irrealtà della cultura

Posted By claudiobadii on Feb 8, 2013 | 0 comments


lucio-fontana-

lucio fontana

Un po’ di lavoro per rispondere alla ricerca così come si sviluppa. Ho ascoltato il sogno di due amanti (?) che si costruivano una struttura rialzata, come un luogo adatto a morire insieme: e allora ho detto che la parola morte, riferita com’è ad un evento e non ad una condizione, non spaventa né porta cattivo augurio. Morire insieme, nello stesso momento intendo, non è neanche una morte: poiché essa c’è solo se uno di noi, amor mio, va via prima dell’altro, lasciandolo a testimone di un tempo discorde, dopo un’intera vita di concordanze e cenette e visioni di film e abbracci. Ma soprattutto di accordi a distanza, di osservazioni della stessa stella di qua e di là dal mare, per conoscere e approfondire l’astrologia degli innamorati.

Ci siamo scambiati questi complimenti: che la morte è parola riferita ad un evento e non ad una condizione. Ci è venuto in mente che raccontare è per interpretarci i pensieri, parlarci è per raccontare che la vita eccitante è quando sei lo stimolo che toglie la fermezza e l’immobilità, e fai il caos, e sei indeterminata occasione. La vita è che sei avvenimento, notizia, e curva della parete dell’acquario. Sei la parete curva dell’acquario che accentua la velocità dello scivolare dei pesci: che si deformano anche, un poco, nuotando indifferenti al mondo nostro, lungo la convessità del vetro.

La formulazione tradizionale delle leggi della natura opponeva le leggi fondamentali atemporali alle descrizioni fenomenologiche, che comprendono la freccia del tempo. La riconsiderazione del caos porta anche ad una nuova coerenza, a una scienza che non parla solamente di leggi, ma anche di eventi, la quale non è condannata a negare l’emergere del nuovo, che comporterebbe un rifiuto della propria attività creatrice.”  (Ilya Prigogine, “Le Leggi del Caos”, Collana Economica Laterza, Quarta edizione, 2011, Introduzione, pag. XI)

Gli eventi! eccitanti eccitazioni indispensabili: il sistema nervoso centrale, che vive solo se l’attività sensoriale è assicurata, vive per registrazione di variazioni: altrimenti, pur senza che biologicamente muoia neanche uno dei 40 miliardi di neuroni, la funzione del pensiero umano non c’è più. La morte che si teme è quella morte del pensiero. Morte come pazzia, per annullamento dell’altro, dopo la separazione. Morte come pazzia, per fantasia di sparizione dell’identificazione proiettata, durante un rapporto di rabbia. Prima l’identificazione che nasconde bene la rabbia, poi la depressione, la tristezza nera, l’irriconoscibilità della propria vita e di sé, se te ne vai, perché andandotene porti via l’illusione della reciproca incurabilità, della uguaglianza che era negazione delle differenze, della cura possibile.

Ma quella non è la morte: quella è la malattia che trasforma la vita, che è una condizione, nella morte che non è una condizione, è un evento. La malattia, allora, è la morte che, iniziata con la tua partenza, adesso ha una durata come una condizione. Ciò che fa paura è la permanenza e la riproposizione della confusione nella cultura. Essa, la cultura, altera il vuoto fisico in qualcosa di metafisico. Altera il sentimento di mancanza delle cose, in pensiero (irreale) dell’ esistenza del nulla come ente. Il vuoto ha la realtà, l’esistenza fisica, di uno spazio vuoto. Si potrebbe ipotizzare che corrisponda, nella mente sana, all’idea di percezione di una assenza.

La percezione dell’assenza delle cose è una attività della vita fisica della mente. L’assenza di una cosa che c’era è la realtà, l’orma del tuo piede nella sabbia. Percepire la tua orma fa il ricordo, l’immagine di te. Nella malattia, percepire l’orma di te crea il nulla, poiché la fantasia è perduta. Quel nulla è irrealtà del pensiero. Il pensiero ‘crea’ il nulla. La creazione è opposta alla fantasia del ricordo. Costitutiva della vita mentale è la costante possibilità di annullare l’esistente. Non c’è un nulla esterno che si annida per assalirci. Forse bisogna pensare che l’annullamento (la pulsione) corrisponda ad una inerzia costituzionale della base materiale della biologia che, se si perde la fantasia, realizza la pulsione contro il pensiero. Poi bisogna sospettare che la distruzione della fantasia possa essere corrispondente all’usura della vitalità….

