la libertà di scrivere

Posted By claudiobadii on Gen 26, 2012 | 2 comments


la libertà di scrivere

Ti racconterò amore mio, stamani, l’azione del massaggio: che non è che sia delicata come essa appare ed è solo e soprattutto e definitivamente (per cominciare) uno scandalo.

Si tratta di mani che hanno la forza che -all’inizio di tutto– era per uccidere avendo impugnato la mandibola dello scheletro del rinoceronte o del cervo. E però, adesso, esse fanno cose indicibili che solo agli amanti in genere sono permesse, che alle vette dell’eccitazione dovrebbero condurre l’amore. E invece sono la ragazza o il ragazzo silenziosi, come automi d’aria, sospesi alle nuvole galleggianti sopra le nostre spalle, a fare su di noi gesti che solo l’amore appassionato dovrebbe poter compiere: e che al contrario, in genere, non sa (non vuole) compiere.

Appesi come giacche da sera alla gruccia celeste degli uragani, esprimono l’indicibile e pongono la domanda su quanto sia importante usare la forza. Una forza inaudita e silenziosa. Una forza che non ha parametri. Lo scandalo del massaggio è una delle tante cose che si oppone alla letteratura. Il massaggio è uno scandalo che sfugge, chiudendosi nella sua casa di perfezioni. Consente l’uso della forza per il benessere, come si usano le armi affilate per le operazioni chirurgiche. Noi girati di spalle possiamo guardare il sangue scorrere in assoluto silenzio. Perfettamente obbedienti, il nostro sangue e noi stessi, al comando dei rianimatori che hanno a che fare con la vita e la morte, né più né meno.

Lo scandalo delle mani si oppone alla letteratura che vuole -vorrebbe- dichiararsi lieve e umanissima nella sua capacità di raggiungerci il cuore. Il massaggio realizza da fuori, misteriosamente, con l’azione sulla pelle, ciò che fa perdere la testa impedendo la coscienza. Non il pensiero.

Il massaggio fa parte della mia formazione. Lasciare che il ragazzo e la ragazza, appesi al cielo per quanto ne so disteso come sono seminudo sul lettino pulito, con la forza facciano quello che nessun altro potrebbe fare -se non con l’intento di seduzione o d’amore appassionato in una estrema realizzazione di civiltà del rapporto che porta al sesso e alla reciproca gioia- è parte integrante del mio transfert con il mio mondo umano.

Mi faccio la formazione anche, e forse soprattutto, attraverso oggetti parziali: libri, riviste, articoli scientifici. Ho sempre la sensazione, di fronte alla vastità del panorama, di dover operare delle scelte che saranno esclusioni. A causa di questo eccesso di libri e oggetti parziali, che costringono a fare delle esclusioni, perché l’offerta eccessiva sottrae il tempo per le scelte, ho più sicura la certezza che si scrivono libri poiché gli altri esistono.

Chiarisco: si scrivono libri affinché essi (gli altri) non esistano più: per un poco, almeno per quanto dura l’azione della scrittura. Avevo scritto che la letteratura è spietata ma ora dico di no, la letteratura è ingannatrice e pietosa, poiché essa assolve. Alla fine assolve l’omicidio che essa stessa compie, e lo fa facendo finta che si possa dire che una cosa finisce, che c’è un arresto del pensiero.

Ma non vengano a dirlo a noi lettori instancabili: perché alla fine della scrittura dei libri, che fa dello scrivere semplice letteratura, noi iniziamo tutto il tormento per aver letto qualcosa senza capire perché sia finito proprio là. E che cosa significhi che è finito. Dato che poi noi restiamo svegli o che, al contrario, ci eravamo addormentati infinite volte leggendo: come se noi stessi fossimo il testo che continuava. Come fossimo un testo in carne ed ossa, un testo immortale.

Noi che leggendo non avevamo coscienza di noi, seppure avevamo la veglia e il movimento e forse addirittura la volontà e la capacità di intendere, alla fine del libro siamo rigettati a qualcosa che non è chiaro. A qualcosa che dice “…era solo un libro”. Allora noi aggiungiamo: ” …già davvero: era solo un libro scritto per ucciderci!”

Lo sbarco nel mondo nuovo, dunque, non dovrà essere uno stile diverso delle forme delle attuali scritture, ma uno scrivere senza posa, una rivoluzione del comportamento, cioè dell’immagine inerente a scrivere: che sarà arricchita di un avverbio di tempo, qualsiasi cosa esso significhi: scrivere sempre. Scrivere sempre sarà operare un’azione per privarla delle sua intenzioni estenuandola all’infinito. Realizzando la sua verità che è la sua impossibilità di essere conclusiva.

La demistificazione (non) avrà (più) nessuna rabbia, poiché la cessazione della finzione non sarà denunciata nel testo della scrittura, ma sarà esercitata con l’insistenza a tacerla agendo incessantemente con mani forti precise e decise sulla carta. Poiché si scriverebbe per seppellire, e la scrittura avrebbe il rumore di una gigantesca macchina per lo spostamento terra, l’unico modo per smettere di operare questi seppellimenti -che non sono neanche rimozioni ma subdole coperture- è quello di non prendersi il tempo per una qualsiasi sospensione.

