginare e del fare senza produzione di oggetti. Si studia chiedendoci quando sarà stato che si è coniata la parola ‘lavoro’ e comunque ci pare che vista adesso non è una grande trovata, che la parola ‘prassi’ sembra migliore. Più umana. Camminare sulla fune non è lavoro è prassi: si fa perché se ne è capaci. Ciascuno secondo le proprie capacità si diceva. Il lavoro ‘si deve’ anche se non siamo bravi, anche se si sbaglia. Il prima del lavoro (si sogna durante la ricerca) è quando c’erano stanze grandi con tende a separare gli ambienti. Questo ‘prima’ sognato non è un ricordo. Noi non c’eravamo. Neanche quell’abitudine c’era mai stata può darsi. Abbiamo pensato adesso che può essere successo. Diciamo che l’inconscio non è vero che costruisca miti. Che non è quella la specificità. Che esso è pensiero umano insieme alla coscienza e che essi insieme riempiono la stanza seppure si è cercato di dire che siano differenti ma sono ciascuno rispetto all’altro dall’altra parte di un tappeto disteso nella stanza e sono ambedue pensiero  che la riempie, la stanza, poiché il tappeto non prende che una sottile striscia del volume globale. Non corriamo sul filo adesso e rischiamo in modo differente la definizione di noi, in modo differente da allora. Subiamo imbarazzanti amori amori svelti improvvisi chiarimenti e si accelera constatando che non vuol dire che abbiamo fretta. Dico che li subiamo poiché non c’è un altro modo per i regali che non chiedi e non aspetti se i regali sono brevi momenti. Te ne stai là con gli altri e nessuno vuole quasi nulla e non c’è l’intemperanza della richiesta. Si dice che è libertà senza l’uguaglianza e la fratellanza che si diceva dovessero sempre stare accanto. Che è libertà e teoria. Cioè teorizzazione e libertà di pensiero. L’uguaglianza non c’è e non ci serve, quella è (dovrebbe essere) garantita dalla legislazione dei diritti. La fratellanza è temporaneo stare assieme. Ma torniamo alla stanza divisa dai tappeti, alle stanze colme di pensiero che si dice inconscio e cosciente: là noi siamo i tappeti piegati sui fili divisori, noi parlando siamo i profili di tela annodata. Parlando di due tipi di pensiero noi lasciamo che si crei l’illusione che un paravento che impedisce la trasparenza della vista possa dividere in modo certo la massa molecolare dell’aria. Così siamo stati per molto tempo ma adesso riposiamo. Come in una traduzione le parole si frappongono tra due forme di testo ma nessuno sa quale era stata la lingua originale. Nei due versi ti amo senza sapere da che parte delle parole che ti scrivo riposa, come sul cuscino, il tuo bel volto. Lo spirito mi confonde fino a che un tuo bacio corre con il rumore forte delle pale di una macchina volante di avvistamento e salvezza nei tempi di pace. Le regalità di dio sono gentilezza e generosità.

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