Riprendendo: la realizzazione del nulla sarebbe diversa dalla percezione della assenza e potrebbe essere definita come malattia del pensiero, a causa della quale, la attività di percezione di assenza di qualcosa che c’era e adesso non c’è più, è collassata, e al suo posto si è generata la credenza nell’esistenza di ciò che si dice che sia il nulla. Ma è nulla quel che si crede, anche se non è non esistente la voce che lo nomina, e la forma della scrittura che ne traccia la grafia in un punto del discorso sulla pagina. Al nulla, oltre il suono della parole e oltre il segno sul foglio, non si può che credere poiché la sua costituzione non è suono e inchiostro, è assenza di realtà di esistenza.

Tutto quanto, in proposito al nulla, può essere scritto sul foglio e pronunciato, non è uguale, anzi è opposto, alla scrittura relativa ad una capacità di immaginare la esistenza e la realtà del fenomeno fisico dell’energia della luce, o dell’intuizione collettiva di una bellezza possibile. Certo è che gli esseri umani, avendo la capacità di immaginare, possono ammalarsi creando l’inimmaginabile. Il nulla non è l’oggetto intuito fuori di noi, è il prodotto dell’attività di una mente che niente potrà fermare.

Lavoro, per rispondere alla ricerca nella stanza dove ho ascoltato il sogno di ‘morire insieme’. Immediatamente sono certo che, per la sanità mentale, la parola morte, riferita com’è ad un evento e non ad una condizione, non spaventa. Non spaventerà più. La simultanea fine biologica della vita degli amanti non è una morte. La tristezza e il dolore della separazione lasceranno che venga la fine della funzione biologica addirittura nella coscienza, nella veglia. Un evento inevitabile, acceso come un sorriso della materia. In veglia d’amore la morte biologica impallidisce. Il dolore nasce, quello sì, come affetto se uno va via e l’altro testimonia il tempo discordante dopo un’intera vita di accordi e osservazioni della stessa stella, uno di qua e una di là dal mare. Noi astrologi innamorati.

Tristezza, dolore e riconoscenza di tutto il tempo. Sarà come quando muore il ragazzino e subito dopo l’adolescente corre tra le braccia dell’altro e dell’altra… secondo i sessi e secondo i sensi. Ma non sarà malattia e depressione. Il morto non teme di essere depresso, è il depresso che teme di essere morto. L’adolescente vivo accorrente tra altrui braccia è la morte del ragazzino di prima, ma è certo anche la morte nella depressione dell’adolescente masturbatore terreo e isolato. Dunque una è in realtà una nascita. L’altra una malattia.

La mancanza di una ricerca diffusa su una distinzione indispensabile tra i termini delle parole del linguaggio, causa la confusione, il disordine culturale: confusione e disordine sono differenti e opposti al caos. “La riconsiderazione del caos porta (…) a una scienza che (…) parla (…) anche di eventi” Questa scienzanon è condannata a negare l’emergere del nuovo”. Questo è un bene, penso, poiché la negazione del nuovo “comporterebbe un rifiuto della propria attività creatrice.”  (Ilya Prigogine, “Le Leggi del Caos”, Collana Economica Laterza, Quarta edizione, 2011, Introduzione, pag. XI)

Il caos ha la bellezza dei propri attrattori strani, che si disegnano nella matematica delle variazioni statistiche, nella passione di misurare, con accortezza, le curve delle probabilita di certi eventi. Le fluttuazioni della statistica delle probabilità infrangono la simmetria temporale, ma, nella eleganza che ne contraddistingue i diagrammi, si vede bene che non fermano l’immagine del movimento.

Lo studio della vita fisica della materia, che dà origine alla attività mentale, si complica rapidamente senza confusione né disordine: lo strano attrattore è la ben delineata distinzione tra i termini di esistenza e realtà. Il nulla è creazione di una irrealtà che rispecchia la natura del pensiero che si è ammalato. La irrealtà non è nella realtà esterna al pensiero. L’irrealtà non è nella realtà. L’irrealtà è malattia del pensiero che pensa il nulla come qualcosa. Il pensiero è realtà non materiale. Il nulla è irrealtà del pensiero

L’esistenza del delirio del malato di mente è esistenza di irrealtà del pensiero. L’irrealtà del proceso che genera la credenza del nulla, è esistenza di un discorso confuso. Esso pone la malattia della mente degli esseri umani, fuori dell’uomo. Ciò che c’era e adesso non c’è più non può essere pianto come volto dell’amata che ci manca, perché l’odio lo ha alterato e l’annullamento lo ha reso inesistente. Quando, per scarsa vitalità, non siamo all’altezza del nostro dolore, poi purtroppo ma inevitabilmente e senza alcuna colpa, fantastichiamo di una esistenza del nulla nella realtà del mondo. A volte anche solo alla vista dell’incavo dolce di una nicchia del muro con la fontana, o negli archi delle volte delle antiche stanze, o nell’incavo della fossetta del sorriso di chi amavamo.

