messico e nuvole (*): perché “…mentre che la mente elabora figure di cose sconosciute la penna del poeta le mette giù in forme e dà a quel nulla d’aria una dimora fisica e un nome”

Posted By claudiobadii on Mar 3, 2012 | 2 comments


I chilometri di stamani ascoltando lezioni sul tempo che, a quanto pare, non esiste. C’era di mezzo Democrito e Parmenide e Eraclito di nuovo. Poi si andava a Bruno e poi Leibnitz e Newton e poi al ‘900 esattamente. E forse se il tempo finisce allora la permanenza come identità -diceva Giulio Giorello, all’Auditorium di Roma, durante l’ultima conferenza con Julian Barbour al Festival delle Scienze del 2012- e la speranza e il ricordo come segni del pensiero storicizzante, e dunque anche come segni della rilevanza narrativa dell’identità, beh in questo caso tutte queste cose/immagini sono messe prepotentemente in discussione e sembra che svaniscano. “Uno sciame di api che vola nel vuoto” è l’universo fisico come può essere immaginato a prescindere dalla fallacia dei nostri mezzi percettivi. Così diceva Giulio Giorello insieme a Julian Barbour e sorridevano – si sentiva dal tono. Due relatori, grandi esperti di fisica e di linguaggio. Io canticchiavo mugolando in gola la saliva, perché mi rimangiavo le parole da solo nella macchina bianca.

Appena vivo, appena affacciato su un idea vaga e sconnessa, sorridendo alla strada e mentendo l’importanza degli argomenti che avrei dovuto per forza sviluppare. Ma ero solo e ero assolto da tutto dal monachesimo transitorio dei viaggi di trasferimento. Senza una lacrima piangevo nello strabismo di una allegria di quello che avrei appassionatamente tentato di capire. Riflettevo i raggi luminosi, che mi arrivavano addosso dall’asfalto lucidi e azzurrognoli e dal cielo invisibili ma feroci. Poi i raggi andavano a finire chissà dove. Non ho mai pensato dove andassero i raggi luminosi che mi colpivano il viso finché ero certo che andavano a finire nei suoi occhi, quando c’era lei. Non c’era tempo per pensare, con lei. C’era la fine del tempo nel vortice dei suoi occhi. Quieta osservando ineffabile si prendeva la mia figura di luce. Ora senza un volto di fronte non saprei davvero che fine faccia il riflesso dei nosri volti illuminati e dei nostri corpi opachi.

Finisce il tempo inutile, dice il relatore nella sua lezione. Mi aiuta a trascorrere da un luogo all’altro nel viaggio di trasferimento dove il tempo passa ma invece è fermato e addirittura dannoso temo, così immobile. Guidavo e ascoltavo tenendo vive immagini di noi e di ora che non ci siamo noi. Loro dicevano che c’è questa identità così premurosa di tenere una falsa conoscenza dell’universo temporale. E ci sono queste riflessioni sul tempo che partono dalla visione fisica estesa al macrocosmo, questa visione di relatività quantistica. Difficilissimo. Però – seppure mi pareva difficile e confuso a causa della mia povera intelligenza (che è la mia esultante stupidità) – mi era chiaro che nella mente qualcosa sapeva reagire a quanto dicevano a proposito dell’identità, e della nostra affettuosa preoccupazione verso questa identità: e sfido io, è così breve la vita e se poi ti dicono che il tempo neanche esiste allora addirittura forse la vita come durata diventa impossibile da pensare. Il pensiero diventa la pena verso te stesso. Ero un budino di cioccolata al sole.

Resto sempre colpito dal fatto che nessuno parla mai della nascita del pensiero. Della genesi del pensiero alla nascita. Parlano del tempo e della fisica delle particelle e degli scherzi di un  universo dove non c’è il passaggio da uno stato ad un altro – e ci sono solamente stati coesistenti – e si deve scegliere sapendo che in una inestensione temporale nessuna scelta ha un senso, poiché non ha un verso. E pensavo alla difficoltà di decidere tra cento gusti di gelato ed ero Gulliver ed avevo a disposizione un cono gigantesco, un avvallamento dello spazio-tempo quadrimensionale. Ma si resta perplessi che sia dato per scontato che l’attività umana di nascita non venga arricchita di implicazioni per la fisiologia mentale. Che non si voglia cercare se la vita mentale realizza -fosse pure un fermo/immagine- il senso dell’attivazione come starter. Uno starter di una frequenza nel vuoto magari. Anche cioè solo una inestensione se si vuole. Un istante e poi un eco di vita estrema distesa profusa intorno.

