in ginocchio alla casa di pietra

Posted By claudiobadii on Feb 26, 2014 | 3 comments


“In ginocchio alla casa di pietra con le gambe magre imbiancate di marmo e tu polvere dolce e nutriente. Oh vedi!! Pensieri. Un caffè adesso bevo. Adesso che la vita richiede mani ferme nelle quali l’aratura delle linee possa germogliare”.

Le mani e le ginocchia esclusivamente saltano all’attenzione della coscienza. Piove da dentro, dalle profondità nucleari, il pensiero. La coscienza è anch’essa endogena. L’attività cosciente è pensiero frammentario in blocchi lavici nero petrolio. Il pensiero scava sempre e scava soltanto. Non è mai esclusivamente corticale. Non ‘descrive’ mai, neanche quando sembra che descriva. Se capita che si resti con poco o quasi niente intorno, in piazzali e cortili circondati di poco o niente, quasi soli o del tutto soli, si vede bene la natura umana nella attività della biologia cerebrale che è una talpa che annusa e trova e fa la ricerca e rende sufficiente addirittura la miseria. Finché, dopo la crisi, grazie alla cura e al lavoro, si torna a pensare.

D’improvviso rimbalzano le pietre e sono le nostre spalle e il palmo delle nostre mani. L’aratura fa le linee: la vita, l’amore, la salute. Ho fatto il medico, posso intuire, almeno in generale, come avvenga che l’anestesista rianimatore riesce ad assicurare la sopravvivenza fornendo artificialmente respirazione, ossigenazione, idratazione, volemìa, filtrazione, nutrizione, omeostasi termica. L’ammalato, perduto nel ritmo bianco delle macchine, eccolo là! pallido da far paura. Le mani e le lacrime di infermieri e parenti scivolano quasi impotenti. ‘Nessuno’ accoglie la dolcezza di quelle carezze. Lui/lei si sono ritirati da qualche parte, e non è ‘dramma’ che essi siano senza coscienza. Ad essi manca altro e di più. Hanno perduto la funzione che consente il risveglio. Non diverrà sogno, di conseguenza, nessuno di quei giorni nel bianco e nel profumo di medicinali. Lei/lui sono privati del tempo neuro/chimico e bio/elettrico che nel tornare alla veglia diventa sempre sogno poi coscienza di sé. Quel ‘dormire’ attaccati a fili trasparenti d’aria, ai capillari plastificati, alle sonde per l’alimentazione…. non potrà dunque forse mai essere trasformato in nessuna ‘figura’. Lei/lui sono, a loro modo, un modo disdicevole e blasfemo, dio. Sottratti.

Le parole ‘in ginocchio alla casa di pietra’ sono fantasia/ricordo. La casa di pietra fu un uomo transitoriamente perduto -prima che tornasse contuso e ridente- dopo un trauma a causa di lesioni plurime. Forse una distrazione suicida e io che lo guardo che non si era potuto evitarlo. Ero piccolo. Lui adulto. Io dipendevo da lui, non viceversa. Nella mente dei ragazzini può crearsi confusione. Poi diventano bravi. Che nessuno sospetti il dolore. Dopo molti invidiano la conseguente facilità del linguaggio di quei ragazzini, e il loro riuscire a non tenere in alcun conto le aspettative altrui. Molti circondano di invidia infastidita l’inutilità di una ricerca sul pensiero a partire dall’ipotesi scientifica che esso abbia una origine esclusivamente materiale che poi attraversa vicissitudini umane.

Io so che dovevo soltanto affondare le mani nelle capigliature della letteratura e della scienza. Rafforzare la mano che sapessi poi tirar via il dolore malato. La casa di pietra è un uomo giovane bruno che respirava sotto le macerie delle lenzuola di ospedale. Io dovevo diventare poeta, meglio di niente. Ma non sufficiente. Devo essere rimasto pietrificato nell’atto psichico di entrare nella piramide con lui, per non restare solo. Ora, nel frattempo che trovo una paternità a certe formazioni lessicali, qualcuno dice “torno a pensare…” Posso tornare a pormi le domande del medico. Noi assistiamo respirazione, circolazione, alimentazione, idratazione, in chi è diventato altro da prima, per un trauma a causa di lesioni multiple. Noi medici creiamo le condizioni di supplenza per il tempo necessario, per periodi variabili, durante i quali l’esistenza di persone, che hanno subito gravi lesioni, non è proprio ‘vita’…. perché è biologia senza niente che permetta di realizzare -nella fattispecie di figure dei sogni- la coscienza della veglia. I corpi feriti restano immobili ma non è senza coscienza (come nel sonno).(*)

È buffo, ora so che la ‘casa di pietra’ è il corpo immobile disadorno e bianco del ferito grave. Al cospetto del trauma, non della malattia, sentii dire, per la prima volta, la parola che mi ha colpito per sempre: che mio padre era SENZA CONOSCENZA. Di coscienza nessuno parlò, sono certo. E comunque non era importante l’assenza di coscienza, per me che lo avevo visto tante volte dormire. Di fatto, ferito era -come sempre- bellissimo. Tanto non è nella coscienza la funzione che ci restituisce ….. la coscienza. Inginocchiato alla casa di pietra fu indispensabile, per non restare passivo come una vittima, sviluppare una comprensione della gravità di poter restare SENZA CONOSCENZA, come  loro avevano sapientemente detto diagnosticando la condizione clinica del ferito. Senza conoscenza restava bellissimo come nel sonno ma si trattava, potei capirlo benissimo anche io, di qualcosa di peggio. Qualcosa senza perché che era stata spinta con l’acceleratore oltre un certo limite. Era una alchimia fatale di proporzioni ignote di acciaio della macchina fracassata di sangue e di cotone di gran classe della sua giacca a quadrettini eleganti  marrone e beige. Per tutte quelle cose insieme egli non era uno che dorme e non ha la coscienza. Stava per morire  ..non sognava e per il momento non poteva svegliarsi.

