formazione

Posted By claudiobadii on Mag 24, 2012 | 2 comments


L’esercizio fisico della scrittura è anche comprensione del pensiero. L’estensione elegante del braccio disteso per parare il colpo mortale e allontanare l’atrocità la noia l’orrore di questo tempo e non sentire sempre il suono della colonna dei piangenti. Al confine ci si ammassa e scelgo questo confine mio dove non c’è luogo se non la linea della scrittura della parola: che è un filo chirurgico. Il filo è la traccia della formazione e si ritrova eternamente, facciamo finta che abbia un senso quest’ultima parola. Alla quale parola “eternamente” ho pensato proprio ieri quando ho pensato cioè qualcosa che ha il genere o il carattere  di traiettoria senza fine di questa parola. L’ho pensato in modo irritato, come quando si spegne per sempre un faro sulla costa che fino a ieri aveva funzionato da che se ne ha memoria e poi il faro si spegne proprio mentre la nave si trovava di fronte a quei territori marini e si può dire che l’effetto sull’equipaggio -la cui sicurezza derivava dalla certezza di sapere dove cominciava la morte sugli scogli ed essa a sua volta dipendeva da quella luce- è che la vita finisce perché ora la terraferma scompare inghiottita nel baratro del punto di giallo opaco che spegnendosi si è assorbito lo sguardo come, ma all’opposto, degli inizi dell’amore a prima vista. Ieri ho pensato che c’era in ballo il suono della parola eternamente e per quanto detto, poiché ero irritato, l’ho pensato come una morte a prima vista. Uno pronunciava le stesse parole che in quello stesso momento uomini identici a lui dicevano con il medesimo sguardo sfinito tramortito sull’orizzonte e dunque anche così lontani sfiniti e morti come lui in quelle parole depositavano foglie secche, altro che petali di rosa come volevano far sembrare con il movimento ampio del braccio del seminatore, mentre dicevano (o forse neanche lo dicevano semplicemente cioè atrocemente lo suggerivano) “… mi sento ancora giovane” 

Era evidentemente falso e rideva stupidamente e non era credibile ed era la causa della irritazione con cui vedevo la parola eternamente -che ero certo fosse alla base di quella affermazione oziosa- come lo spegnersi di un faro nella notte piuttosto che, come poteva anche essere, come l’accendersi di un faro nella notte per evitare un naufragio. Sono certo che, oltre ad altre cose come questa, è anche per via di questi tipi che non fanno altro che pronunciare queste frasi terribili che è il tempo che è. Cioè il tempo di atrocità noia orrore e dunque tutti noi siamo una colonna di ammalati. Io subito nel sentirlo mi sono figurato la mia infanzia cioè mi sono rifugiato al cospetto della parete che si copre di intonaco -cioè di panna, per come la vedo io: che vuol dire che è come la vedevo io cinquantacinque anni fa mentre stavo insieme al muratore, che era il mio amato precettore, che intonacava le superfici degli appartamenti di una casa popolare in costruzione negli anni trai miei otto e i miei nove anni di età. Io ieri mi salvavo la vita con l’antipatia improvvisa di sentire nelle parole di quell’uomo spengersi un faro e avvenire un naufragio: e quel salvataggio accadeva ricorrendo alla formazione cominciata molto tempo fa per esempio nei giorni di apprendimento della muratura e intonacatura degli apparrtamenti nelle case popolari avendo finito di fare i compiti in transitoria assenza degli amici, quando stavo con un muratore non potendomi permettere niente di meno per la mia educazione di persona.