Non vogliamo prenderci quel tempo e questo avviene perché sappiamo che la sospensione sarebbe la fine, e dunque il completamento del tumulo: seppure in tal modo avremmo molte benemerenze, in quanto salveremmo l’idea di letteratura cui per tanto tempo si sono rivolti in molti -con stimmate autoinflitte o peggio di origine psicosomatica- a caratteristica di erudizione e impegno.

Attualmente, e per chissà quanto ancora, a causa di tutto questo scrivere, perché sembra inevitabile (non lo è) che se si è scritto dovremo leggere, lo ‘scritto’ diventa, in quanto inevitabile, definitivamente impossibile. Tuttora comunque si vede bene che noi leggiamo sempre, obbedienti: leggiamo tutte le parole scritte nei libri (le parole della letteratura) che in realtà sono state vergate per seppellire le nostre stesse possibilità. 

Sappiamo che è così e che leggendo diventiamo in qualche modo peggiori: perché procediamo ad una identificazione con i nostri uccisori, con gli architetti della letteratura che in realtà sono i padroni e non solo i produttori di libri. Sappiamo benissimo che la letteratura distrugge. Essa distrugge non tanto le nostre possibilità di dire qualche cosa di più, ma le nostre salutari ed indispensabili speranze di non dire più nessuna altra cosa. Che è il motivo per cui ci hanno abituati a pensare dovremmo leggere. Per riposare. 

Sappiamo tutti che la letteratura così come è -proposta sotto forma gradevole nell’offerta di opzioni pluralistiche- non fa che impedirci sempre più crudelmente ogni possibilità di tacere. Allora: solo scrivendo senza posa, senza mai arrestarci – perché arrestandoci completeremmo qualcosa e avremmo un libro – solo quindi scrivendo senza mai scrivere libri – potremo fare la differenza tra letteratura e scrittura, e potremo realizzare l’immagine di un silenzio di fondo.

L’ immagine dell’identità originaria indicibile e sicura. L’idea della materia dormiente che non è biologia senza vita umana e non è neanche natura indifferenziata. Semmai, e al contrario, è realizzazione di funzioni che, in quella condizione, non sono in grado di pensarsi mentre accadono. La realtà del non cosciente essendo che esso non sa pensarsi.

Ti racconto chi tace. C’era una volta, alla fine, chi riuscì a sottrarsi al racconto. Ti racconterò amore mio, stamani, l’azione del massaggio: cioè finalmente (per cominciare) uno scandalo. Le mani che fanno cose indicibili che solo l’amore appassionato dovrebbe poter compiere e che in genere non sa compiere. La volontà di ragazzi e ragazze che raccontano la forza indicibile che non ha parametri di scrittura. Una forza niente affatto letteraria pur nella sua estrema umanità che fa perdere la testa impedendo la coscienza responsabile ma non il pensiero.

Sotto le mani sapienti facevo le libere associazioni. Ho fatto la scoperta dei piatti di portata dell’orco. Esso cucina e porta in tavola i nostri ultimi spasimanti spellati vivi, e i generali che hanno restituita la divisa per la parata. Sotto le mani sapienti la volontà è divenuta l’idea di mantenere vivo il pensiero di dire tutto questo come un sogno.

Ero lo schiavo testimone in fondo al corteo. Mangiavo pane bagnato. Non mi avrebbero più ucciso: ed è stato così che ho scoperto la conoscenza (guarigione?) accidentale come variabile imprevista: una tra le infinite versioni della mia vita intera. In fondo al corteo ho capito che era necessario scrivere ma non scrivere libri.

E per quanto riguarda noi due posso affermare che è assolutamente necessario che tu interpreti i miei sogni. Ma non che li interpreti ogni volta con una versione definitiva e intransitabile. Ma invece che tu li interpreti non smettendo mai più di interpretarli. Che il tuo amore (lavoro!) sia di restare continuamente a interpretare. A realizzare, nella pratica, l’unico sogno che non si racconta perché non si può: l’ultimo sogno che arriverà quando non ci sarà più nessuno.

Tu giovane amore devi (se posso permettermi) interpretare la vita prima che essa accada. Tu devi stare lì accanto con coraggio perché io possa protestare contro di te dicendoti che “…avresti dovuto interpretare la mia vita da subito. Restando.” Perché io adesso ti devo spiegare, in forma cosciente e ragionevole -affinché tu alla fine abbia la sensazione cosciente di capire come stanno le cose ‘dentro’- che io (forse anche molti altri) sogno l’altro che c’è stato da subito.

Che sognando, secondo un pensiero che non sa pensarsi mentre accade, proprio per quella qualità del pensiero del sogno, stabilisco il sempre una volta per tutte, che è nascere. Sogno la possibilità di una nascita quando il pensiero non sa pensarsi ed è per questo che non è cosciente. Ed è per questo che è in genere anche bello.

