il luogo e la misura

Posted By claudiobadii on Apr 7, 2012 | 2 comments


Ci si sta bene. Come fosse questo il luogo e la misura. Come la misura fosse il tempo che non c’è più. Ma cosa porterà nel pensiero la sparizione del tempo. Non è che spariranno i segni di immaginazione legati alla generazione dei suoni della parola. Nella mente i suoni non hanno vibrazione fisica. Dunque avremo segni liberi cui non troviamo più una legittimità, seppure noi sapremmo comunque continuare a ripetere la parola con i suoni appropriati. Così nacque la tristezza di allora, alla caduta del sogno di restare sempre innamorati. Ti dissi, cioè avrei voluto dirti: ” Légami la lingua, che non debba più pronunciare il tuo nome, il tuo nome che è diventato un nome di ieri. O il nome di adesso che però non ci sei più. Non è grave che tu non ci sia più, è grave che io sapevo che in te c’era la felicità di pensarmi, e adesso so che pensarmi ti spiace, che preferiresti non pensarmi, che saresti felice di non pensarmi più…”

Ora so che per guarire dovetti cambiare la fisica del mio mondo. E’ questo la natura causale del dolore. Non fu (e capii che non è mai) portare via dal luogo che eri stata tu l’immagine di me. E’ che dovette (deve, sempre) avvenire una trasformazione della materia. Un differente modo mentale di configurare il mondo interiore, la realtà esterna e la relazione tra mondo interiore e realtà esterna. Attraverso un fenomeno che potremmo definire il ripristino di una differente funzione del pensiero.  La funzione nuova e globale del pensiero non dovrà lasciare niente di intentato. Nessuna parte della rappresentazione del mondo -sia percettiva che immaginifica- dovrà persistere in nessun punto come era prima. Finché tutto quel mondo di funzionamenti e argomentazioni biologiche non si è ristrutturato, resta l’oscurantismo, la sofferenza fisica, la stanchezza agli arti, la difficoltà ad alzarsi la mattina, la svogliatezza e l’irriducibile rabbiosa incredulità di un ragazzino ferito in mezzo alla strada polverosa, sotto le macerie della sua bicicletta un tempo fiammante.

Paradossalmente penso che sia ciò che accade al mondo delle istituzioni culturali, nelle accademie del gusto e del sapere, nei corridoi della storia, nei centri commerciali della distribuzione dei premi, nelle stanzette private delle relazioni pericolosissime di attribuzioni delle percentuali degli onori e dei poteri. Quando si spalanca la voragine di nuove irrimediabili scoperte. Mi sa che si dovrebbe studiare per non cadere nello stato di rabbia impotente e di invidia conseguente all’innovazione. Studiare e lottare per prepararci alle trasformazioni del pensiero, come alle vicissitudini dell’amore. Alle vicende verticali dei disaccordi improvvisi del sesso dei corpi negli abbracci. Alle evanescenze improvvise del genio capriccioso che vuole -e poi non vuole più- più frequentemente che non si pensi. Ascoltavo con la ragazzina sulle spalle, appoggiata alla schiena, che -come io, pur così sofferente, fossi felice- non sentiva quel dolore perché esso si era presto stabilito come dolore fisico. E non era diventato malattia del pensiero.

Ieri ho portato tutto -nelle valigie in fondo alle scale- quello che non serviva più. Le cause delle risate che erano diventate i ferri della tortura. I libri delle confessioni estorte ai partigiani perché pensavo che era bello fingersi uno di loro quando capitò quella caduta di ottimismo, quella enorme difficoltà, la tragedia della perdita dell’indifferenza e dell’onnipotenza. Ma quanto raccontato al confine degli amori non nobilita mai nessuno. Allora pensai che volevo diventare bravo ad essere felice all’improvviso. Ma la ricerca non è arrivata a questo punto. Non ci arriva la ricerca. Non è umano. E basta. Il tempo è restato come il concetto o l’immagine di quanto è indispensabile a fare la trasformazione che pare una guarigione perché il dolore cessa, anche quello fisico.

Finalmente ieri, insomma la notte appena trascorsa, la sera del giovedì, si disse che il sogno dell’aereoplano immobile nell’aria che non precipita è il massimo di vitalità. Che l’orizzonte degli eventi sull’orlo del buco nero, dove il tempo si ferma e la luce è sequestrata, e niente più si sa di quanto accade al di là di quell’evento di nero -tanto compresso in quasi più altro che sè stesso, da non offrire niente di più che noi a noi- è, nel pensiero del sogno, un modo di affermare l’intuizione della vitalità.

Poiché si cerca sempre un modo differente ed ulteriore per definire, con il pensiero verbale, il fenomeno della trasformazione dello stato fisico della materia biologica dell’attività cerebrale del feto, durante il parto, in uno stato fisico differente, che consente alla materia biologica di realizzare quella nuova funzione (*). Solo in questo caso, probabilmente solo nella nostra specie, l’attivazione della sostanza cerebrale per via della luce attraverso la retina, alla conclusione del parto, fa la nascita del pensiero come capacità di immaginare. L’amore e la passione che ci concediamo, come specie tragica e piena di speranza, è un regalo dell’origine materiale del pensiero. Della nostra origine materiale. Come se sapessimo che se si nasce non sempre si verrà uccisi. (**)

(*)la vitalità, appunto.

(**)appartiene a una delle molte affermazioni che vado ricordando a memoria di quanto studiato per decenni della TEORIA DELLA NASCITA. Non starò ogni volta a riferirne la collocazione esatta. Per un difetto di memoria ma anche per una costrizione di affetto. Chi vuole può andare a cercare, in proprio, misurando così il proprio interesse e la propria curiosità.

2 Comments

  1. “…se nel mare vedrete un improvviso luccichio, ricordatevi che è la Sirena che fu salvata da una barca di stelle.”
    dalla fiaba di Laredana Limone LA BARCA DI STELLE

  2. I tags. Benessere, luoghi e misure. Cambiare la fisica di un mondo. C’è da immaginarsi quell’aereo sospeso in aria, le valigie in fondo alle scale… che meraviglia

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