Ieri io realizzavo la parola eternamente che è una comprensione anzi una intuizione cioè la conoscenza esatta dell’immagine di tutto quello che quell’uomo non diceva perché si vergognava di quanto stava effettivamente pensando da ragazzino disperato e viziato violentemente da gradi diversi di disinteresse a pagamento, quanto pensava con l’atteggiamento disperato e poi arrogante cominciato già cinquanta anni prima: ” il tempo non dovrà più passare, voglio restare così per sempre anche solo così un poco invecchiato ma eternamente così, eternamente mai più niente, eternamente più voci di grazia e dolcezza…”   Minacciava dio che non arrischiasse nessun edema o nessuna stasi o nessuna ulteriore insufficienza ma in verità pregava che non tornasse mai più un ulteriore pensiero di una età ancora, di una età che continua e accompagna, che non tornasse più l’idea di una mano che ti fa ritrovare la dipendenza felice la dedizione lo sviluppo. Nessuna bellezza più nel vassoio pesante sulla mano del maggiordomo attorno al tavolo dei banchetti. Non si sopporta il tempo senza la formazione a proposito dell’inizio. La formazione lo so sono le cose ascoltate nelle aule. Ma cose accadute anche prima. Anche prima c’è qualcosa che abbiamo ascoltato e visto e fa parte della formazione. Prima della fase cosciente ci sono molte cose che fanno parte di una realtà umana addirittura differente anche dalla semplice formazione. Si tratta di avvenimenti che direttamente sono pensiero anche se non si saprebbe come dire quello di cui si tratta. Sta nel modo come, dopo che quel periodo si arresta, riusciamo ad avere l’intuizione di cui accennavo. Del modo come possiamo avere il legame tra la percezione delle cose e il quieto muoversi dell’onda di conoscenza, conseguenza implicita e traccia di scrittura senza difese di quanto abbiamo intuito.

Il sogno può essere considerato talvolta un aprirsi, una muta di cani docili all’inseguimento delle tracce di noi come siamo diventati: attraverso fiori sparsi nel bosco e stelle di granito bianco. Ci si sveglia e subito dopo la rasatura al rosmarino o durante la stessa rasatura e l’intervento di altre essenze di mare e di fiume e di cime montagnose abbiamo qui con noi sulle dita profumate la stanza del muratore che possiede i gesti rapidi del polso. Poi abbiamo il bianco sporco della parete. Le cose che prendono forma. Abbiamo anche un uomo di mezza età atterrito che recita le maledizioni contro il tempo che l’ha preso e lo fa volteggiare e lo stordisce. La formazione sono i fiori del bosco e le stelle di granito bianco e essa riesce a chiarirci che abbiamo quest’uomo che non ha la formazione, ha dimenticato e forse annullato la formazione. Dunque pensa che non ha più niente e piange con rabbia mentre inneggia alla vita desiderabile di una eterna giovinezza. Egli protesta contro ciò che non ha, che non ha più e che non avrà mai più. Per questo mentre parla di domani si sente che invece vuole tornare a casa, vuole tornare a salire le scale della sua attuale bella casa e incontrare la vicina dell’appartamento di fronte, una ragazza come ce ne sono tantissime, né più e né meno: giovane svelta e neppure necessariamente cha lasci trapelare una particolare intelligenza. Vuole tornare negli occhi della vicina di casa che scende le scale ed ha un diapason nuovissimo da qualche parte del suo corpo meraviglioso. E poi morire. E’ il caso sociale e politico che abbiamo: quello di un uomo che ha perduto il proprio inizio e dunque il tempo che d’altra parte non vuole perché sarebbe anche la vecchiaia e la morte cioè il movimento della macchina umana di cui quell’uomo, quel caso sociale e politico che abbiamo, non coglie l’animato fulgore.

Non siamo uguali e anche altro sappiamo dire di avere, di aver saputo enumerare, di conoscere e sottoporre alla critica sotto forma di scrittura, di linea di confine. L’esercizio fisico della scrittura è anche comprensione del pensiero. Una strada estesa che frigge di qua e di là. Una donna là ferma che gira la testa nelle due direzioni della strada, si protende verso le direzioni che sono la strada. L’infilata del braccio disteso per ferire e allontanare perché ora è tempo di atrocità noia orrore e siamo una colonna di ammalati. Questo tempo è anche così, soprattutto così è questo tempo. Ma non siamo uguali. La donna sulla strada, già, essa tanto lentamente si protende, che si colgono le forze in movimento che fanno stridere i meccanismi della potenza dell’intenzione, del moto dei pensieri applicati alle leve e ai tiranti degli arti e alla sartie dell’albero maestro della donna che è una vera e propria nave un miracolo di ingegneria di galleggiamento e rapidità esistenziale. Si tendono le vele minori, le giunture degli alberi, i verricelli sul ponte, i punti di flessione dei timoni. La neurofisiolgia del movimento volontario della corsa del desiderio e del rifiuto, e della fuga per la salvezza dalla violenza fa sì che pensiamo ai sommergibili, al treno, al cinema dei Lumiere, alle masse scure all’arrembaggio, al pubblico inerme, all’amore inarrestabile per il cinema la lettura e il caffè all’aperto.