Hai notato mai che i bambini sorridono quando si pronuncia “….C’era una volta…” (noi, sospirando): e allora loro sorridono per premiarci di una scelta vincente. Poi non ascoltano più altro che i toni e il timbro di guerre e rappacificazioni. E si addormentano, in genere. La fine non ha fascino, solo il non finito ne ha, solo la scelta corretta definitivamente vincente di quel modo di parlare.

E’ dunque evidente che scrivere libri è un tradimento: perché illude che si possa scrivere sempre e soltanto, cioè inevitabilmente, fino ad un certo punto. Mentre in verità l’unico modo di scrivere è scrivere sempre. Quasi scrivere continuamente, se si è abbastanza intelligenti (innamorati) in grado di accettare la provocazione amorosa. Così penso che, anche a proposito della formazione, l’insistenza e la continuità debbano averci molto a che fare. Ma per adesso non saprei dire di più.

Dunque per adesso non aggiungo che questo: che i libri e il riposo fanno la sfilata dei reduci vincitori, quelli con l’armatura ancora addosso, fanno la versione faziosa degli avvenimenti. Non ho mai capito se, nella confezione editoriale, ci fosse più dolcezza o crudeltà. Ho l’idea di molti guasti attorno a me, nonostante l’enorme vastità del panorama culturale, e mi dico che: la vittoria ha la testa del nemico nella mano fusa ai capelli con il sangue. Sparge gocce in giro. Si nutre leccandosi le ferite

Il silenzio durante la scrittura deriva da una azione presuntuosa di appartarsi per non capitolare alla vittoria in battaglia. L’azione di comprensione che vincenti sono le scelte. Così non c’e bisogno dell’omicidio rituale. Allora è evidente che la parata dei talenti è la fila per il pane. La fila di quelli che si sono riservati una posizione dalla quale avere sempre da ridire. Restando: l’uno con gli altri.

Ha ragione M. Fagioli: la pulsione, che è lo specifico disumano dell’uomo, è fantasticare come ‘non essere’ la realtà del non materiale del pensiero. Fantasticare sbrigativamente che il non materiale è non umano. Lasciando la libertà di pensare, di concludere per conto proprio che “…di conseguenza il pensiero, se non è biologia, è ‘natura’…”.

Procediamo con le gocce di sangue: scrivere non è scrivere libri. E’ scrivere sempre, continuamente. Io lo chiamo amore solo perché non ho trovato ancora una intelligenza personale che mi affranchi da quella parola così affascinante da pensare. Quello che conta adesso è dire che non è alla fine che si vince. Vince chi lotta sempre. Chi ha l’insistenza (la forza nel tempo) di stare lontano dalla vittoria che è sterminio e omicidio. Lottare è riproporre la scelta vincente. Non imporre il nesso che è vero ciò che si è rivelato più distruttivo per i nemici.

Dunque ci sono pensieri pericolosi e dovremo tener conto continuamente della potenziale pericolosità di questo medesimo pensiero. Così alla ricerca di te, delle ragioni dell’amore per te, alla ricerca della conoscenza attraverso la formazione, non riesco a smettere mai di dubitare. Al centro del mio pensiero e della gioia stessa di pensare, al centro della possibilità di pensare come destino, c’é un dubbio così espresso definitivamente

e se….?”.

Questa proposizione mentale, nella forma corrispondente alla composizione grafica con cui è segnata qua sopra, funzione di una fisiologia irriproducibile dalla cibernetica, è diventato per me il pensiero dell’altro. La certezza che esso esiste ricco di dubbi ben distribuiti. Secondo l’estetica della semina probabilistica. Quella semina, quella distribuzione, è la forma complessa del suo pensiero. Ripropone le parole e impedisce che la scrittura si arresti.

L’amore che amo esiste piena di dubbi. I suoi attributi, la sua bellezza, le sue speciali qualità sono i suoi dubbi probabilisticamente ben distribuiti. Se vuoi. Ti racconterò di chi tace. C’era una volta, alla fine, chi riuscì a sottrarsi al racconto. Smise di essere in ansia chi si era invaghito delle forme del dubitare. Poi….

[banner align=”aligncenter”]

[banner network=”altervista” size=”300X250″ background=”2B2B2B” text=”919191″]

2 Comments

  1. VI
    Istruita nell’amore
    da migliaia di libri,
    ammaestrata nella trasmissione
    di poco mutabili gesti
    e di giuramenti stolti-

    iniziata all’amore
    però soltanto qui-
    quando la lava è sgorgata
    e il suo fiato ci ha colti
    ai piedi della montagna,

    quando alla fine l’esausto cratere
    ha rivelato il segreto
    a questi corpi serrati-

    Penetriamo in ambienti stregati
    e illuminiamo il buio
    con la punta delle dita.

    da CANTI DURANTE LA FUGA -INGEBORG BACHAMANN-

  2. penso (come non lo pensavo un tempo)che a volte la certezza ferrea e’ violenza, penso che se si hanno troppe certezze non c’e trasformazione…..,penso che e’ bello che ci sia lo scrivere continuato perche’ non c’e la morte….,penso che si possa essere in rapporto anche se non si e’ presenti fisicamente…e poi spesso non so’….ma penso….

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.