Non è ininfluente che io possa aver pensato che mi stava tradendo. Non sapevo (non volevo sapere) che ci fosse una possibilità per i padri di non sognare. Non ne volevo sapere, perché i padri che non sognano sono i padri che non sognano i figli. Così fu fondato il mio estremismo: in quella sbrigativa trattativa d’amore e passione che troppo piccolo, e cioè quasi subito, intrattenni con gli ignoti amministratori delle regole della vita. Forse un po’ troppo presto mi fu imposta, dalle cose del mondo, quell’ipotesi malevola che divenne un sospetto. E c’è voluto un sacco di tempo per trasformare, come si è imparato a dire distinguendo le cose durante i ventinove anni di ricerca in psicoterapia, la coscienza in conoscenza. Senza coscienza è il sonno e il sogno. Senza conoscenza è una cosa diversissima, è esistenza che tiene lontana la vita. Se il ‘senza conoscenza’ avesse il movimento del corpo -che resta immobilizzato nel sarcofago delle lenzuola- sarebbe simile alla pazzia.

E così, dopo un tempo infinito, le parole della ricerca riportano, nel comportamento verbale, nel movimento delle labbra, nel rapido alternarsi delle dita sulla tastiera, il ricordo delle contrazioni toraciche di un ferito che respirava -assistito da demoni benefici col camice bianco-. La scrittura riproduce sulle righe dei fogli le onde del suo diaframma collegato ad un pallone da rugby abbastanza sgonfio e rammollito.

Vorrei riuscire a dire che i mostri non sono nell’inconscio, che la pazzia è perdita di conoscenza. C’è una bellezza che, a causa di un trauma invisibile derivato da lesioni multiple, sembra non sappiamo più risvegliare. È l’umanità residua di persone che hanno conservati intatti comportamento, coscienza, volontà e discernimento, che hanno la bellezza degli ‘automi’ che dormono senza sognare più perché forse portano la coscienza nel sonno.

nota (*): è senza conoscenza come nella pazzia….. ma non è pazzia perché, come nel sonno, c’è l’abolizione del movimento volontario. Ma il sonno non è pazzia perché nel sonno c’è possibilità di conoscenza inconscia. Questi restano i termini scientifici. Le linee della ricerca.

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  1. LETTERA DALL’OSPEDALE

    Torno ora da una degenza all’ospedale. Niente di grave, sei giorni sei, a cercare di capire perchè il mio corpo era affetto da febbre e difficoltà respiratorie che si protraevano, intermittenti da quasi due mesi. E’ questa è la Clinica. Ora che sono a casa, con la consapevolezza che il mio sistema immunitario è riuscito autonomamente a debellare l’infezione, penso a quanto la mente possa aver contribuito (nel mio caso non grave) a imporre al soma di ripristinare le funzioni vitali di base. Si, è chiaro…esami su esami, Scienza, Tecnologia, Chimica, Formazione dei Medici e degli Infermieri. Ma anche Struttura, Organizzazione, Assistenza Formale, Burocrazia. Nel ricordare, comunque un trattamento degno ed accettabile, due parole per descrivere attimi di Umanità. E’ chiaro che la vicinanza dei più intimi, ti porta quella dose quotidiana di gioia e di affetto. E’ bello essere gentili ed educati con tutta quella gente che ruota intorno alla Struttura, per lavorare. Tutti, con i più umili e con i più capaci. Ma vedere lo sguardo di un Uomo come te che per un attimo incrocia il tuo, dall’angolo di una porta semichiusa per privacy e pudore, dietro ad un vetro che lo isola necessariamente dagli altri a causa del suo male, mi porta non solo a debellare l’infezione, ma mi spinge a pensare alla mia, alla sua, alla nostra auspicabile guarigione.

  2. Io so soltanto che dal corpo immobile e intubato di mia madre in fin di vita, quando mio figlio gli chiedeva di non morire, scese più di una lacrima che ho raccolto in una garza e ho messo vicino al mio cuore. Il medico disse che non ci poteva essere percezione del dolore fisico né la dimensione spazio-temporale ma per tutto il resto non c’erano vere risposte …

  3. Una casa di pietra tenuta sul palmo della mano si sgretola, rimane una ferita che sanguina, un nodo stringe la gola, impedisce quasi il respiro, una lacrima scivola via per quel tradimento che, vergognosamente, avevo implorato, cosciente, oggi, che non era sonno, ma sofferenza. Sono qui con te per imparare a riedificare e sognare figli … si! ci vuole un caffè nero petrolio.

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