isterismo magniloquente

Posted By claudiobadii on Giu 7, 2012 | 1 comment


< Nell’esposizione universale del 1889, Debussy ha la possibilità di sentire dal vivo, a Parigi, musica javanese, musica russa, teatro annamita, cioè ha la possibilità di entrate direttamente in contatto con culture extraeuropee, e Debussy resta folgorato, resta sbalordito da questa esperienza (…..) Queste musiche per tutto l’Ottocento erano state considerate semplicemente bizzarre o primitive. Le citazioni di musica extraeuropea nel corso dell’Ottocento sono quasi sempre: o coloristiche, “I Pescatori di Perle” di Bizet , per esempio – o altrimenti sono addirittura sarcastiche, satiriche, grottesche. Rossini scrive un pezzo per pianoforte, lo chiama “L’Amore a Pechino” ebbene, questo pezzo è basato su una scala che non è affatto la scala cinese, è solo una scala ‘strana’ … ‘non tonale’. Nel corso dell’Ottocento ‘extraeuropeo’ voleva dire curioso, bizzarro, grottesco. Debussy è il primo compositore per cui invece ‘extraeuropeo’ significa qualcosa di più. Debussy scriverà, una quindicina di anni più tardi, parlando delle musiche che lui aveva sentito nell’esposizione universale del 1889 a Parigi. Egli parlerà dei “…piccoli graziosi popoli che apprendono la musica così semplicemente come si impara a respirare. Il loro conservatorio è il ritmo eterno del mare. Il vento attraverso le foglie. Mille altri piccoli rumori che essi ascoltano con cura senza mai gettare uno sguardo in trattati arbitrari”. Vediamo questa polemica contro la tecnica, la polemica contro la ‘scuola’, che è una cosa che Debussy porterà avanti per tutta la vita: ” e tuttavia -dice, parlando del gamelan (che sono incredibili orchestre di metallofoni di una complessità straordinaria) – “la musica giavanese si serve di un contrappunto di fronte al quale quello del Palestrina sembra un gioco da ragazzi… E se uno riesce ad ascoltare senza pregiudizi europei la magia delle loro percussioni è obbligato a constatare che la nostra musica non è altro che un rumore barbaro da circoli di periferia”. Debussy è uno dei musicisti di cui è più difficile parlare in assoluto, perché Debussy è uno dei grandi innovatori della storia della musica. E’ uno di quei musicisti che decide di rinnovare il linguaggio musicale, di cambiare le carte in tavola. Pochi prima di lui, e pochissimi dopo di lui, hanno compiuto la stessa operazione. Viene in mente forse Claudio Monteverdi, per certi versi Haydn, Beethoven, e poi Mussorgsky abbastanza isolato che decide di lavorare su un suo percorso, e poi qualche contemporaneo di Debussy. Ma Debussy decide che le caratteristiche del linguaggio musicale così come si sono affermate, così come la sua epoca le porta avanti, vadano invece discusse, vadano invece cambiate. Perché succede questo? Il contesto in cui cresce il giovane Debussy è il wagnerismo. Il contesto musicale a cui Debussy ad un certo punto decide di contrapporsi è la musica di Wagner, che era il gigante incontrastato di quell’epoca. Debussy fu un grande wagnerista. Conosceva a memoria l’intera partitura del ‘Tristano e Isotta’. A Roma a Villa Medici vinse una scommessa con degli amici musicisti riuscendo a suonare a memoria la partitura a partire da un punto qualunque preso a caso. Quindi probabilmente Wagner è il nostro punto di partenza se vogliamo capire a cosa si opponesse Debussy nella sua ricerca di un altro linguaggio musicale. E perché decide di ripartire da capo rispetto a questo linguaggio. Prendiamo una delle opere più importanti di Wagner, il “Tristano e Isotta”. Esemplarmente si ascolta lì quella caratteristica per cui la musica di Wagner non si ferma mai, non si riposa, ossia c’è questo senso di movimento, di irrequietezza, di non stabilità della musica e naturalmente questo ha a che vedere con la poetica musicale di Wagner, con la storia del Tristano, con il filtro d’amore, con questo rovello interiore, quindi è una musica che ha una profondità psicologica forte, poi naturalmente qui parliamo di teatro musicale, quindi già il preludio rappresenta alcune delle tensioni e delle passioni dei personaggi, ma la sostanza è che questo modo di procedere trasformando continuamente senza dare un punto di riposo alla musica in questo continuo divenire è raggiunto attraverso una tecnica di sempre uguali gruppi di elementi che si succedono. E’ proprio questa dinamicità estrema della musica, questo continuamente portare avanti il discorso senza mai farci riposare, senza mai darci stabilità, che naturalmente viene dalla tradizione mitteleuropea (Beethoven che Wagner prende sviluppa e porta avanti ad un punto estremo) …bene Debussy, parlando della musica di Wagner, di questa musica insomma, ad un certo punto dirà: ‘Questo è un isterismo magniloquente’…> Giovanni Bietti – Podcast: LEZIONI DI MUSICA del 14/04/2012 – C. Debussy: La mer et son rythme innombrable. Si trova intero su Rai.it 