Al confine ci si ammassa e scelgo questo confine mio dove non c’è luogo se non la linea della scrittura della parola che è un filo chirurgico. Il filo è la traccia della formazione e si ritrova eternamente. Il nero delle locomotive vale un toro esperto ed esso vale, prima del grande toro della corrida, un torello giovane e irruento e vada per i tori di Pamplona, per le starde delle vacanze tra storia e crepes alla cioccolata! Vada per Avignone e la gioventù europea che se ne frega dei padri, ma solo fino verso i venti  o venticinque anni: poi nella grande maggioranza sotto le tende dei campeggi la gioventù europea che cercava una emancipazione dal padre recede e muore. Per cui si viaggia nei campeggi e tra molti non è data la certezza che ci siano coloro che sono già pronti. Nei campeggi si chiedono indietro i primi anni, il muratore, la sapienza dei polsi che gettano sul muro l’intonaco, le case popolari alla panna. Abbiamo per caso l’inizio oramai finalmente?  Certamente si deve dire che non siamo tutti uguali. Abbiamo anche certi nostri anni di adolescenza matura. Leghiamo alla formazione tutta la nostra vita. Abbiamo il faro che si accende mentre altri fari si spengono provocando naufragi. Non sospendiamo più il mondo alla fortuna. E va bene. Ma…quando è che si sa che la corsa verso la morte è la resurrezione della nostra infanzia? Quando si sa che la nostra infanzia è quella che si è salvata prima che divenisse una infanzia morbosa? Quando è che ho capito, trovato il modo di dire, che la mia vita è stata e sarà la morte progressiva della mia ideale e irreale adolescenza?

L’adolescenza viene fatta regolarmente e sistematicamente ammalare. Essa la si ritrova dunque che si era perfettamente ammalata a causa delle aspettative di uno sviluppo lineare. Non siano tutti uguali, differenti sono gli impegni che ci siamo presi, differenti sono i partner che abbiamo accanto, differenti i libri che scegliamo di leggere, differenti sono le parole che decidiamo di scrivere. Per quello che consente la realtà fisica della materia del pensiero noi siamo quello che siamo e anche in parte siamo una novità assoluta se siamo appena un poco cambiati. Beh, riprendendo il discorso dell’adolescenza diciamo che per cominciare adesso essa potrebbe essersi liberata e alcuni possono essere d’accordo se si dice che viviamo un caso di una realtà sociale e politica e culturale in cui la guerra e la diseguaglianza si tengono grazie a uomini e donne senza formazione. Alcuni che saranno certamente d’accordo non possono essere pensati uguali ad altri che adesso, per una perdita che per loro è ancora definitiva ed eterna, accetteranno di scambiare e barattare anche quanto c’è di più bello con altro di minor pregio e non ci diranno di cosa può essere o debba essere composto questo altro con cui si vuole operare l’inversione o la negazione del valore e l’annullamento della realtà, la malattia della percezione fino alla malattia del pensiero e dell’affettività.

La ricerca è trovare la formazione. Intuizione è la parola ‘nascita’.

2 Comments

  1. Una formazione però adeguata e calibrata per il singolo, non statalizzata e massificante. Sarebbe sterile come il concetto di igiene mentale, inefficace come un placebo.Forse deve tornare sotto forma di parola ed il suono, ovattare la violenza delle immagini. La scrittura viene acoltata e si trasforma in Podcast. Un gruppo di individui ritrovano giusta forma attraverso l’azione.

  2. http://www.youtube.com/embed/gP73FjVzvEc
    …e’ arrivato questo alla memoria, stamani quando ho letto il tuo post. Il volto di lei, sulle ultime note. Quasi il passato stesse su un movimento giocoso di bacino ed il futuro sull’arco di quella risata, segnata dal tempo.

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