il sonno, il moto, la natura della nascita dell’uomo

Posted By claudiobadii on Ott 23, 2016 | 0 comments


Il filo lucente lungo la facciata di casa il riflesso concavo di un soffio contro i panni stesi e la vibrazione di un’onda sull’acqua si susseguono.

La bellezza casuale e sottile del disordine molecolare di aria e luce è in azione nel vento e nel sole.

In assenza di esseri ‘viventi’ la mente dell’uomo, ancora incontrastata, non ha riparo e si illude di visioni e suoni senza limite.

L’albero dell’io è ancora un filo verde in fiore e tutto può prender per vero. I riflessi imponderabili dell’universo (minime attività energetiche) ne scuotono lo stelo.

È probabilmente questo l’inizio. Tremare per la bellezza delle cose senza corpo.

La rete di natura fisica, che compone la realtà, tiene e tende lo stelo dell’Io: legame e solitudine, appartenenza e riflessione, in proporzioni differenti.

Poiché nascita è immediata presupposizione dell’altro e predisposizione all’altro, sarà quel senso innato della esistenza altrui a rendere l’etica necessaria ed implicita. Congenita.

Dunque: natura della nascita e legge morale. Né buonacattiva l’umanità è una fisiologia che ha la dote non innocente della verità.

Cercando sappiamo intanto definirci in termini clinici e in ritratti d’arte, in poemi e anamnesi. Perché i nostri risultati in proposito a noi stessi non appaiono conclusivi.

Il cielo stellato sopra noi è un rimando estetico e cosmologico: siamo sette miliardi di apici in fiore su steli elastici che campeggiano su strati multipli di forze differenti.

Non siamo mai uguali. Siamo simili solo all’inizio quando, scosso dai venti cosmici del silenzio, il non cosciente del primo anno di vita senza parola è di certo il più strano.

Modalità insolite di presenza percorrono l’anno uno, che va, senza linguaggio, dalla nascita alla coscienza.

Del primo anno di vita, alterato e offeso, restano pietruzze di pietà. L’io cosciente e adulto si ri-compone ogni momento: la consapevolezza è la relazione incosciente tra oggi e quei grani di pietà rimasti tra le nostre mani.

Ma nonostante questa precaria definizione, l’io in cuor nostro rimane il soggetto della scienza e della scrittura e si sente essere un frammento tenace nella computabile dismisura del mondo.

L’origine della storia fu quando lo separammo da noi definendolo ‘non umano’ e ‘divino’: che è lo stesso.

Il presente è cronaca.

“Il filo lucente lungo la facciata di casa il riflesso concavo di un soffio contro i panni stesi e la vibrazione di un’onda sull’acqua si susseguono”.

Ogni inizio è il ritorno all’inconsistenza pressante di colori e rumori quando luce e onde ci cullano come fossero le parole e la figura di lei.

Ogni inizio ha qualcosa della insolita presenza di noi di allora. L’anno prima di coscienza e linguaggio, quando si andava, senza volere, verso la coscienza e il linguaggio.

Senza volere è la forza leggera dei legami ‘impossibili’, il turbamento del cammino di penitenza, l’arco di vittorie inattese.

Senza volere occasionali evenienze ci costringono, invece che al sonno e alla fusione con la natura, al moto controintutivo della ricerca.

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