Da tempo ormai -esattamente: dal settembre del 2010 seguito ad una estate caldissima, che avevamo fatto arbitrariamente precedere dalla lettura di tre brevi testi d’amore nel vecchio studio grande torrido e appena sempre un poco troppo invaso dal polline delle piante alte del giardino sottostante – l’interesse per l’attività di conoscenza attraverso il linguaggio si è fatto impegnativo e pervasivo. Il nostro arbitrio era stato amarci a vicenda, eleggerci a signori vanitosi di noi stessi e ad eventi atmosferici, terremoti, creatori, disingannatori, artisti, mentitori, e scienziati.

……

I punti sospesi sono le parole d’amore del luglio del 2010 tanto odiato perché era risultato evidente che anni di lavoro potevano sciogliersi nelle bollicine di anidride carbonica delle aranciate e della coca cola e dare inspiegabilmente alla testa. La ricerca della cura possibile della malattia dell’attività mentale, in assenza di lesione organica, si sciolse in tre sabati di luglio, ogni volta circa tre ore, in cui le persone restavano sole nella grande stanza piena di polline e polvere perché non mi curavo di toglierla troppo spesso tanto la pulizia restava una grande estensione di libri appoggiati a terra che coprivano quasi tutto il pavimento della stanza costringendo a guardare dove si mettevano i piedi là, dentro quel gran caldo. 

Venne l’odio per l’affetto, e il terrore per le possibilità che uomini e donne potessero sussurrare certe parole senza paura. Venne l’odio per le labbra rosse e per gli occhi nerissimi e per la pelle d’oro. Vennero le matrigne e gli specchi magici. Qualcuno ripropose ad altri il dubbio terroristico e la paura, senza che io sapessi chi poteva essere. Senza che io chiedessi chi fosse stato. Il dolore non rese niente affatto difficile fermare tutto quello che, se non fermato, sarebbe tornato a determinare la malattia nelle ore della ricerca della cura. Però le cose scritte e poi lette, volta per volta alla fine delle ore in cui regnava l’arbitrio delle evidenti simpatie, restarono scritte sui fogli. 

Tutta l’estate. Non era la prima volta che succedeva che l’odio e la rabbia avessero impedito di lasciarsi andare. Le cose restavano. L’arbitrio, la mia decisione arbitraria, era sempre stata, in precedenti occasioni, la determinazione personale di non arrivare a consentirmi ulteriore espressione del dolore personale che, tanto, poi, alla fine, si trasformava e diventava pensiero verbale cosciente in forma definitiva di parole che dicevano gli avvenimenti della dinamica del rapporto medico paziente utili alla analisi del transfert e più ancora a delimitare l’esattezza delle precisazioni per la ricerca della cura. 

