Dürer e il rinoceronte

Posted By claudiobadii on Set 17, 2012 | 0 comments


 

 

Proprio ora che è massima la maturità: riuscire a pensare senza limiti di censure. Che accanto l’amore permette la libertà di eccezionali incongruenze intuitive. Proprio adesso l’odio si verifica. Per impedire le lezioni che fanno il nesso.

Non sapevo del grande Gong che emette le vibrazioni dei più gravi bassi, quelli da cui sarebbe nato il mondo. Cosmogonia acustica. Si può essere felici ed orgogliosi di tutto questo. E infelici: perché non ti emozionavi al pensiero. Non eravamo previsti nell’evoluzione: con noi nacque il tempo intimo. La libertà della contingenza. La gioia della imprevedibilità. In nulla è cambiato il primo anno del bambino e l’evoluzione non c’è quasi stata nel mondo inconscio. L’emozione insieme: le dita insieme: i racconti accanto: l’ascolto guancia a guancia: la simpatia profonda nella corrispondenza delle cartoline illustrate. Che altro? Potrei scriverti infinitamente ancora. Le fotografie che facevo da cento metri con il costoso teleobiettivo. Purché tu sia travolta da emozioni rinuncio alla gelosia. Vincere la scommessa: “Ti dicevo che esisteva. L’amore. E invece tu…”

Il primo anno di vita: la conclusione della gravidanza ormai fuori dall’utero: tra le tue braccia avvolgenti. Non par vero. Così è stato che siamo anche umani e umani definitivamente. Non soprattutto umani. Catastroficamente umani, quelli che si sono formati pensando il mondo a partire da loro stessi, dalla loro mentalità di farsi le idee senza alcuna consapevolezza. Investiti dal vento e dalle parole dei canti, capaci di distinguere l’uno dagli altri in un momento. Ogni volta.

Dürer incise un rinoceronte che non aveva mai visto. Assai più elegante e possente di quello a lui ignoto. Un rinoceronte leggero. Una nuvola d’ira congelata sul foglio di neve con tratti di inchiostro cieco. Un rinoceronte, il mondo creato dall’uomo, si staglia e incombe come un disegno di quieta capacitá non minacciata. Noi? Questo siamo, noi? In nessun luogo noi se non qui sul foglio di Dürer. Noi figli di un artista lontano che ci ha disegnati senza conoscere che ci saremmo riconosciuti secoli dopo su quel foglio. Da così lontano disegna senza incidere la morte.

Ora, grazie alla grazia dell’arte che di noi non si occupa mai, se non per alludere alla franchezza dell’amore per quanto non si è figurato alla coscienza ma è vivo, ti leggo questa cosa non mia. Soltanto, in fondo, non scritta da me, ma così tanto precisa alle emozioni che ti contraddistinguono come donna, che solo per un caso non ancora la avevo pensata. Così concludo: la faccia contro la neve. Come sempre non ci può essere una passione, senza che una differente e opposta non si alzi.


"Monologo per Cassandra"
                                                      Wisława Szymborska(*)

Sono io, Cassandra.
E questa è la mia città sotto le ceneri.
E questi i miei nastri e la verga di profeta.
E questa è la mia testa piena di dubbi.
E’ vero, sto trionfando.
I miei giusti presagi hanno acceso il cielo.
Solamente i profeti inascoltati
godono di simili viste.
Solo quelli partiti con il piede sbagliato,
e tutto potè compiersi tanto in fretta
come se mai fossero esistiti.

Ora rammento con chiarezza:
la gente al vedermi si fermava a metà.
Le risate morivano.
Le mani si scioglievano.
I bambini correvano dalle madri.
Non conoscevo neppure i loro effimeri nomi.
E quella canzoncina sulla foglia verde –
nessuno la finiva in mia presenza.

Li amavo.
Ma dall’alto.
Da sopra la vita.
Dal futuro. Dove è sempre vuoto
e nulla è più facile che vedere la morte.
Mi spiace che la mia voce fosse dura.
Guardatevi dall’alto delle stelle – gridavo-
guardatevi dall’alto delle stelle.
Sentivano e abbassavano gli occhi.

Vivevano nella vita.
Permeati da un grande vento.
Con sorti già decise.
Fin dalla nascita in corpi da commiato.
Ma c'era in loro un’umida speranza,
una fiammella nutrita dal proprio luccichio.
Loro sapevano cos’è davvero un istante,
oh, almeno uno, uno qualunque
prima di-

E’andata come dicevo io.
Solo che non ne viene nulla.
E questa è la mia veste bruciacchiata.
E questo è il mio ciarpame di profeta.
E questo è il mio visto stravolto.
un viso che non sapeva di poter essere bello.

 

Solo pochi attimi ancora: tutti sanno. C’è un ponte lungo: tra le profezie inascoltate di Cassandra in vesti bruciate a causa dell’incredulità popolare,  e i tratti perfetti di un sogno di rinoceronte creato perfetto solo attraverso le aspettative umane strepitose. Il ponte del vedere lontano di artisti e poetesse: vedere in arcate lunghe, dove stiamo anche noi che siamo fuori dalla grazia della natura ma dormiamo nel nostro pensiero reciproco, nel reciproco occuparci l’una dell’altro. Inavvertitamente, da tempo, siamo mossi dalle parole poetanti e dai tratti degli incisori. Siamo, leggendo e ammirando le opere dei geni, il futuro intrapreso ripetutamente. Siamo qui a rendere omaggio all’ombra del tempo inaugurato ‘allora’. Da questa parte del passo degli stivali magici. Da questa parte della storia. A dirci ti amo come se tirassimo sassi nel fiume. Briciole di pane sotto la pelle dura del pachiderma. Riflessi curvi negli occhi lungimiranti di Cassandra. Cercando di crederle. Di fidarci. Di non sbagliare più. A guardarci i vestiti bruciati. Ma senza sapere se è fuoco della passione, o….

 

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