La registrazione del podcast ascoltato dal lettore mp3 sulla radio attraverso il cavetto nero dell’audio sussurra “Agostino di Ippona diceva che dio non aveva creato il mondo ‘nel’ tempo, ma ‘insieme’ al tempo. E aggiunge Barbour “Non è che l’istante sia nel tempo, è l’opposto, è che il tempo è nell’istante.. con buona pace di ulteriori illusioni” Appunto. Resto sempre colpito dal fatto che nessuno parla mai della nascita del pensiero. Del pensiero alla nascita. Forse noi nascendo stabiliamo il tempo inteso come senso di origine. Per altro è addirittura evidente che il tempo non esiste come realtà di oggetto fuori di noi. Che con i sensi non si può avvertire. Che invece è assi probabile che esso ci sfugga proprio perché si origina con noi. Dipende dal fatto che certamente noi non siamo che un cominciare continuamente. Un ricominciare in ognuno degli infiniti stati probabili coesistenti che fanno un universo senza ‘verso’ composto di infinite autorappresentazioni legittime e differenti. Come si può non restare perplessi che sia dato per scontato che l’attività umana di nascita non venga arricchita di implicazioni per la fisiologia mentale. Non indagare su eventualità di asimmetrie decisive.

Ho l’idea che questi geni della rappresentazione legiferante del mondo che sono i fisici siano gli unici chirurghi rimasti in giro. Che dimostrino come da sempre non si parli d’altro che dell’irrilevanza di qualsiasi cogito alla base del linguaggio che parliamo. Essi esprimono bene che il linguaggio e il pensiero che lo sottende fanno, se consistenti, un dato pragmatico, non concettuale. Un dato che ha conseguenze. O come dovremo dire dopo la fine del tempo: il linguaggio e il pensiero che lo sottende sono icone di eventi a breve o grande distanza sulle coordinate del piano delle contemporaneità. Sono in circostanza degli eventi cui potrebbero essere associati. Tu non sei così distante. Pensarti è chiamarti in causa -mio amore- a tua insaputa! Fai che t’amino un poco. Ci sono eventi prevalenti e asimmetrie. Mi sono fermato un poco al sole. Ad ammirare i contrasti. La macchina bianca ha ricominciato a scendere le colline in mezzo alle onde luminose.

Evidente in bianco sul nero la gioia di viaggiare ascoltando le parole degli scienziati: erano parole preoccupanti e irrilevanti. Come se poi uno avesse un lasciapassare per sfidare a proprio rischio il coprifuoco. I discorsi quantistici, così paradossali, ci mettono alla prova e mettono alla prova l’idea che abbiamo della nostra consistenza fisica. Ci spogliano, cosicché possiamo sfidare la lievità dell’aria, sapendo che però essa è completamente traversata di luce, inzuppata di energia radiante come un savoiardo prima di essere affogato nella crema. Il benessere rende non più necessaria l’enfasi associata all’immagine di identità costituitasi nei secoli della pre-storia. Parole come questa parola: identità, hanno poi assunto nei secoli il valore di eventi dotati della qualità della prevalenza. Esse sono parole corrispondenti a fatti del pensiero capaci di provocare asimmetria.