Ma nel luglio di due anni fa certe cose erano oramai già scritte: solo non lette a voce alta tra i corpi accaldati delle ragazze e dei ragazzi che venivano a sorridere nella grande stanza come inebetiti dall’inusuale e dall’inutile del benessere e dell’esposizione della loro bellezza, della pelle lucente dei loro visi e delle braccia scoperte per il grande calore. Erano ormai già scritte le cose accadute nei giorni di luglio e scritte sui fogli erano, seppure narrazioni di un immediato ‘passato’, esatte come predizioni. Stavolta la rabbia e il terrorismo non avevano incenerito le cose pensate, e riversate senza pensare sui fogli. Ed era come se un processo di guarigione dal terrore e dal ricatto fosse iniziato. 

Nella attività mentale era cambiato qualcosa. Pensavo con chiarezza che in assenza della lesione organica corrispondente alla malattia della mente, quando si tratta di fare diagnosi medica e prognosi e poi attività di cura della malattia, c’è l’unica possibilità della sensibilità e dell’esperienza professionale acquisita per legare l’alterazione del pensiero ad una specifica alterazione di una altrettanto appena percepibile, intuibile, avvertibile con i sensi ben esercitati, funzione generale della fisica della materia cerebrale. Anche  inebetito dalla violenza della rabbia che aveva violentato la sessualità nel luglio 2010 mantenevo l’immagine delle persone che avevano sfidato il caldo torrido per radunarsi sul pavimento di cioccolata e baciarsi all’arrivo e alla partenza.

Le guance spalmate di aranciata, the freddo, caffè bollente e altre bevande alla vitamina confezionate per fondere i profumi di persone che si erano fatte per un fuggevole momento oggetti all’amore di tutti. Si poteva cogliere il sistema chimico di produzione e di preparazione della crema solare al sapore di conoscenza, nella vicinanza fisica di quella gradevole promiscuità assolutamente casta. Nel clima torrido la stanza era una foresta pluviale. Le parole si scioglievano come burro e zucchero sulla pelle delle persone accaldate. Avevo colto queste cose e come conseguenza esse erano state immediatamente scritte (come adesso ogni volta) e rimanevano scritte. Erano diventate le parole da dire. 

Così anche se trascorse l’agosto in silenzio il settembre non restò vuoto e il dialogo si riversò sulle pagine del blog. Leggere e scrivere. Pensiero, fisica, realtà, materia. Il luglio del 2010 era stato un evento imprevedibile: perché nell’ambito di quei pomeriggi -che potremmo dire siano stati semplicemente tre ore nel caldo torrido di tre fine settimana- c’era stata la bellezza la perplessità dei ragazzi e lo stupore. Sulle scale si arrampicavano fino alla stanza in alto delle differenze tanto profonde da offrire l’amore per anni di ricerca. “Il rapporto ha un effetto sullo stato fisico della materia, cioè il rapporto compie una azione che cambia la fisica della realtà materiale alla base della funzione cerebrale del pensiero”. 

Pensiero fisica realtà e materia cominciano oggi a ritrovarsi fare il girotondo e cantare. Come fossero le cose informi della natura. La fisica del pensiero che si lega al suono della musica di Debussy che vuole lottare contro l’arbitrio dei trattati musicali, che si scaglia addirittura contro le innovazioni di Beethoven, e perfino contro l’innovazione di Wagner. Questo è lo studio di adesso. Le onde il mare i blocchi della musica che perde la fiducia assoluta nella narrazione melodica le difficoltà degli accordi il pensiero profondo dei geni. Debussy. “La mer”. Così suddiviso:

De l’aube à midi sur la mer (si minore) (molto lento) 

Jeux de vagues (do diesis minore) (allegro)

Dialogue du vent et de la mer (do diesis minore) (animato e tumultuoso)

(nota: la foto si trova qui)

1 Comment

  1. Lo adoro

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