Eschimesi Equatoriali: gli ‘stranieri’ nella vita della ricerca in psicoterapia

Posted By claudiobadii on Feb 19, 2014 | 0 comments


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“LA TERRA DA DOVE VIENI TU È IL MODO COME ARRIVASTI”
copyright: claudiobadii

Questo concerto a due voci. Questo dire: ed è stato allora che… Poi il racconto precipita nel sorriso che si fa strada nelle resistenze dell’incredulità. Una nave che procede sulla banchisa. I croceristi imbacuccati in bianco. Gli orsi marittimi a bordo. I ponti. I gruppi tribali. La nave una foresta galleggiante sul freddo della attuale scena politica. Si alternano scene una sopra l’altra. La mente un palcoscenico a mille piste e le quinte si confondono fanno il vento proprio loro le quinte uno spettacolo di teli verticali di onde stese impreviste ad asciugare che non asciugano mai, in apparenza. Questo sono gli amori: l’apparenza dell’eternità poiché evaporano così lentamente che farli durare è il bello ‘erotique’ dell’esistenza. Le prime attrici sono molte. Affollate a rubarsi la scena. Attrici sempre ( ne ho incontrate senza sapere altro di ciascuna se non che erano, ognuna per proprio conto…) disperse lungo i piani prospettici di certe loro preoccupazioni di essere inutilmente amate senza capire niente altro che la confusa sensazione del piacere di carezze e pasticcini al rum. Filosofe nei cenacoli sciolte chiacchierone sui divani che possono essere dovunque collocati dentro il progetto delle infinite abitazioni che gemmano da ciascuno dei disegni delle case di Escher. Ci si arrampica senza fine sulla graduale complicata serie di giudizi di merito, ma la scala, tanto ambita, purtroppo soltanto è un’idea irreale, è una promessa di scala, tradita, perché si può disegnare l’impossibile  e promettere l’irreale, realizzare una finzione che non tiene altro scopo se non di tenere nascosta la malattia che si vorrebbe combattere. Si cammina sui soffitti.

Ma, invece, tu, camminami sul cuore! Àbitami che io possa alla fine capire. I maschi sono in genere occidentali del nord. E non sanno gran che. Abituati come siamo a comandare. Non pensiamo niente di veramente nuovo da millenni. Dunque bisogna che voi ragazze ci scandalizziate almeno un poco ad ogni costo. Solo per poterci fermare il momento di un invito. Non sperare che un maschio cambi. Non cambia.

Mi hanno raccontato però il sogno della macchina che percorreva la calotta ghiacciata sciogliendo il ghiaccio nel procedere. Qualcosa di differente. Il gelo dell’Antartide implica la disabitudine. Ho pensato alla lotta della femmina con l’ottusità dei ragazzi degli uomini dei vecchi. Il maschio propone l’impossibilità che sa di incurabilità. La ragazza pone la potenza dell’insistenza. Sragionare. Vado a cercare nei dintorni con la nostalgia del presente che tengo appena discosto dalle ore di lavoro. Lungo la costa di questo presente nostalgico sono un avvistatore sul pennone principale del galeone, una piccola vedetta quasi suicida data l’altezza necessaria, ed assisto alla vita di certi amori che non sono direttamente miei amori ma sono gli amori di chi amo. Ho questi amori transitivi, dolcezze e trepidazioni che mi arrivano traversando la carne di quelli che più tengono a me. Appartengono ad altre culture. Per fortuna posso essergli sempre vicino grazie alle corvée quotidiane. Essi vivono ma non per accettazione. È differente il loro vivere. Differente all’origine, hanno la grazia originaria non il peccato. Hanno di lasciarsi, nascendo, la morte dietro subito. Definitivamente sono assolti. Non hanno il patrimonio della rassegnazione filosofica che conosco dentro la didattica occidentale. Negli occhi le mani strette in un patto ben fermo a osare addirittura le piadine, il coucous, le cucine all’odore di banane e riso dolce. Le sale, quasi povere, al sapore di calcina e di imbiancature. Vivono nella scenografia della foresta, ricreando nello spazio attorno a sé un collage di frammenti di sole. Lassù dove vivono, le risate silenziose e la pazienza impossibile e l’assenza di rabbia sono nuvole di rami e quando arriva la prepotenza del sole della ragionevolezza illuminata del gelo volteriano…. quella fredda luce si frantuma e si scalda precipitando dall’alto attraverso le foglie e le radici aeree taglienti e dure di ciascun albero che da mille anni aspetta la luce omicida per frantumarla e trasformarla. Cambiano il veleno nella sua fisionomia di farmaco per darselo addosso come una crema di bellezza. Così con quei pavimenti di calcina e risate loro, gli amori di chi amo, non hanno i piedi feriti di quelli che, come noi, camminano sui vetri. Hanno il sangue come un fiume. Non come i torrenti che ci attraversano rumorosamente il cuore rompendo sempre il poco di pazienza che avevamo costruito noi.

Anche questo mi serve per il mestiere della ricerca in psicoterapia. Nella cultura occidentale e orientale ci sono solo morte e fredde certezze. Io starò da adesso nei fiumi di sangue. Sarò uno regista splatter alla Quentin Tarantino. Per tenere accanto il calore. Scriveremo una strada calda di rosso e costruiamo con l’aspra dolcezza del riso e delle banane un reticolo ipercalorico sulla banchisa. Eschimesi equatoriali.

L’amore non si merita, non si deve possedere la presunzione dell’amore sempre e comunque. Bisogna provare a capire, semmai, dove e come i nuovi amori -non più occidentali e non più settentrionali- abbiano potuto trovare qualcosa che ora ci regalano mentre dicono che è qualcosa che tenevano per noi. Bisogna amarli laggiù lontano, milioni di anni fa. Immaginarli da soli, senza di noi. Ora che arrivano agli appuntamenti settimanali tutti loro, riuscire a vederli (immaginare) nello scenario del tempo, già bellissimi proprio come quando, capitati accanto a noi dopo quei milioni di anni, finalmente dicemmo loro ti amo la primissima volta. Bellissimi dunque da sempre, per quel che ne sappiamo, non per noi ma nonostante l’assenza dei nostri sguardi innamorati. A volte sembra possibile realizzare il pensiero di un transfert ‘ultimo’ …. come ‘guarigione’. Certezza della nascita: che esiste un seno.

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