Grazie alla natura di parole di questo tipo la scrittura è molto efficace per lavorare sulla genesi sensoriale che provoca il sogno e la rappresentazione senza stimoli della realtà materiale esterna. L’idea avventurosa di una cura della mente (psichiatria) si deve essere realizzata grazie alle innovazioni successive delle vicende intime della letteratura e del linguaggio. L’ infrastruttura che esse hanno costruito a proposito della disparità e della differenza, consentono di non restare immobili al cospetto della quasi definitiva dissimmetria della pazzia che è sovrapposizione sostituitiva della propria identità con eventi irreali aprioristici. Con parole prevalenti e rilevanti e di assoluta irrilevanza, anche, per converso(!) si cura. Si vuole. Restando in settori che sono non misurabili dimensioni di noi. Creando evocazioni infrattive si altera l’omologia soffocante del non essere. Per questa caratteristica di infrangere la quiescenza di piacere la cura…. non piace. Il (principio del) piacere sta al servizio dell’istinto. E poiché l’istinto è piacere la scelta del principio agente è praticamente una nostra collocazione su un preciso versante del tempo.

Le cose si semplificano coi decenni: si finisce per trovarsi non molto distanti da un asse di asimmetria, se le cose hanno funzionato come si deve. Ad aver lavorato bene non si resta soli. La linea della rassicurazione si è flessa verso l’inquietante fascino della vicinanza, e lo scricchiolio del fasciame della nave ci culla nell’arresto lungo dell’approdo senza fine: un benessere senza scopo. In vista la spiaggia dei selvaggi vocianti. Il rumore della voce umana incomprensibile che sostituisce l’assoluto newtoniano. Non è pace né pacificazione la scrittura della ricerca, perché si racconta e si scrive l’impossibilità sostanziale di parlare di una qualsiasi cosa. Si scrive e si parla che non si sa dire dove nasce la decisione originaria di quegli stessi gesti di parlare e scrivere. Si dice molto per dire che non si riesce a prendere commiato: quel trovamento sarebbe… – oh dolce amante!origine definitiva. Più precisamente si gira vicino accanto e nei pressi di un luogo in cui si genera l’evento che sta alla base della decisione di parlare. Si racconta che alla fine di tutto questo cercare c’é ancora di più: il substrato frusciante, la radiazione dal fondo che  sottende e precede tutto quanto.

La radio trasmette in aria che l’idea, fino ad ora, quando ancora il tempo non finiva, era che si realizzasse una successione di stati che non erano ancora esistenti (accaduti), stati che si determinavano uno dopo l’altro in conseguenza delle nostre decisioni. Oramai si sospetta che ci siano infiniti eventi tutti già costituiti e di uguale legittimità. Di differente probabilità statistica, solamente. E che noi trascorriamo tra queste icone esistenziali inventandoci di sana pianta il tempo che dunque non è che una presunzione percettiva, una illusione non più remunerativa. Non potremo avere risarcimenti ad andare avanti così. Sciami di api nel vuoto in questo tempo inutile. Le nostre ali vane. Le case di tempo fatte della paglia della capanna dei tre porcellini. In questo secondo mondo, immanente e coesistente, la prosopopea del soggetto si perde. Scelta tra probabilità e libero arbitrio offenderanno in seguito, (ma non c’è un seguito c’é che dunque esse già ora lo fanno), le ipotesi di uguaglianza e di processo. Inventeremo un uomo nuovo. Un umanesimo quantistico è quello che fa per noi. Che fa per noi da Democrito che non è nel passato dunque, ma discosto che si può vedere infatti mentre se la ride, ai portici dell’Accademia. Niente scegliamo: solo, con leggerezza imperdonabile, alterniamo probabilità. In questo omicidio del tempo inutile va via la delega del perdono allo spirito?

La teoria della nascita.

C’è un lavorio biologico di accrescimento turbolento circondato da un fluttuare della materia liquida senza intelligenza. È un mare sensoriale non orientato che costituisce il paradigma di simmetria. Il feto in rapido sviluppo nell’acqua dell’utero è il promontorio in una baia sicura, sulla quale si sono insediate popolazioni di poeti naturalisti e turisti nostalgici. Il mare sensoriale protegge stimola e eternamente rinnega e ripara. Il tempo omeostatico non può avere durate. La sua simmetria è di non trascorrere. Del resto esso è istituito in privazione di persona. Accarezza il deliquio e stipula polizze assicurative a protezione di tutte le peculiarità dell’ assenza. La promettente illusione di non uscirne mai è la delazione di un tradimento ante litteram. Tempo illusionale l’omeostasi ha forma di asserzione e di rassicurazione e di piacere. Dice: poi (nel tempo non rappresentabile ancora) le forme della residenza nella baia saranno recuperate nell’osservazione della natura del mondo fisico. Invece ora si sa: la restaurazione della simmetria, dell’omeostasi, della neitralità della assenza di stimoli dopo la nascita è perdita della nascita. E’ pazzia la lotta tra sanità e natura quando trionfa la natura.

