la piramide del caffè

Posted By claudiobadii on Gen 18, 2013 | 0 comments


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“Nel museo dell’infanzia di Bethnal Green, i visitatori si emozionano sempre per motivi diversi. Alle persone più anziane capita con i giocattoli antichi. I giovani, invece, rivivono il loro passato davanti alle ultime vetrine: quelle dedicate ad infanzie appena trascorse.” (La piramide del caffè” – Nicola Lecca – romanzo Mondadori – gennaio 2013 – pagina 11)

Eccoci accanto un giovane e un vecchio. Con il naso al vetro di due espositori vicini. Il naso al vetro si. Bisogna fidarsi di un naso stupefatto, un naso sensibile e senziente, un buffo padroncino al centro del volto esplorato dalla luce del ricordo.

Dicevo ad una amica lontana. “Vado a leggere un poco dopo essermi abbandonato alla salutare nostalgia di luoghi luci e persone che sento del tutto accanto poiché seppure geograficamente distanti da qui esse non sono distanti da me”. Specifico, adesso.

Accanto vuol dire nell’ambra densa di quelle atmosfere nascenti in cui ci trovammo insieme, in aurore sentimentali di lontane città, per cui ora quelle persone sono quelle città, e quella luce. Non sapevo ancora, stamattina, tre ore fa, che stavo per leggere queste parole che stimolano un ulteriore riflessione.

Con i nasi stupefatti al vetro, vicini nel museo dell’infanzia, ognuno dei visitatori ricrea nella fantasia un passato diversamente lontano ma contemporaneo e simultaneo nel pensiero che nasce per essersi trovati in quell’adesso, in quella certa stanza di un museo.

Non è nostalgia dunque, è la fantasia che fa di ciò che non è più ciò che torna ad essere, e crea la simultaneità. Stare insieme nel ricordo attuale di passati diversamente lontani fa il rapporto di comprensione tra persone differenti. La fantasia fa l’uguaglianza che non è diritto ed è vissuto e passione.

Si patisce il passato che compare adesso, come si patì quel presente quando una temperatura, una lucentezza di nuvole, una chiarezza di acque nei canali del porto, e l’acutezza dei tetti dei palazzi della vecchia città… si legarono a noi.

Si legarono in una cinestesia sentimentale ai volti e alle voci e alla pronuncia dei nomi delle vie e al gusto della cioccolata venduta nelle strade, e al sentirsi bene camminando sgangherati per percorsi erranti: un marciapiede pare il deserto e noi beduini nomadi.

Vorrei dire che si capisce la vitalità ma la vitalità si può solo nominare perché forse non ha una immagine. Una funzione originaria che tiene tutta la vita legata e assicurata alla libertà quando dalla necessità coerente delle leggi della vita biologica emerge la probabilità, l’aleatorio amore per gli altri.

Tiene tutta la vita, tiene il significato stesso della parola ‘vita’ il fenomeno della materia cerebrale che stimolata subisce trasformazioni formidabili e diventa vita mentale. La mente aleatoria dell’uomo può avere la conoscenza. Non è un diritto. E’ un delitto. Dire che la vita mentale deriva dalla materia è la distruzione dell’assoluto.

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