ma non è magrezza la mia, è essere riuscito ad essere!

Posted By claudiobadii on Giu 22, 2013 | 0 comments


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“essere”

Adesso che non ci sei più, che ti sei presa i giorni e gli anni della vita futura, ho i miei momenti di dolore. Non che fossero tutte rose e fiori, prima di adesso. Ma non era dolore. Era altro, come un ‘normale’ mal di testa o una infiammazione nervosa. Adesso è come morire, riconoscersi fragili perché la luce e la materia -inanimate- sono troppo potenti non avendo quella natura il pensiero. Ora è chiaro: una distrazione può determinare lesioni mortali. Quanto ci vuole per tornare quello che ero e non avere dolore?

Dicevi ‘…vieni, non sei bastato, vieni…

E seppure io adesso mi sia persuaso che tu esagerassi il tono della recitazione telefonica, la scelta delle tue parole era accurata ed esse -le parole- erano così adeguate al mese di agosto che non osservammo i nostri cambiamenti, non demmo peso alla nostra incipiente capacità di immaginare una differente magrezza. Capacità che aumentava, giorno dopo giorno.

A questo punto del discorso si deve dire che avemmo lo stile magniloquente(*) degli attori del muto e le impronte dei protagonisti che calcano inquieti e inafferrabili le scene i giorni che fummo alla rotonda notturna del gelato artigianale e dire che insomma tutto è stato: sintesi di letteratura e seno e di rossetto dediche fogli e brevissime fughe, e tutto è stato anche: decisioni lampi strisce scure tagli al montaggio per la stesura finale del film subito prima della partenza.

La magrezza chiarirà cosa esattamente volevo dirti. Dirti che c’ero e che sarei diventato quello che volevamo che fossi cioè che sarei riuscito a dare corpo alle cose che capivi insomma, ma tutti lo sanno e lo hanno sempre saputo, che io sono così testardo che proprio fisicamente sarei diventato questo per chiarire i processi psicologici tramite una specie di ‘trasformazione’ ANCHE fisica. Ero, io, ‘complemento’ (= ‘oggetto’ dico !!) di già più che ‘soggetto’. Figurati mi fanno più niente ( innamorato ) -e già niente potevano farmi- le accuse di protagonismo pensando come sempre penso se almeno riflettessero sapendo cosa é lo sfondo teatrale della passione.

Calcare dunque la scena strascicando un poco l’andatura -sai, ieri- mi hanno dato da interpretare il personaggio che si perde nella sera insomma si perde svanendo nel trucco delle luci di scena che non semplicemente ‘muore’  ma appunto strascicando invece accompagna il lento ‘svanire’ la danza dei chicchi neri lo sparo della polvere di buio contro la scoperta del fuoco che regna e protegge il sonno.

Dice svanendo anche la voce: “Amo in te la figura esile di me che non trovavo e invece eccola adesso che devo esprimere di averti solo in apparenza perduta“.

Il dolore della vitalità ‘restituisce’: come un elemosina senza il disprezzo della pietà. E poi allora la vita sfida la falsa speranza o l’augurio malsano di una certa processione di concetti ottusi che sfilano sotto le due finestrelle dietro le quali mi sono ritirato all’inizio del morire di dolore. Sono certo ora che guarisco che sai vedere in esse i miei nuovi occhi e il trucco del prestigiatore si, la ragazza segata rumorosamente in due (me ancora ‘oggetto’ altrui come sempre dell’altrui attaccamento) che dorme invece salvata e intera alternando l’amore sicuro dei due divani protetta dal muro dei libri dei disegni dei fiori dalle zanzariere che sbarrano il passo alla malaria poi esce identica ad una cicala all’inizio dell’estate.

Così anch’io ora ho una brevissima nuova nota un tatuaggio agli occhi un nonnulla come si dice che devi venire vicinissima a vederlo bene oppure fidarti. Di noi. Che non solo di ammalarsi non si ha alcuna coscienza ma neanche del guarire. La sanità ci coglie quando pensavamo che quel buio fosse la fine ed era invece il primo sonno dopo così tanto non riposare. Non mi era restato che lasciar correre il buio. Questo volevo dirti che “scrivere è coscienza di quanto è tornato“: il sogno dopo il dolore che non mi pareva di sentire e chiamavo ‘bravura’. Adesso non c’è più perché noi esseri umani sappiamo trasformare quasi tutto in pensiero verbale per tracciare i segni della scrittura che riportano la nostra piccola anima nel pugno chiuso di un neonato nell’attimo in cui la tensione della presenza intenzionale si allenta e il collo si flette di lato per guardare le cose scritte come si valuta un disegno con benevolenza siccome quel movimento non è che il corpo che ricorda un giorno in cui appoggiammo la guancia sul dorso della mano della ragazza cui eravamo stati affidati da una giovane madre triste per quel primo nostro brevissimo distacco necessario. Sappiamo trasformare l’angoscia di separazione nella conoscenza dell’amore.

nota: (*) devo la locuzione -davvero geniale- ‘stile magniloquente degli attori del muto’ all’ascolto di un podcast di RadioRai riservato alle ‘Scandalose’: in particolare alla puntata riguardante Eleonora Duse.

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