Diseguaglianza e armonia si ruberanno la scena. L’illusione che la natura è buona impedirà la sanità della ricerca. La giustizia con la bilancia perde la faccia: è il sogno delle figure senza volto. Si confondono spirito e pensiero. L’armonia è orrore e equidistanza. L’affezione al prima cancella la vitalità insita nell’attimo della transizione. Sarà quella forse la corrispondenza con il pensiero dei fisici a proposito della fine del tempo. E l’adesso che viene può essere che corrisponda all’ amore per la sostanziale inutilità del tempo quando il tempo è tempo perso nella reazione. Noi moderni contemporanei dal canto nostro si canta.

Ci fu un attimo remoto di nascita. La distanza cui essa si trova, adesso, misura l’universo dei moderni contemporanei. Le popolazioni di poeti e turisti si sono diffuse dappertutto e scintillano, viste dall’astronave. Si parla di figura disegnata dalla migrazione. Si racconta della vitalità, di una formidabile macchina fisiologica. La fabbrica di cioccolato di tutte le possibili asimmetrie. Se torniamo alla gravidanza e all’omeostasi si capisce che è di istinto che si parla. È del tempo inservibile di cui i fisici si e ci stanno sbarazzando. Seppure a noi sembri complicato da tollerare. Anniversari di roghi: il crepitio del fuoco il 17 di febbraio del 1600 (una data imparata a memoria ormai come una poesia della conoscenza) a Campo dei Fiori è fatto di scintille all’infinito. Un punto ancora di migrazione. I nostalgici sono stelle fisse. Tu, tu imperturbabile comprensione, tu casualità intellegibile, sei scienza senza coscienza. Sei suono delle parole: “tempo, ancora, ti prego”. Tu una presa in giro della teoria del tempo finito ed esaurito. Laddove ti sei insediata, sulla poltroncina che lasci oscillare avanti e indietro, puntando i piedi fai sul pavimento l’ombra del tuo corpo che non descriverò a nessuno mai. Sei sul pavimento scritta di durata trascurabile perché vai e vieni altalenante. Tu sei il mio intervallo di contemporaneità. La mia base di appoggio. Io sono un tuo sogno: il viaggio interstellare.

L’ infrazione del patto con la simmetria tra tempo e spazio distinti e separati ci è costata Einstein e una transitoria euforia quadrimensionale. Magari ci avevamo sperato. Di tornare a riposare. Per sempre. “Dio non gioca ai dadi” aveva sperato Einstein medesimo: e figurati dunque se anche noi non ci eravamo illusi che ci rimettessero a posto la stanza dell’idromassaggio. Ora la teoria della nascita afferma che è di istinto che si parla quando abbiamo edificanti aspettative. E forse questo denunciano attualmente alcuni altri, dal loro canto. Nello stendere con garbo e decisione, sui tavoli dei condottieri, la carta geografica delle nostre preferenze sul tempo in quanto tale, questi altri dal canto loro moderni contemporanei suggeriscono che ci precludiamo amori diseguali: gli unici che valga la pena di sospettare. Essi denunciano le nostre idiosincrasie. Attualmente dal loro canto i sapienti moderni contemporanei intempestivi – di fronte a un certo nostro non essere più in grado di immaginare di poterci sbarazzare del tempo come istinto e ritorno, del tempo in quanto tale dunque – fanno conferenze e si intendono da soli e prendono applausi. Infinita incapacità attuale ad immaginare oltre è la caratteristica psicologica di mummie contemporanee che siamo noi. Per questo al sole sorridevo.

