ieri oggi sempre lottare sapientemente

Posted By claudiobadii on Nov 18, 2012 | 2 comments


“Voleremo al nord.” Avevo sognato la forza in forma di agili membra di ali. E’ perché sto leggendo la Scienza Elegante.

La severità dei matematici è la contrazione flessuosa, e la formula che poi scatta nei pensieri è la scoperta esplosiva nella quale si riversa il moto.

Ballavi alta, una cima d’albero nella festa pagana d’inverno. Voleremo al nord rapidamente come carovane di angeli per la guerra aerea.

Le lacrime sono volantini fluttuanti: ci sono scritte poche righe minacciose che ordinano la resa agli assediati. Sono le equazioni di Maxwell che prescrivono le operazioni di trasferimento degli eserciti dal magnetismo alla gravità. Una legge di uguaglianza, la formula della democrazia unificante.

“Voleremo al nord”: era questa la forza che aveva agito sul pensiero. Voleremo: e l’idea dell’altezza raggiunta, che rende infinitamente piccolo l’amore rimasto allo scalo aereo, fa pensare possibile che l’eleganza delle formule possa esimerci dal dolore in eccesso. Disegneremo orbite ellittiche, per patire il minimo indispensabile. Ma bisognerà innamorarsi dell’esattezza. Dell’idea del punto. Vita fisica della mente riferita ad uno spazio …inesteso!

Osserviamo sfilare e agitarsi le formìche operose col distacco scientifico di aristocratici senzatetto noi quassù subito sotto il cielo. È l’altezza che ci fa ‘grandi’ e le ali incrementano la nostra figura poiché con l’ascensione sulle vie di decollo minimizzano le stazioni di partenza. Aerei e navi e fumaioli e motori e ponti affollati di seconda terza e prima classe sono macchine per la riduzione dei profili frastagliati dei porti a profili lineari di coste lontane; e dell’orizzonte metropolitano verticale alla convessità d’ un seno: l’area sferica del mondo sottostante.

Con le lacrime abbiamo curato la freddezza della morte connessa all’addio. E l’aria è apparsa con evidenza fatta di molecole.

Ho necessità di te per pensare.

Il nostro non è un rapporto privato.

E’ una slegata intimità. Perle di elio e idrogeno che invadono le strade per la liquefazione dei semafori in pasta di cemento rosso.

Che ci vuole per opporsi al senso comune che dura da duemila anni? Che volo, che ali, che tùrbine atlantico, che vento boreale, che vastità, che anatomia, che proporzione, che chiarezza, che acuminata lancia, che ferratura, che petrolio, che zolfo d’inferno, che corda, che assicurazione, che legame, che forma di grandi finestre, che perdita conseguente, e infine che proporzionale sensazione di distruzione ci vogliono non so ancora.

Ho necessità di te per eseguire la corsa motociclistica delle misurazioni.

Voglio essere Nuvolari che guidava a fari spenti per scomparire dal rettangolo dello specchio retrovisore del suo avversario, e si infilava con precisione millimetrica nel tunnel buio delle curve. Guidato dalla radiazione di fondo sognava soltanto la strada: cinquecento metri davanti a lui l’altro angelo era Attilla che ‘spariva’ l’erba nel buio denso che brucia.

Nuvolari percorreva una differenza, una strada risultante da una sottrazione. Il buio è finta cecità: non c’è realtà fisica col segno meno. È il coraggio dell’immaginazione che ci espone all’eleganza di curve sbandate. Ad una vita arrampicata sulle pareti all’inseguimento di una barbarie ferina e affascinante che sbandiera la propria ruggente bellezza. I fari conquistano le capitali e le leggi dell’evidenza trascinano per millenni il consenso popolare.

Il nostro non è un rapporto privato. È una relazione di cemento rosso di perle che rimbalzano tra cemento vetro e asfalto è una socialità slegata, una collana liscia al tatto una pagina di commedia una scia di idrogeno elio. Siamo nella parte alta a destra del torace: gas nobili di questo volo invernale. Ci inseguiamo perché scambiamo solo parole. Gramsci non ebbe mai l’amore suo al suo confino. Lettere mio amore. Lettere, aereo volo sarò per te e magra, magra come una notte di sesso inconsueto.

Non può finire. Il tempo bisogna scomodarlo, noi, solo perché TU non riesci a capire l’invasione di parole. È il rombo dei reattori, l’ascesa dell’universo contro la convessità dell’universo maggiore, che a sua volta sale, e si estende verso il cielo di un altro mondo ancora.

Un suono e una luce, una volta emessi, non si fermano PIÙ. È il tempo quel PIÙ, ma si capisce che non è soltanto tempo è  spazio e tempo insieme: perché PIÙ è l’idea che potrebbe NON esserci MAI un luogo FINITO e CIRCOSCRITTO in cui noi, mio amore, possiamo scrivere con la calce i nostri nomi. Non c’è il faro di una tomba. Giulietta e Romeo sono rimasti a terra, con gli altri. Sulla banchina. Al cancello d’imbarco.

E adesso NOI. Che ci piaccia o meno, che ci piaccia o meno siamo costretti a durare poiché io parlo di te, e la luce dello schermo e il suono delle parole sono un suono e una luce che una volta emessi, non si fermano PIÙ. E solo apparentemente noi restiamo uguali a prima. La fisica è infedeltà. L’origine materiale del pensiero è ateismo e la sua natura fisica è libertà.

La necessità è incessante. Non l’amore. L’amore incessante è il vestito che ti tolgo.

Solo alla fine Nuvolari accelerò il motore, accese l’altoparlante della cronaca dell’apocalisse e superando Varzi con velocità futuristica solo in quell’istante spalancò i fari della sua automobile e un secondo sole era sorto e il mondo era diventato un altro mondo.

Fu come quando hai detto “…. ti amo anch’io !”.

2 Comments

  1. …meno male che c’è Uno che canta e che la tristezza ce la fa passare, altrimenti la nostra vita sarebbae come una barchettta in mezzo al mare…
    attraverso i tuoi occhi vedo un universo infinito e la tristezza mi pervade, perchè lo sento infinitamente piccolo. Solo la musicalità della tua voce riesce a portarla via.

  2. la cosa bellissima è quella donna che sembra in tuffo, e che conosco bene, la (ri)conosco bene. E ancora più bellissima cosa è che Francesco ha ripreso proprio da qualche tempo ha cantarmi mentre giro in queste stanze. Te lo dico ora che ho appena aperto la pagina senza aver letto. Giusto la frase che sta in fondo, che si affaccia mentre scrivo in questa finestrella.

    Come quando hai detto “…. ti amo anch’io !”.

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