Al cospetto della svolta delle curve dei soffitti e degli archi, di fronte all’espressione deliziosa dei sorrisi che un essere umano ha impresso alla pietra e alla calce, e che un essere umano lascia imprimere sul proprio volto accaldato di fronte alle fontane, noi, una volta ammalati, si proietta e poi si teme, pieni di terrore, la sgarbata forma della pazzia. La pazzia ha alterato la perdita di linearità delle forme rigide -che è una perdita necessaria a fare la bellezza della probabilità e della fortuna- nell’incomprensibile e intollerabile disordine della frammentazione. La perdita della funzione della mente, che è una funzione di integrazione dell’esperienza interiore con l’esperienza di rapporto con il mondo esterno, causa la malattia. Ma il terrore è perché nella cultura, nel discorso scientifico, a proposito della malattia del pensiero, c’è ancora una negazione.

Questo ha a che fare con il fatto che anche la letteratura umanistica contiene la proprio scienza. Contiene anche la propria negazione. Essa nega che ha responsabilità di formazione della mente, responsabilità pesanti quando non vede che il nulla è credenza del nulla per alterazione della mente dell’uomo. Responsabilità pesanti della cultura, che è scienza del senso comune dell’affetto e dell’amore sublime, ed è anche politica e legislazione normativa: poiché essa ha il linguaggio capace di affermare generalizzazioni estensive su quasi tutto.

Affermazioni continue su quali siano (debbano essere) le espressioni ufficiali per l’esperienza elevata. Quali siano le forme più condivisibili per l’elevazione del sentimento e del pensiero. Ma ora si evidenziava, appunto, che poi la cultura umanistica ufficiale sceglie il nulla come costituente dell’essenza umana.

Perché il nulla, che è una alterazione del pensiero, viene negato come alterazione del pensiero?

Perché il nulla, che è nulla, viene posto come costituente della realtà, sotto forma di irrealtà costitutiva della natura?

Così accade che: la realtà dolorosa e nostalgica del pensiero per la mancanza dell’altro, la percezione paradossale della realtà fisica di uno spazio vuoto -orme che forse contenevano le radici dell’albero e l’impronta del calcolo sulla sabbia, e che sono eventi di fantasia e di capacità di immaginare un’esistenza trascorsa seppur non più presente- restano incomprensibili e forse pericolose.

Perché la nascita come nascita dell’attività mentale dell’io definita “capacità di immaginare” non viene neanche presa in considerazione come potenzialità congenita dell’essere umano? Come limitare i danni attuali?

Certamente potrei immaginare: “il pensiero del nulla è plausibile se non pretende di arrivare fino all’imposizione della sua esistenza, così, in quel caso, nella limitazione di una simile onnipotenza del pensiero, il pensiero guarirebbe e, appunto -avendo noi smesso di temere quel nulla che era ciò che, di fondo restava a spaventarci che tutto potesse sempre esserci tolto, soprattutto l’amore e il linguaggio… – allora, avendo conservato la certezza che sono congeniti gli affetti di legame e lo sviluppo dei linguaggi per esprimerli, potrebbe non parere più così folle che io abbia detto, concordando con un sogno, che non dovremmo temere di morire insieme..

E adesso aggiungo che la paura della morte è, in effetti, la paura della pazzia, e che la paura della pazzia è perché nessuno indaga sulla natura della formazione del pensiero del nulla, che viene posto come costituente specifico della realtà della mente, e forse, in senso metafisico, anche come componente della realtà materiale e fisica dell’universo (universo metafisico appunto) così come essa realtà viene pensata dai filosofi.

Nessuno indaga con attenzione e metodo scientifico, se quella proposizione della costitutività del nulla non sia, per caso, una imposizione culturale, una abitudine mal posta. In fisica non so, non so cosa costi all’universo tutto quel nihilismo. Nell’idea che si ha della costituzione antropologica degli esseri umani il nulla, come costituente insostituibile della mentalità di specie, è di impedimento alla comprensione della pazzia. La pazzia non è un buco biologico o una lesione biochimica, è una alterazione funzionale: che potremmo definire come probabilità di instaurarsi di una crisi di irrealtà di pensiero.

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.