Canticchiavo mugolando che stavo per estinguermi al sole abbracciato al sarcofago. La preferita del Faraone e mi seppellivo insieme alla morte della sua odiosa prepotenza. La macchina bianca scivolava dal dorso al ventre della collina. “La coscienza ha la successione”. E: “Il tempo è una prerogativa dell’io della nascita.” Quel tempo della cui compagnia si può fare a meno. La vita si svolge da tempo con dignità in nostalgia di tempo. In ombra di nascita. In onore di attimi inaugurali. I mille amori senza durata risolti sotto il davanzale dei tuoi occhi ogni volta differenti. Così per via che chi “…non è donna non è bambino e non è operaio…(**) domina le donne i bambini e gli operai. Questo perché il non essere domina l’essere. Il tempo illusorio finisce. Chissà, pensavo, se allora…

“E mentre che la mente elabora figure di cose sconosciute la penna del poeta le mette giù in forme e dà a quel nulla d’aria una dimora fisica e un nome” Shakespeare, “Sogno di una notte di mezza estate”

(*) “Queste son situazioni di contrabbando” ecco perché Messico e nuvole (si veda, più ampiamente, Paolo Conte)

(**) il punto altissimo di denuncia di M. Fagioli a proposito della violenza della negazione e dell’annullamento dei problemi delle persone più deboli. Esattamente anche della realtà fisica e psichica delle persone più deboli. Il punto altissimo e umilissimo del lavoro. Credo che sarebbe sufficiente metterci il cuore su certe frasi, per ritrovare un poco di tempo non inutile. La fine del tempo è il riso allegro di aver saputo tenere la mano sul punto di non ritorno. La marea comportava oscillazioni. Io continuo a scrivere come dicessi sempre “grazie” di nuovo. (si vada a cercare e trovare la frase in questione, se proprio si vuole collocare in una o due righe la storia di chi ha consentito agli altri di ritrovare una storia per riuscire ad essere ora moderni contemporanei intempestivi.)

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2 Comments

  1. Il principio di indeterminazione ci dice che non è possibile stabilire con certezza dove, in un determinato istante, si trova una particella elementare. Questo principio insieme al teorema di Godel e al teorema secondo cui è impossibile seguire l’evoluzione di un sistema deterministico che diventa caotico, ci dicono che dall’interno non saremo mai in grado di spiegare l’ordine della natura. Nessuna descrizione non poetica della realtà può essere completa (pensa un pò!).
    Nella vita quotidiana il tempo “quantitativo” corrisponde ad una successione indefinita di istanti omogenei ed uniformi, distinti gli uni dagli altri, come lo spazio tra le lancette dei vari secondi di un orologio ed è per tutti uguale, deve essere uguale altrimenti il mondo non funzionerebbe più. Il tempo “qualitativo” della coscienza invece è un tempo che non rispetta il modello matematico-quantitativo, non posso separare un istante dall’altro. Il tempo è soggettivo per cui un’ora può valere, per due persone diverse, tempi diversi. Ogni istante contiene le immagini della vita passata e quelle possibili della vita futura. E come esperienza della coscienza il tempo qualitativo non seguirà mai lo stesso percorso, non è reversibile perchè interessa il nostro essere che cambia continuamente.
    Sarà mai possibile ripetere ciò che è stato?Ma se niente è ripetibile allora niente è confermabile. La verità che si scopre è nel movimento e nel perpetuo ricominciare.

  2. La meccanica quantistica, la teoria della relatività, ma a ben guardare anche la fisica intera…è una proposta, non una legge. Ti dice che è molto probabile che le cose stiano così perché finora non si è mai visto accadere diversamente, ma non si sa mai! Forse la teoria degli universi paralleli e il principio dell’indeterminazione sono solo proposte di una nuova nascita del pensiero: “Nell’ambito della realtà le cui connessioni sono formulate dalla teoria quantistica, le leggi naturali non conducono quindi ad una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l’accadere (all’interno delle frequenze determinate per mezzo delle connessioni) è piuttosto rimesso al gioco del caso”. Quindi,potrebbe essere così, ma anche no e vale anche per il principio stesso…mi è sempre piaciuto leggerci una diversa proposta di tempo: che non sia l’unico modo per pensare la propria vita?
    A proposito, al CERN avevano sbagliato i calcoli, i neutrini non vanno più veloci della luce…

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